1140_E' TARDI PER PIANGERE (Too late for tears). Stati Uniti 1949; Regia di Byron Haskin.
Noir originale e estremo, E’ tardi per piangere di Byron Haskin porta all’eccesso alcune caratteristiche tipiche del genere. La più evidente è che la dark lady della storia – una Lizabeth Scott che sembra quasi fisicamente provata dalla cattiveria di Jane, il suo personaggio – non ha, né in fondo al cuore né in nessun altro posto, un briciolo di umanità. La femme fatale del noir, nella consuetudine, per quanto potesse apparire cattiva, aveva sempre un cuore tenero, perlomeno nella versione più canonica del genere. In fondo, la figura femminile aveva giusto un ruolo, un compito: sedurre e condurre alla rovina il tipico protagonista di questo genere di film; inutile accollarle altre caratteristiche negative che sarebbero state gratuite. Jane, se è vero che si attiene a questo ruolo in un primo tempo, assume poi quello di protagonista del film, dimostrando una crudeltà difficilmente riscontrabili in questi ambiti. Ma è anche l’incipit del racconto ad essere originale rispetto ai canoni noir: è ormai l’imbrunire e Jane e il marito Alan (Artur Kennedy) stanno andando a cena da amici con la loro convertibile (una meravigliosa Buick Special del 1941) quando da un’auto che proviene nel senso opposto viene lanciata una borsa sul loro sedile posteriore. Il sopraggiungere, alle loro spalle, di un’altra auto decapottabile, svela l’inghippo: quelli erano i destinatari della losca consegna. Nel parapiglia che ne segue, Jane dimostra subito di che stoffa è fatta e alla fine di alcune apprezzabili scene di inseguimento, si ritrova a casa col marito e una borsa zeppa di banconote. Alan è un brav’uomo e vorrebbe avvisare la polizia; Jane avanza più di qualche obiezione.
In questo frangente, seppur vi si è arrivati in modo originale, siamo nel classico cliché noir: l’uomo onesto viene tentato dalla femme fatale, visto che è indiscutibile che Jane faccia leva sulla presenza scenica per condizionare il marito. Alla fine arrivano ad un compromesso nel quale, va detto, entrambi giocano sporco: la donna dimostrerà di aver avuto da sempre la volontà di tenersi i soldi, costi quel che costi, e su questo aspetto si basa lo sviluppo del resto del film. Ma anche Alan, seppur l’intenzione di fondo sarà onesta, si scoprirà già diffidente della moglie, quando giocherà d’astuzia sostituendo con un inutile cartoncino bianco la contromarca del deposito dove è stata lasciata la borsa galeotta. Per altro la sua mancanza di fiducia si rivelerà ben motivata: da lì in poi Jane non avrà alcuno scrupolo pur di raggiungere il suo scopo. Nella storia entra di prepotenza Danny (Dan Duryea) illegittimo proprietario dei soldi e nonostante sia fondamentalmente un poco di buono, anche lui come Alan dovrà soccombere al cospetto di Jane. Volendo, anche nella relazione tra Danny e Jane si istaura un rapporto tipico del noir: l’uomo è solo uno scaltro fuorilegge di mezza tacca e finirà affascinato dalla crudeltà senza scrupoli della giovane. Tigre, il soprannome con cui chiama la ragazza, rende bene il rapporto di forza tra i due definendo anche il fascino animalesco che emana la donna. Dal momento che Alan viene eliminato rapidamente, a contendere (vanamente, da un punto di vista carismatico) la scena alle schermaglie tra i due citati villains della storia, ci sono Kathy (Kristin Miller), bella e simpatica sorella di Alan, e Don (Don DeFore), cognato di Jane per via dell’ex marito della ragazza. Il quale era stato trovato morto, forse per suicidio, ma Don sospetta che la responsabile sia proprio Jane, della quale vuole ora vendicarsi. Don DeFore prova per tutto il film a fare il simpatico, riuscendo unicamente a rendere ancora più attraenti i cattivi del racconto. Alla fine, prevedibilmente, tutto si aggiusta e anche Jane, che era riuscita a emigrare in Messico piena di grana, finisce fatalmente giù da un balcone. I soldi non fanno la felicità, aveva profeticamente detto Alan. Vero. Come del resto essere dalla parte dei buoni non rende Don simpatico. Da spettatore di un semplice film, giù dal balcone era meglio se ci finiva (anche) lui.
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