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martedì 23 gennaio 2018

IL MUCCHIO SELVAGGIO

90_IL MUCCHIO SELVAGGIO ( The Wild Bunch). Stati Uniti, 1969;  Regia di Sam Peckinpah.

Novantamila proiettili (a salve, ovviamente) per poco più di sei minuti (6’ e 10” per l’esattezza) e una sequenza a dir poco leggendaria: è lo scontro finale tra il Mucchio Selvaggio (Pike Bishop/William Holden, Dutch Engstrom/Ernest Borgnine, Lyle Gorch/Warren Oates e Tector Gorch/Ben Johnson) e l’esercito del generale Mapache (Emilio Fernàndez). Sam Peckinpah ce l’ha quindi fatta, e tutto sommato abbastanza velocemente, nonostante le frustrazioni subite nei tre precedenti lungometraggi devono essergli pesate molto: il suo western, il western alla Peckinpah è divenuto realtà. Se i primi due film del regista californiano (La morte cavalca a Rio Bravo e Sfida sull’Alta Sierra), pur coi loro evidenti meriti, possono essere serviti a prendere un po’ le misure al mestiere di regista e al genere nel suo complesso, già con Sierra Charriba era lampante l’intenzione dell’autore di mettere su pellicola un’opera che fosse al contempo celebrativa e dissacrante, un’operazione che solo un genio del suo calibro poteva immaginare. Ma il film con Charlton Heston e Richard Harris, forse proprio in virtù di quei suoi azzardi già nella concezione, aveva addirittura subito più ingerenze dai produttori rispetto ai già martoriati primi due lavori di Peckinpah. Per nostra fortuna tra le qualità del regista c’è anche l’ostinazione, e quello che in Sierra Charriba era solo intuibile tra i frammenti di una storia forse troppo articolata e in ogni caso poi massacrata in sede di montaggio, diviene formalmente ineccepibile in questo  Il Mucchio Selvaggio, che vanta, rispetto al tentativo precedente, una maggior coesione del plot narrativo, in questo caso perfettamente congegnale alla riuscita complessiva.
La struttura del film è compresa tra due gigantesche sparatorie: la storia si apre infatti con una rapina in banca del Mucchio Selvaggio (nome a cui corrisponde, in sostanza, una banda di fuorilegge), che è atteso in trappola dagli uomini ingaggiati dalla ferrovia, capeggiati da Deke Thorton (Robert Ryan), tra l’altro ex compagno di scorribande del leader del mucchio, Pike Bishop. La sequenza d’apertura del film è magistrale: gli uomini del mucchio, con le divise dell’esercito americano, entrano a San Rafael sfilando con tranquillità nella main-street del paese; alcuni bambini si divertono con due scorpioni in lotta con le formiche rosse, un pastore della Lega della Temperanza proclama il suo sermone sotto un  improvvisato tendone. Sul tetto di fronte alla banca, Thorton sembra appisolato, al contrario dei suoi compagni, i bounty-killers, che fremono per entrare in azione e far fuoco sul mucchio, dando vita all’imboscata. Il corteo della Lega della Temperanza si incammina, i bambini corrono e ridono, il Mucchio Selvaggio entra in azione ad armi spianate dentro la banca; i bounty-killers della ferrovia non stanno più nella pelle, non riescono a starsene nascosti e, alla fine, facendosi scorgere, mandano sostanzialmente in malora l’effetto sorpresa. La situazione precipita, i cacciatori di taglie attaccano il concerto in modo maldestro, gli uomini del mucchio, recuperato il bottino, provano a filarsela, rispondendo comunque al fuoco: il tutto in mezzo alla strada, tra la gente e i passanti capitati per caso nella bolgia che si scatena.

Se la scena si presenta in modo più realistico dei tanti agguati visti fin’ora nei film western (il nervosismo degli uomini in agguato, le persone innocenti coinvolte), gli effetti dei colpi sono addirittura enfatizzati: ferite che si aprono sui corpi, sangue che sgorga e zampilla, cadute, ruzzoloni, cavalli imbizzarriti, gente che urla, che scappa in ogni direzione. Un montaggio frenetico abbinato, magistralmente, ad un uso quasi esasperato delle immagini al rallentatore, produce un effetto quasi ipnotico, di sublime estasi, che pone al centro dell’attenzione il fascino della violenza, senza alcuna ipocrisia.

La violenza è da sempre il tema dominante, o comunque uno dei temi prevalenti, del cinema americano che ha sempre cercato, almeno fino ad ora, pretesti ed escamotage narrativi per poterla riprodurre sullo schermo. Peckinpah azzera questa ipocrisia: la violenza è affascinante, praticamente chiunque veda Il Mucchio Selvaggio, beninteso a mente serena, non può che convenirne. La conquista del west fu un periodo estremamente violento: e questo è sicuramente uno dei motivi del suo fascino e Peckinpah, non avendo remore a mostrarcelo, può anche, contemporaneamente, denunciare i suoi effetti collaterali in un contesto realistico. Nel west non edulcorato del regista statunitense gli episodi di violenza coinvolgono anche personaggi estranei, semplici passanti, uomini, ma anche donne o bambini. In questo senso della violenza non è solo mostrato il fascino perverso ma anche la duplice pericolosità: per l’influenza malefica che può avere ma anche per i semplici danni collaterali, abitualmente però ignorati dal cinema perché scomodi e difficili da gestire in un racconto.


Dopo la sequenza della rapina si apre una sorta di caccia, con i banditi che ripiegano in Messico e i killers della ferrovia che li inseguono. Tra i due gruppi di uomini non ci sono grosse differenze: quelli del Mucchio Selvaggio sono banditi senza scrupoli capeggiati da un uomo di aspetto asciutto, abbronzato, sulla cinquantina, coi baffi (Pike Bishop); la stessa descrizione della fattezze somatiche può andar bene per il capo degli inseguitori (Deke Thorton) mentre i suoi uomini sono canaglie anche peggiori dei fuggivi.

Quello che salta subito all’occhio è la mancanza di una componente positiva nella contesa: banditi gli uni, banditi gli altri. E se gli uomini del mucchio non sono certo presentati con indulgenza, i killers sono mostrati come autentici sciacalli avvezzi a depredare i morti da loro stessi uccisi. Ma i buoni sono assenti praticamente in tutto il film: forse solo per le reclute dell’esercito americano che si aggiungono alla caccia al Mucchio Selvaggio viene risparmiata una descrizione negativa, laddove però Peckinpah si sofferma sulla loro completa inadeguatezza. Pessima figura ci fa la ferrovia che ingaggia volgari criminali spronandoli ad uccidere pur di eliminare gli ostacoli ai propri affari, e pessima figura anche per i messicani, una masnada di briganti al soldo di Mapeche. Se la potrebbero cavare gli abitanti del paesino natale di Angel (l’elemento messicano del mucchio), che pur nell’estrema povertà si mostrano molto ospitali: a loro carico vanno però ascritte le due traditrici della storia. Per prima la bella Teresa, che tradisce l’amore di Angel per il potere di Mapeche, e in seguito anche sua madre, per vendicarsi della fine subita dalla figlia, uccisa per gelosia dallo stesso Angel.


Proprio questo è uno degli aspetti di grande impatto dell’opera di Peckinpah: non solo donne e bambini sono coinvolti in quanto vittime innocenti, ma sono essi stessi protagonisti del male e della violenza, non solo con atti subdoli come i suddetti tradimenti, ma anche in modo assai più attivo durante gli scontri a fuoco. L’estrema lucidità, l’impietosa analisi rende Il Mucchio Selvaggio un film assolutamente capitale, ma non è certo un film immerso in una luce completamente negativa, anzi. Dopo varie peripezie narrative, (tra le tante, un assalto al treno, un ponte fatto saltare in modo spettacolare sotto i piedi degli inseguitori, un accordo tra il Mucchio Selvaggio e il general Mapeche) si arriva all’esaltante scontro finale.
Si è detto come Angel, in precedenza, in modo del tutto inaspettato, a sangue freddo e in pubblico, avesse ucciso la sua ex fidanzata Teresa, divenuta una delle donne di Mapeche; il general in prima istanza aveva soprasseduto ma ora della fine era evidente che avrebbe dovuto fargliela pagare. Il pretesto è una cassa di fucili trafugata da Angel e dai suoi compaesani; il tradimento è della madre di Teresa, che vuole vendicare la figlia: Mapeche non aspetta altro per catturare e torturare il povero Angel, mentre paga il convenuto al resto del mucchio.

I quattro reduci della banda, Pike, Dutch e i fratelli Gorch hanno i soldi, ma sono ancora tallonati da Thorton e dai suoi killers; il povero Angel è torturato dagli uomini di Mapeche. Spesso, al cinema, si è mostrato come prima di fare l’amore sia necessario sfogare la propria parte violenta, tanto che dopo un conflitto c’è una scena romantica (a partire dal classicissimo duello per contendersi la dama in premio al vincitore). Peckinpah rovescia anche questo cliché: tre membri del mucchio, (i Gorch, due autentici puttanieri, e Pike) si concedono una sana ora di svago con un paio di prostitute messicane; Dutch rimane seduto fuori, intagliando un legno mentre probabilmente non smette di pensare alla sorte di Angel, a cui deve la vita. Una volta terminato, Pike, si riveste mentre, a sua volta, la ragazza si riassetta un po’, mettendosi un po’ di profumo. Il bambino della giovane piange, una musica di chitarra dolce accompagna il momento.

Pike si fa un sorso di tequila; dalla stanza accanto giungono le lamentele dell’altra prostituta, che protesta perché i fratelli Gorch vogliono pagare una corsa singola e non doppia. Lyle si fa una doccia con la bottiglia di tequila, Tector gioca tenendo tra le mani un passerotto; nel locale entra Pike, li guarda prima di dire semplicemente: andiamo. I due sembrano sorpresi, si guardano, guardano Pike: sì, andiamo_ risponde Lyle. Pike paga la ragazza, che ringrazia con un cenno del capo; i tre se ne vanno, mentre si sentono le invettive della seconda prostituta contro i fratelli e vediamo il passerotto rantolare agonizzante in fin di vita. Pike, Lyle e Tector escono dal bordello, Dutch, vedendolo pronti all’azione, sorride e si alza: i quattro cavalieri dell’apocalisse si incamminano per vendicare l’Angelo caduto.


La sparatoria nel covo di Mapeche dura la metà della rapina alla banca che apre il film ma è violenta il doppio. E rivela in modo chiaro, plateale, il tema del film: l’amicizia è un codice di onore sorretto da un senso di solidarietà l’uno per l’altro che è talmente forte da resistere anche nel peggiore dei mondi possibili. E’ questo che ci mostra la magistrale sequenza dello scontro finale, che è una sorta di Giudizio Universale michelangiolesco in versione western.
Il Mucchio Selvaggio non è l’ultimo grande classico western: è semplicemente quello definitivo.










Il Mucchio Selvaggio











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