1139_FUOCOAMMARE . Italia 2016; Regia di Gianfranco Rosi.
Quanto può essere importante l’etichetta con cui un film viene definito? Fuocoammare è stato presentato a suo tempo come documentario (anche agli Oscar) e in genere ancora oggi lo si trova con questa definizione. E’ chiaro che si tratta di un documentario cinematografico e, quindi, la paternità dell’opera, quel ‘di Gianfranco Rosi’, permette una certa autonomia. Eppure il montaggio fin troppo invasivo del film un po’ scoraggia anche lo spettatore che sa di essere di fronte ad una visione soggettiva, come del resto lo sono tutte. Ma Rosi sembra esagerare, ad esempio nella ricerca quasi spasmodica di simbolismi da attribuire al piccolo Samuele, protagonista del suo film. L’occhio pigro, patologia che gli viene diagnosticata, e l’esagerata vocazione bellica dei suoi giochi sono lì a simboleggiare i limiti di tutti i suoi concittadini italiani (o europei, fate voi). Così come ha un rimando il senso del titolo del film, spiegato e messo in scena con una costruzione degna di un film drammatico di finzione. Ma forse sono fisime da spettatore che vorrebbe semplicemente maggior chiarezza e meno giochi di prestigio in sala di montaggio quando c’è di mezzo la cronaca o almeno un certo tipo di cronaca. Probabilmente sbagliando anche perché se Rosi per Fuocoammare ha vinto l’Orso d’oro a Berlino devono essere obiezioni fuori luogo, evidentemente. Certo, quando si legge che sarebbero oscene le scene finali con le salme degli emigranti, allora tutto diventa un po’ più chiaro. Se le scene nel finale hanno avuto un tale effetto, allora anche la preparazione posticcia a questo realistico e tragico passaggio assume un suo preciso scopo. Perché quelle immagini sono davvero oscene: e c’era bisogno davvero che qualcuno ce le mostrasse per quel che sono.
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