1201_GARDENIA BLU (The Blue Gardenia). Stati Uniti 1953; Regia di Fritz Lang.
Dopo La confessione della Signora Doyle nel 1952, Fritz Lang, finito sulla lista nera del senatore McCarthy, era rimasto inattivo forzatamente e riuscì a tornare al lavoro solo alla fine di novembre di quello stesso anno. Smanioso, in meno di un mese gira Gardenia Blu, nel quale si percepisce in modo inequivocabile come il credito di fiducia che Lang aveva posto negli Stati Uniti come paese della libertà e del diritto era praticamente esaurito. Del resto l’autore è lapidario, in questo senso, ammettendo che la vicenda delle liste lo aveva reso particolarmente velenoso; si può osservare che la delusione di Lang non coinvolga solo il sistema giudiziario ma anche e soprattutto la stampa, quasi che l’autore nato a Vienna volesse puntualizzare l’attitudine scandalistica dell’informazione americana. Gardenia Blu è un bel noir e verte su un omicidio: nonostante il tema sia quindi di natura poliziesca mancano criminali veri e propri e le forze dell’ordine hanno un ruolo marginale. I poliziotti aleggiano sulla storia come presenze assenti ma inquietanti – e questo la dice lunga sull’atmosfera che regnava nell’America degli anni Cinquanta, laddove i tutori dell’ordine erano figure che incutevano paura – e quando intervengono allo scoperto lo fanno a tradimento o con i modi da agguato. Nel prefinale c’è una vera e propria subdola trappola messa in atto dal capitano di polizia mentre è emblematico il modo in cui in piena notte si materializza un agente quando Norah (Anne Baxter) cerca di disfarsi dell’abito indossato la serata fatidica. La comparsa sullo schermo dei tutori dell’ordine avviene sempre di soppiatto e Lang non li mette quasi mai sotto i riflettori in modo limpido: troppo ottusi, poco leali, poco intelligenti e meno ancora intuitivi per essere degni di un minimo interesse. La questione è tutta nell’ambito della comunicazione, artistica o d’informazione poco cambia visto che negli Stati Uniti era già divenuta tutta mercanzia, inscatolata e venduta, per citare un illuminante passaggio nei dialoghi del film. Scatole: altoparlanti, jukebox, stereo, cabine del telefono; il discorso può sembrare solo simbolico, ma nel film le chiamate vengono intercettate e proprio ascoltando una canzone registrata si risolve il giallo della storia. Altro che libertà, il sistema del libero mercato esercita un controllo capillare da far invidia ai totalitarismi e Lang, con qualche mezzo secolo d’anticipo, rifletteva sulla questione della privacy nella moderna società.
Che Gardenia Blu sia una riflessione sull’America del tempo è evidente dalla specularità della storia, a partire dai personaggi che si riflettono tra loro in una serie di rimandi. Da una parte abbiamo tre ragazze, la citata Norah, Crystal (Ann Sothern) e Sally (Jeff Donnell) che lavorano come centraliniste telefoniche: smistano le chiamate, mettono in comunicazione le persone. Dall’altra, la pattuglia degli uomini più rilevanti, ovviamente tre, vede Casey (Richard Conte) fare il giornalista, Al (Richard Erdman) il suo fotografo mentre Harry (Raymond Burr) è un pittore. I due terzetti si riflettono, con una coppia di amiche che ha delle forti analogie tra loro così come nella controparte maschile in due sono in qualche modo simili, mentre i terzi, sia Sally che Al, sono figure di contorno, marginali. La specularità si ritrova quindi anche all’interno dei terzetti, con Nora e Crystal che tra loro si rassomigliano anche fisicamente, al punto che possono scambiarsi gli abiti e vengono anche confuse una per l’altra.
Meno evidente l’analogia fisica tra Casey e Harry, sebbene nel loro caso vengano in aiuto le caratteristiche dei due interpreti, Conte e Burr, due attori piuttosto inquietanti e spesso utilizzati in ruoli non proprio positivi. Già nella scelta di due classici cattivi cinematografici per i ruoli maschili contrapposti la dice lunga sul veleno che Lang, citato in apertura, ammetteva di avere in serbo. In ogni caso, i personaggi del film sono entrambi incalliti seduttori e tengono registro delle conquiste, Harry con i suoi schizzi e Casey sul suo taccuino. Cosa non secondaria, sono abili manipolatori e, per raggiungere il proprio scopo, non esistano a imbrogliare o raggirale la propria vittima. E se Norah è la protagonista femminile del film, tra loro ci sono il cattivo, Harry, e l’eroe della nostra storia, Casey. Per il citato gioco degli specchi, in questo caso, il cattivo di cattivo non fa poi molto ma finisce piuttosto nel ruolo di vittima dell’omicidio che sconquassa l’atmosfera da commediola con cui si era aperto il film. A finire sotto accusa è Norah e, per quanto le circostanze in cui Harry venga ucciso rimangono indefinite, una evidente solidarietà per l’ingenua ragazza pervade la vicenda. In realtà che sia lei la colpevole è ancora ignoto tanto alla polizia che alla stampa, al punto che Casey, giornalista dal piglio intraprendente, scrive nell’articolo di punta una lettera aperta a Gardenia Blu, come viene efficacemente battezzata la misteriosa assassina.
La polizia non apprezza la trovata, almeno non le garba la verve indipendente, e si mette di traverso: non sarà poi chiarito bene dallo sviluppo se Casey si piegherà volontariamente alle forze dell’ordine per inscenare la trappola fatale a Norah o se saranno le cose a prendere questa piega. E’ un dubbio instillato un po’ a posteriori, a giochi fatti, quasi che il regista cerchi di mettere volutamente una pezza che sia smaccatamente fuori posto se non proprio peggiore del buco. La critica di Lang non fa sconti e se la polizia ci fa una figura meschina, la stampa si rivela più competente, ergo più importante, ma anche più sottile, infida e non può certo bastare un lieto fine all’acqua di rose a rimettere insieme tutti i cocci della spietata analisi. Piuttosto, l’idea di ricomporre l’atmosfera da commedia sentimentale iniziale sembra imbastita in modo da lasciare perfettamente distinguibile l’incubo di Norah.
Che rappresenta il corpo centrale costituente l’intero film e si caratterizza per un fortissimo pessimismo e senso di disperazione, con Norah che non solo non ricorda, ma fatica a comprendere come può essere colpevole di un simile misfatto. Quando poi accetta di incontrare Casey, non sembra vedersi una luce in fondo al tunnel ma almeno la ragazza pare trovare conforto e forse anche l’amore – perduto quasi in apertura di film con l’arrivo di una missiva dal fronte di guerra. Volendo raccogliere il veleno seminato da Lang nella pellicola un po’ dovunque, non si può sorvolare sulla critica al tipico eroe americano, quello che nel film di fatto non c’è fisicamente ma viene evocato più volte da Norah. Il suo fidanzato, da buon yankee, è infatti impegnato in guerra in Corea e mentre l’amata si strugge per la lontananza, lui pensa bene di consolarsi con un’infermierina. Naturalmente le comunicazioni hanno un ruolo anche qui, in questo caso una cara e vecchia lettera, che ha comunque l’effetto di innescare tutta quanta la vicenda. Alla fine della quale, grazie soprattutto alla subdola trappola che i poliziotti fanno scattare – che sorprende un po’ anche Casey, come detto – la fa sprofondare in un vero e proprio baratro. E questo sembrerebbe, anche considerando i problemi contingenti di Lang con i censori della caccia alle streghe con le loro liste nere, un evidente richiamo alla stessa realtà personale del regista che tuttavia era la stessa per decine di altri cineasti e in sostanza dello stesso movimento hollywoodiano.
Caccia alle streghe, dicevano. Roba da Medioevo, in effetti, altro che fabulous fifties e sogno americano.
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