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lunedì 16 dicembre 2019

I FIORI DELLA GUERRA

473_I FIORI DELLA GUERRA (Jin líng shí san chai); Cina, 2011Regia di Zhāng Yìmóu.

Se partiamo ad analizzare l’opera di Zhang Yimou dal titolo, c’è di che rimanere un po’ interdetti. I fiori della guerra sembra infatti intendere che un evento tragico come quello bellico produca come risultato qualcosa che è universalmente riconosciuto come bello, piacevole. E, in effetti, sullo schermo è quello che accade. Ma andiamo con ordine perché, nel film, prima di arrivare ad una simile conclusione, il regista non lesina di mostrarci le atrocità che i giapponesi infierirono alla popolazione cinese durante il massacro di Nanchino nel 1937. Forse Yimou esagera con il patriottismo, in questa sua messa in scena, sconfinando nella retorica nazionalista: ma è un dato di fatto che i nipponici furono spietati in quella e in altre occasioni dell’epoca. Può certamente infastidire, il punto di vista unilaterale del regista cinese, ma questo atteggiamento non è certo nuovo e anzi, si può considerate come una sorta di effetto collaterale di moltissimo cinema di guerra, per cui, anche se si tratta certamente di un limite, come spettatori dovremmo avere gli anticorpi formatisi guardando la maggior parte dei film bellici americani (e non solo) da decine di anni a questa parte. In ogni caso, al di là degli eventi tragici, il regista indugia sulle efferatezze, quasi a dare alla violenza un forma astratta con cui bilanciare i giochi e gli effetti di luce e cromatici della fotografia di Xiaoding Zhao. Eccoli, quindi, gli elementi in gioco in i Fiori della guerra: la violenza e la bellezza. E nella trama, accanto ai soldati, anzi, più propriamente al centro della scena ben più dei militari, due gruppi di individui femminili: quello di alcune giovanissime studentesse e quello di seducenti prostitute. 


Da una parte la bellezza pura e innocente delle ragazzine, dall’altra quella smaliziata e navigata delle professioniste del piacere: in mezzo, un becchino occidentale, tale John Miller interpretato da Christian Bale. Il bravo attore, in questo caso francamente a suo agio come il classico pesce fuor d’acqua, interpreta senza troppa convinzione un personaggio un po’ ambiguo che si ritrova quasi a dirigere il collegio dopo la morte del sacerdote che era stato chiamato a seppellire. Se da un punto di vista estetico il film si concede passaggi ad effetto, la trama lascia un po’ a desiderare, e questo potrebbe anche essere una caratteristica dell’opera: a quel punto, però, diventa difficile sostenere le oltre due ore di durata della storia. 


Con Bale che fa il cascamorto in modo piuttosto maldestro con la bella Ni Ni (nel film è Yu Mo, la prostituta con maggior carisma e avvenenza), suscitando la gelosia di una delle studentesse (Shu interpretata da Zhang Xinyi) che si è innamorata del bel forestiero, le cose sembrano mettersi un po’ male per la piena riuscita della pellicola. Con l’arrivo dei militari giapponesi la trama ha finalmente una fiammata: il colonnello Hasegawa (Atsuro Watabe) vuole ascoltare il coro del collegio, ma lasciare andare le ragazzine nel covo dei nipponici sembra essere una cosa poco salutare per la virtù (prima) e la vita (poi) delle giovanissime. 

Allora le prostitute, che in un primo momento erano in piena ostilità con le educande, decidono di sacrificarsi e vanno al posto delle ragazzine: prende significato, a quel punto, la professione di becchino del protagonista, perché la sua abilità diventa necessaria per truccare, in modo da ringiovanirle, le ragazze di vita. Il problema è che le ragazzine sono 13, e le prostitute solo 12, e il colonnello Hasegawa, da buon giapponese, è preciso è si è premurato di contare le coriste (mentre è completamente all’oscuro della presenza dell’altro gruppo, se no apriti cielo). Fatto sta che, per pareggiare il conto, viene coinvolto il povero George, un orfano fac-totum che nel collegio dava una mano al sacerdote e che ora finisce a fare la tredicesima corista insieme alle prostitute. Così John Miller può portare in salvo le giovani studentesse, mentre delle prostitute (e del povero George) non si saprà più nulla. Se non che il loro sacrificio ha dimostrato come quello estetico non fosse il loro lato più ammirevole: le loro anime, davvero fiori bellissimi.











Zhang Xinyi



Ni Ni







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