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mercoledì 25 gennaio 2023

ARIAFERMA

1207_ARIAFERMA Italia. Svizzera 2021; Regia di Leonardo Di Costanzo.

Se ci sono stati periodi storici in cui il mondo sembrava andare a tavoletta, ad esempio gli anni Ottanta quando si cambiava un’auto ogni tre anni, altri momenti sembrano scorrere più lentamente. Oggi, tra lockdown più o meno ferrei, siamo fermi; in attesa perenne. Un’attesa che ci rende impazienti, nervosi, timorosi, sospettosi: Ariaferma, e già il titolo è abbastanza esplicativo, arriva a cristallizzare perfettamente questa situazione. In equilibrio tra Aspettando Godot di Samuel Beckett e Il Deserto dei Tartari, romanzo di Dino Buzzati e film di Valerio Zurlini, in perfetta sintonia con la sua filmografia – L’intervallo (2012) e L’intrusa (2017) – Leonardo Di Costanzo ci tiene per due ore su una corda tesa. Arriverà finalmente l’ordine di trasferimento? O scatterà prima la rivolta carceraria? Mortara, un carcere fatiscente di un’imprecisata area sperduta italiana è in dismissione quando arriva la comunicazione che per l’ultima dozzina di reclusi non c’è più posto e devono attendere nuove disposizioni. Un manipolo di guardie carcerarie rimarrà a sorvegliarli. Il geniale impianto narrativo organizzato da Di Costanzo, Bruno Oliviero e Valia Santella è servito. Per controllare meglio i detenuti, vengono spostati nell’area centrale, con le celle disposte in cerchio intorno ad un piazzale di forma circolare. Tutte le attività sono sospese, la cucina è chiusa – dall’esterno arriveranno alimenti già preparati – si attende unicamente l’ordine di trasferimento anche per questi ultimi prigionieri. Ma l’ordine non arriva. L’inattività, il cibo scadente, l’incertezza sul proprio destino, fanno salire sempre più la tensione. Di Costanzo è maestro, in questo, con un sapiente uso della regia da un punto di vista tecnico. 

Le riprese passano dal campo-controcampo al progressivo utilizzo di inquadrature più ampie: in un primo momento si sottolinea la distanza tra gli schieramenti – guardie e detenuti – in seguito si evidenzia la comune situazione di disagio. Ma il regista si dimostra all’altezza anche nella direzione di quegli attori che in Ariaferma fanno la differenza. Toni Servillo (è Gaetano Gargiulo, la guardia che assume il comando per anzianità di servizio) e Silvio Orlando (è Carmine Lagioia, terribile bosso mafioso) sono due figure ingombranti che, in una situazione del genere, potrebbero rovinare tutto proprio con la loro straripante personalità. Che potrebbe rompere l’equilibrio e far collassare il castello di dubbi e incertezze creato da Di Costanzo. Così non è. Servillo è magistrale nel tratteggiare Gargiulo: la guardia, soprattutto rispetto ad altri suoi colleghi, ha un lato tenero, umano; ma non può permettersi di mostrarlo. 

D’altra parte una condotta troppo rigorosa potrebbe avere conseguenze spiacevoli, con i carcerati già esasperati dalle circostanze in cui sono costretti. E’ qui che Servillo si supera: sempre guardingo e riflessivo, pondera bene le sue decisioni cercando di tenere nascosti i propri sentimenti di umanità per i detenuti costretti in condizioni disumane. Davanti a sé, Lagioia è sempre sul punto di cogliere l’occasione; o forse è solo un’impressione, fatto sta che Silvio Orlando è altrettanto straordinario a tratteggiare una diversa ambiguità. Ma è davvero ambiguo, Lagioia? E’ davvero pericoloso, è davvero sul punto di scatenare una rivolta? E’ un dubbio legittimo perché il mafioso è scaltro ad approfittare della propria nomea per avere ogni minimo vantaggio ma il racconto ci dice che è a fine pena e quindi non ha alcun interesse a creare problemi. E allora com’è che quando vediamo ripetutamente l’armadio coi coltelli della cucina aperto da Gargiulo, pensiamo che la svolta narrativa decisiva sia vicina? Si tratta di meccanismi narrativi e cinematografici di cui Ariaferma è intriso: se ci sono le condizioni perché un evento accada, prima o poi dovrà accadere, siamo naturalmente propensi a pensare. Evidentemente la lezione di Beckett non è servita. Ma questo vale non tanto al cinema; piuttosto anche al cinema. E quel ‘anche’ presuppone un pregiudizio pericoloso che si è ormai radicato anche nella nostra vita quotidiana. Provare a estirparlo, come fa Ariaferma, è un’operazione dura e difficile, ma più che mai necessaria.




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