1130_HOUSE OF GUCCI . Stati Uniti, Italia 2021; Regia di Ridley Scott.
In qualità di italiani, in prima istanza verrebbe naturale essere grati ad un regista importante come Ridley Scott, che quando si muove spesso si porta appresso cast di assoluto rilievo, per il suo raccontare storie ambientate nel nostro paese. Anzi, così come Tutti i soldi del mondo (2017) anche House of Gucci non è uno solo ambientata in Italia, è proprio una storia italiana. E qui, il fatto che sia proprio Ridley Scott a dirigerla un filo di preoccupazione forse no, ma almeno di perplessità ce la deve procurare. Per carità, Scott è un asso del cinema e House of Gucci ne è l’ennesima riprova. Però è anche quell’autore che, sin dalle origini, sin dal suo straordinario trittico d’apertura (I duellanti, 1977, Alien 1979, Blade Runner 1982), aveva dimostrato la capacità di dare una forma sublime al vuoto che – in quei casi come altri, del resto – aveva anche pieno significato. Nel corso della sua filmografia qualche dubbio era però sorto, perché la propensione estetica del regista inglese spesso sembrava diventare preponderante sugli aspetti contenutistici. Da italiani, e quindi da parte in un certo senso in causa, quest’idea era uscita rafforzata da Tutti i soldi del mondo dove il Belpaese era dipinto seguendo i più canonici stereotipi sugli abitanti della penisola diffusi soprattutto nei paesi anglosassoni. Fatta questa doverosa premessa, si può in fondo scacciare quella preoccupazione che in parte poteva essere legittima: nel caso di House of Gucci è vero che Scott ricorra ancora una volta ai classici cliché sull’italian style, lo stile di vita all’italiana ma, visto il soggetto, stavolta bisogna ammettere che ci prende senza tema di smentita. Insomma, gli anni Ottanta, celebrati anche dalla colonna sonora, e il mondo della moda, su cui è imbastita tutta quanta la vicenda, sono la quintessenza del gusto vacuo dell’estetica e nessuno come Scott poteva interpretarli meglio di così. A condimento di queste due direttive che corrono parallele, gli eighties e l’alta moda, si intrecciano altri temi tipicamente italiani come la famiglia, in questo caso quella dei Gucci, ovviamente, e il rapporto con lo stato, nello specifico del pagamento dei tributi, altro elemento sensibile del nostro vivere quotidiano.
Il film è, naturalmente, ben confezionato, avvincente e interessante; pare vi siano delle inesattezze storiche ma, in fondo, stiamo parlando di una casa di moda e non della vita di eroi nazionali. Chi fosse interessato alla verità nuda e cruda si può leggere le cronache del tempo, posto che quelle siano attendibili. Tornando al film, il cast è sontuoso, a partire da Al Pacino (Aldo Gucci), passando per Adam Driver (Maurizio Gucci), Jared Leto (Paolo Gucci), Salma Hayek (Giuseppina Auriemma) e via via tutti gli altri, anche se i personaggi più interessanti sono due che, pur stanno agli antipodi, finiscono per congiungersi proprio per via del vuoto che si è creato in mezzo alle loro diversità d’origine. Rodolfo Gucci (Jeremy Irons) padre di Maurizio e fratello di Aldo, nonostante sia minore di quest’ultimo si presenta come riferimento morale della famiglia. Mentre Aldo, infatti, se la spassa a New York, Rodolfo vive da recluso e, a differenza di questi, capisce subito la natura arrivista dell’altro personaggio cardine del racconto, Patrizia Reggiani. Lady Gaga nella sua interpretazione della moglie di Maurizio si produce in una performance sontuosa, spiccando per talento in un cast che, come si è visto, è composto da mostri sacri come Pacino e Irons tra gli altri. Per quanto la Reggiani della realtà si sia lamentata del fatto che Lady Gaga non l’abbia nemmeno interpellata prima di girare il film, il personaggio della signora Gucci del film è strepitoso. Hanno peraltro ragione sia Rodolfo in principio che il marito Maurizio in seguito, a tratteggiare in modo nettamente negativo la donna: si tratta di un’arrivista senza scrupoli e nessun pudore.
Dietro la patina di eleganza pacchiana si nasconde una persona vuota che ha come unico scopo accaparrarsi più roba (soldi, case, azioni, borse, ecc) possibile. Lady Gaga riesce a ricreare quello strano mix per cui, pur nella mancanza di vera eleganza. il personaggio aveva un indubbio fascino erotico a tratti dirompente. E lo dice pure: io piaccio alla gente, si presenta infatti così la ragazza a Rodolfo. Non è propriamente vero o non del tutto, tant’è che il vecchio Gucci la inquadra sin da subito, al di là della cortesia di facciata. L’importanza di questi aspetti è che mettono in risalto quanto futile sia la presunta classe dell’alta moda: è semplicemente una questione di equilibrio, virtù che manca alla Reggiani sfavorita in quest’ottica dal fatto che, in un fisico non certo slanciato come il suo, ogni lieve eccesso viene rimarcato.
Ma la moda è poco altro per non dire null’altro, tanto che il mondo della moda è rappresentato in modo perfetto da questi due personaggi apparentemente agli antipodi, Rodolfo Gucci e Patrizia Reggiani. Tra gli altri, Maurizio sembra capitato nei Gucci quasi per caso e, in effetti, il malcelato spaesamento di Adam Driver che ogni tanto agisce come fosse sicuro di sé è perfetto. Così come superficiali sono gli altri della famiglia, ad esempio Al Pacino che gioca a fare il gangster in mocassino è quel delizioso appena prima di essere stucchevole e Jared Leto è ambiguo e frustrato in modo altrettanto gustoso. Ma sono caricature, personaggi privi di spessore, figure di un mondo vuoto che non è per niente tridimensionale. A differenza loro, Rodolfo e Patrizia non è che siano della personalità poi più profonde, ma almeno si assumono responsabilità.
In mezzo, a congiungerli, il vuoto.
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