485_IL RITORNO DEI MAGNIFICI SETTE (Return of the Seven); Stati Uniti, 1966. Regia di Burt Kennedy.
Burt Kennedy è una cineasta serio; magari non propriamente
un autore come si intende qui in
Europa, ma è un professionista in gamba e competente. Non per niente è anche
uno sceneggiatore (memorabili le sue collaborazioni con Budd Boetticher, tra
cui i notevoli I sette assassini, L’albero della vendetta e La valle dei Mohicani), e se c’è una
cosa su cui si può stare sicuri, è che gli sceneggiatori di Hollywood sono
persone dedite al lavoro. Comunque, per questo Il ritorno dei Magnifici Sette il nostro Burt si cimenta solo alla
regia, lasciando la sceneggiatura al giovane Larry Cohen. Il film è il sequel
del fortunato I Magnifici Sette di
John Sturges che, nel 1960, diede una scossa al genere western; e questo è forse
l’elemento più rilevante di quell’opera ma, purtroppo, è anche l’aspetto che
meno può essere replicato. La figura dell’anti-eroe ha già fatto il trionfale
ingresso nella storia del genere western con I Magnifici Sette e, quindi, qualunque riproposizione della formula
non può certo pretendere di avere anche solo il
riflesso di quel successo. Per cui, meno male che in regia c’è Burt
Kennedy che, se è scontato che debba provare a replicare il capostipite,
perlomeno si preoccupa che il suo film abbia comunque la dignità di opera
cinematografica. Del cast originale rimane solo Yul Brynner nei panni di Chris,
mentre la parte di Vin tocca a Robert Fuller
(pare che Brynner abbia posto il veto sulla partecipazione di Steve
McQueen), mentre l’ultimo dei Sette originali che è rimasto, Chico, è qui interpretato
da un anonimo Juliàn Mateos (in luogo dell’ambiguo ma carismatico Horst
Buchholtz).
In generale il livello qualitativo del gruppo di personaggi al
centro della storia è inferiore a quello precedente, sebbene siano interessanti
Warren Oates nei panni di Colbee (il dongiovanni) e Claude Akins in quelli di Frank,
l’aspirante suicida. Curiosa la
presenza di Fernando Rey nel ruolo del prete, mentre più ambigua e sfaccettata
la figura del cattivo di turno, Lorca a cui dà la grinta Emilio Fernandez.
Questi non è il classico prepotente avido che sfrutta i peones messicani; no, Lorca dice di avere motivazioni più profonde e serie. Lui vuole che i contadini costruiscano una
chiesa come santuario alla memoria dei suoi due figli morti durante una delle
tante guerre locali: se i peones non
combattono quando c’é da combattere, almeno che dessero il loro contributo alla
memoria di quelli che in battaglia c’erano morti.
In realtà, i due figli di
Lorca era ben lungi dall’essere gli eroi che voleva il padre; forse proprio il
senso di colpa verso i figli mandati controvoglia a combattere e a morire, dava
origine alle insane pretese dell’uomo nei confronti dei poveri contadini. In
ogni caso è uno spunto critico interessante perché, pur con tutti i distinguo del
caso, un certo opportunismo dei peones, che avevano certamente la
giustificazione di una vita dura e poverissima, li metteva spesso nelle
condizioni di subire le angherie dei prepotenti piuttosto che provare a
ribellarsi. Ma si tratta solo di un'interpretazione, vista poi nell’ottica del cattivo
della storia e quindi non può certo dirsi condivisa dagli autori; ma il rilievo
rimane.
Nel complesso il film è un piacevole pretesto per godersi le
straordinarie musiche di Elmer Bernstein, le stesse del capitolo originale,
riproposte anche per questa seconda avventura dei Sette.
Lola Montés
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