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sabato 14 dicembre 2019

ROCKY II

471_ROCKY II ; Stati Uniti 1979Regia di Sylvester Stallone.

Sebbene perfettamente comprensibile da un punto di vista del riscontro economico, il ripescaggio della storia del pugile Rocky Balboa, dopo il primo riuscito film, è una sorta di tradimento cinematografico. Rocky, il primo episodio, è un film compiuto proprio nel suo essere unico, nel suo raccontare la storia d’amore tra Rocky e Adriana; che si risolve, positivamente, nell’emozionante, anche se retoricamente sdolcinato, finale. E il senso di tutta quella storia è quel finale, il coronamento di un sogno romantico un po’ ingenuo, di un uomo che deve trovare il rispetto di se stesso per potersi dichiarare alla donna che ama. Gli ostacoli sono amplificati dall’ambiente disagiato da cui proviene, dalla sua scarsa cultura o dalle difficoltà a trovare un impiego; ma l’eroe può farcela se crede in se stesso e se c’è la donna che ama che crede in lui. Il cerchio si chiude quando, realizzatosi come uomo, l’eroe può dichiararsi all’amata. Questo era, in estrema sintesi, il senso stretto del primo Rocky. Per andare oltre, occorre una profondità che Stallone, come scrittore ma anche come interprete, non ha. Con queste premesse Rocky II non poteva essere un film che funzionasse, e infatti non funziona quasi niente: la storia sentimentale non gira, l’aspetto sociale nemmeno, c’è un minimo di interesse per l’effimera condizione di chi ha raggiunto l’apice e dopo si vede dimenticato troppo in fretta, ma è poca roba. Al limite del blasfemo i riferimenti pugilistici: qui della noble art non c’è niente di nobile e nemmeno di artistico, si tratta di scazzottate degne dei film di Bud Spencer o poco più. Anche non si può negare come sia da questo secondo episodio che si stagli in modo nitido l’aspetto più interessante della saga dei film di Rocky: quello liturgico. E allora, in questo senso, appare coerente e funzionale il ripetersi ossessivamente degli stessi passaggi narrativi, le stesse situazioni, le stesse sensazioni. Le lievi modifiche, da un episodio all’altro, sono sufficienti a giustificare una nuova visione e, al contempo, permettono allo spettatore di rivivere le stesse emozioni.
Più che un film, un rito, una celebrazione: ogni epoca ha il suo messia.    



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