1123_LE VIE DELLA GLORIA (The Road to Glory). Stati Uniti 1936; Regia di Howard Hawks.
A Howard Hawks e William Faulkner non servivano troppi elementi per mettere giù le basi (leggi, una sceneggiatura) per un film perfettamente funzionale e questo è ben chiaro vedendo come Le Vie della Gloria scorra sul velluto con i suoi perfetti incastri sincronizzati. Ad onor del vero, va detto che Le Vie della Gloria è un remake di Les Croix de Bois (1932, di Raymond Bernard) e in qualche passaggio lo è in modo anche troppo spudorato. A parziale scusante si potrebbe dire che, anche se Les Croix de Bois era un’opera di pochi anni prima, al tempo chi poteva conoscere negli States quel film francese? La questione, almeno stando a Lenny Borger, è un filo più articolata e merita giusto un’annotazione. Il film francese dopo il meritato successo in patria ebbe la fama internazionale ostacolata prima dai nazisti e poi dagli americani di Hollywood. Addirittura la Fox, lo studio che ne comprò i diritti, non solo non lo distribuì ma ne utilizzò le scene per i successivi film di Darryl F. Zanuck. E l’unico film che viene citato esplicitamente da Borger è proprio Le Vie della Gloria. [Lenny Borger, Les Croix de bois, "Cinématographe", n. 91, luglio 1983]. Guardando oggi le due opere bisogna riconoscere i tanti debiti del film di Hawks verso quello di Bernard: oltre agli elementi comuni della storia, ci sono scene e sequenze che sembrano in fotocopia e, a quanto pare, abbiamo capito perché. Tuttavia Hawks e Faulkner modificano la cronologia di alcuni eventi; ad esempio il soldato lasciato morire sul reticolato nella terra di nessuno viene in questo caso messo subito in apertura del racconto.
Forse per ambientare in modo angoscioso la vicenda o magari anche solo per permettere lo scambio di battute tra i soldati al momento dell’avvicendamento in prima linea. “Ti ho lasciato il posto con un uomo sul filo spinato e me lo rendi sopra una mina” dice infatti l’ufficiale che entra in servizio, poco prima di saltare in aria su quella famosa mina che, con tempismo perfetto, risparmia i nostri protagonisti a discapito dei loro commilitoni. Ma questo può essere giusto un vezzo narrativo dei due autori che amavano creare i dialoghi, e gli incastri narrativi connessi, con estrema cura. E va detto che tutta la tensione derivata dal rumore degli scavatori tedeschi, che andavano a minare dal sotto la trincea francese, è gestita in modo inarrivabile da Hawks. Del resto il regista americano era l’assoluto maestro della tensione da assediamento, in questo caso già duplice, ovvero sia dall’esterno (le trincee sotto il fuoco nemico) che dall’interno (la paura derivante dai rumori nel sottosuolo che diveniva puro terrore quando non si sentavano più i colpi di piccone, a testimonianza che lo scavo era terminato e l’esplosione imminente). Eppure, ai fini generali, risulta ben più significativa la traccia sentimentale con l’introduzione di un personaggio, quello dell’infermiera Monique (una splendida June Lang), forse poco credibile nel contesto ma certamente molto funzionale. E’ di lei che si innamorano il capitano La Roche (Warner Baxter) e il tenente Denet (Fredric March), del glorioso 39simo reggimento al centro della vicenda. Inizialmente tra loro c’è ben poca sintonia e, stando alle parole di Hawks, si cercava di ricreare la stessa situazione usata ne La squadriglia dell’aurora (1930), opera dello stesso regista.
Le difficoltà connesse alla responsabilità del comando ed a relazionarsi con i sottoposti erano infatti le stesse, tanto in aviazione, La squadriglia dell’aurora, che in fanteria, Le Vie della Gloria, e allora, col sano pragmatismo che lo contraddistingueva, perché cercare altrove. L’importante, sempre ma in Hawks ancora più chiaramente che in altri autori, non è nel cosa si racconta ma nel come lo si racconta. E proprio la traccia sentimentale, tanto romantica quanto improbabile, rende Le Vie della Gloria un film più completo rispetto alle opere verso cui è debitore, sia Les Croix de Bois che La squadriglia dell’aurora. Meno riuscita la figura del vecchio padre di La Roche (Lionel Barrymore), tuttavia l’umanità della storia trae giovamento anche dai risvolti drammatici che vedono coinvolto l’anziano soldato. Ma, come detto, è soprattutto la presenza scenica di June Lang a fare la differenza, anche se come infermiera del fronte è davvero fuori posto così ben truccata e pettinata, con le calze in nylon e le scarpe col tacco, la figura slanciata snella ed elegante. Ma è lei che incendiando la traccia sentimentale riesce a rendere tridimensionali le personalità dei due rivali amorosi, completando il ritratto abbozzato attraverso le questioni belliche tra i due. Curioso come, in questo film, un innesto tanto azzardato sia funzionale quando in circostanze apparentemente simili aveva invece in parte affossato il progetto. Nel precedente Rivalità eroica, anch’essa opera sulla Prima Guerra Mondiale di Hawks e Faulkner, l’inserimento a posteriori nella storia di Joan Crawford, voluta dalla MGM, scompigliò la funzionalità del testo. Invece, come detto, la magnetica ma discreta presenza di June Lang, mette il giusto pepe in una tipica storia virile di guerra: del resto, i grandi autori possono anche avere un passaggio a vuoto, ma non due sullo stesso tema.
June Lang
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