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domenica 8 dicembre 2019

LILLI E IL VAGABONDO

465_LILLI E IL VAGABONDO (Lady and the Tramp); Stati Uniti, 1955Regia di Hamilton Luske, Claude Geronimi e Wilfred Jackson.

Pare che la scelta di adottare il Cinemascope, lo schermo panoramico allora da poco in voga, sia stata presa da Walt Disney non seguendo criteri artistici inerenti alla storia da raccontare nel film, ma  perché ritenuta un’esigenza produttiva per stare al passo coi tempi. In effetti, il racconto in questione, Lilli e il vagabondo, appunto il primo classico di Walt Disney in formato Cinemascope, come pretese narrative, non è che richiedesse questo grande spazio figurativo. Basta fare la conta dei personaggi: oltre a Lilli, la cockerina protagonista, a Biagio, il vagabondo, Whisky e Fido, i due cani vicini di casa, Gianni Caro e Tesoro, i padroni umani di Lilli, Tony e Joe, i due ristoratori di origine italiana, e poi Zia Sara e i suoi gatti siamesi, Si e Am, gli ospiti del canile, infine il ratto e ne avanzano davvero solo pochi altri. Insomma, non c’è mai in scena una folla da giustificare il grande spazio a disposizione. Oltretutto, la dimensione panoramica comportò alcune difficoltà nella gestione dell’animazione, sia nel modo in cui muovere i personaggi sullo sfondo sia per il fatto che non si poteva usare a piacimento il primo piano per colmare lo schermo come avveniva nel tradizionale formato 4/3. Naturalmente alla Disney gli animatori trovarono tutte le soluzioni necessarie: gli sfondi di Lilli e il vagabondo sono magnifici e giustificano con la loro bellezza lo spazio a disposizione e il maggior sviluppo orizzontale dello schermo fu sfruttato in modo coerente con il testo da raccontare. Con una storia incentrata sul punto di vista dei cani, lo schermo basso e allargato si dimostrava infatti più confacente a protagonisti che stavano a quattro zampe, mentre gli umani finivano così per restare con la loro parte superiore fuori dall’inquadratura. 

Il film, quindi, presenta un ribaltamento degli abituali ruoli tra umani e cani, con un punto di vista che privilegia i secondi. E se è vero che c’erano già stati animali antropomorfi nei cartoni animati, in questo caso l’impostazione è leggermente diversa. Umani e cani sono rappresentati, pur nello stile Disney, in modo realistico e, quando condividono la scena, i primi parlano mentre i secondi abbaiano, guaiscono o ululano. Quando invece la scena è appannaggio dei soli cani, e ciò costituisce la maggior parte della durata del film, tra di loro i cani parlano. Questa incoerenza narrativa, tipica del linguaggio infantile, elimina complicati espedienti narrativi senza inficiare minimamente la funzionalità dell’opera. 

Curiosamente se gli umani vengono in genere inquadrati un po’ di sfuggita e dal basso, questo non accade con i due ristoratori di origine italiana, che vengono ripresi normalmente e, oltretutto, si relazionano in modo più naturale con la coppia di cani. Questo anche se nel passaggio in questione viene mantenuto il doppio binario sui dialoghi per cui, quando Biagio abbaia qualcosa nell’orecchio di Tony, l’uomo comprende l’ordinazione del cane, ma la cosa è sorprendente. A questo proposito, è ovvio che si tratta del piatto di spaghetti (con polpette di carne) che poi, mangiato da Lilli e Biagio, darà luogo alla famosissima scena. 

Ovvero quella in cui i due innamorati a quattro zampe si troveranno a condividere l’identico spaghetto e la romantica cenetta culminerà con il classicissimo bacio. Uno stratagemma simpatico che permette di affrontare la cosa, l’elemento romantico in chiave concreta, in modo simpatico e adeguato ad un film destinato (anche) ai bambini. Tornando al dialogo tra Biagio e Tony, la stranezza della cosa è notata anche da Joe, il cuoco, che chiede al suo principale come possa aver compreso il linguaggio canino. A parte questo passaggio, se un primo ribaltamento di ruoli tra umani e cani prende quindi una forma visiva in Lilli e il vagabondo, ciò viene anche esplicitamente dichiarato più volte nel detto citato nel film, l’uomo è il miglior amico del cane. Ovviamente si tratta di una divertente interpretazione che già rovescia i termini rispetto a quanto abitualmente conosciuto ma che, in ogni caso, Biagio vuole ulteriormente smentire. 



La vena sovversiva, davvero appena accennata, è però presente anche considerando che Lilli è una cagnolina altolocata mentre Biagio è appunto un vagabondo. Vero è che, nel finale, anche Biagio finisce per imborghesirsi, come dire che la libertà è bella ma anche la vita famigliare ha i suoi lati positivi. Il messaggio un po’ conformista conclusivo non inficia però l’impostazione generale della storia, che aveva fin lì esaltato il vagabondo come personaggio quasi eroico. Diciamo che, in una storia romantica e disneyana, è abbastanza prevedibile che l’amore trionfi anche sulla voglia di libertà. Il tema è quindi abbastanza semplice e anche lo sviluppo narrativo non si complica la vita più di tanto. 

A livello di trama succede poco e la storia procede anche grazie ai soliti intermezzi musicali, oltre che ad alcuni divertenti passaggi narrativi, su tutti la folle incursione dei gatti siamesi Si e Am che mettono a soqquadro la casa senza alcun ritegno. Insomma, Disney va sul sicuro con una storia del filone romantico (in fondo Lilli è una degna principessa della scuderia), ambientata più sul versante animale che non su quello umano. Le piccole novità dell’operazione, ad esempio il ribaltamento di ruoli tra cani e umani o l’uso dello schermo panoramico, inserite in modo discreto, si notano forse poco, ma non per questo hanno meno efficacia. L’evoluzione del cinema di animazione passa anche da passaggi erroneamente spesso ritenuti minori. Come Lilli e il vagabondo: un classico, a pienissimo titolo.       




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