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mercoledì 11 dicembre 2019

CRONACA FAMILIARE

468_CRONACA FAMILIARE ; Italia, 1962Regia di Valerio Zurlini.

Regista di eccezionale talento, Valerio Zurlini è stato a lungo sottovalutato. Oggi è perfino facile, guardando uno dei suoi film, rendersi conto di quanto fosse bravo. Cronaca familiare, ad esempio, è un capolavoro. Lo è, in prima istanza a livello formale. Zurlini ha un gusto e un’attenzione alla composizione dell’immagine e della sequenza sopraffini; in Cronaca familiare, oltre alla naturale ricercatezza formale, c’è una cura maniacale nel riproporre le atmosfere delle opere pittoriche di Ottone Rosai, di cui un quadro è appeso alla parete della stanza del protagonista, per gli esterni e di Giorgio Morandi per le spaziose scene d’interni. Ciò, unitamente al rigore prestato nella trasposizione del romanzo omonimo di Vasco Pratolini, soggetto dell’opera di Zurlini, ci dice dell’attenzione formale del regista, non solo per la sua opera in sé ma anche per i rimandi della stessa. Ma non vanno taciuti, sempre in questo merito, le qualità della fotografia di Giuseppe Rotunno, indispensabile nella resa delle immagini ispirate ai dipinti dei suddetti pittori (e premiata con il Nastro d’Argento 1963), la musica spesso dissonante ma assai efficace di Goffredo Petrassi e, naturalmente, le interpretazioni degli attori. Su tutti spicca un superbo Marcello Mastroianni (è Enrico), ma molto bravo anche Jaques Perrin (suo fratello Lorenzo). Cronaca familiare è quindi un film calligraficamente eccellente; ma, questo, è solo il punto di partenza.
Il film si apre con una frase di Foscolo e il tributo al romanzo di Pratolini alla base del trattamento cinematografico, accanto a due fotografie in bianco e nero. 

L’intima delicatezza sentimentale di Cronaca familiare è quindi da ascrivere, almeno in origine, alla cifra poetica dello scrittore; a cui si accoda il regista, facendo proprio questo originale sguardo di sensibilità tutta maschile. Le due fotografie in bianco e nero torneranno anche in chiusura, stavolta con la didascalia in riferimento al film: è un atto di riguardo per la primogenitura del romanzo ma anche l’ultimo grande indizio della specularità dell’opera che, in effetti, è un film che si riflette nel romanzo d’origine. Gli elementi sdoppiati sono numerosi a partire dai due fratelli protagonisti: simili, tra loro, se diamo ascolto alla nonna (l’attrice francese Sylvie), ma speculari (già esteticamente: uno e giovane e l’altro è quasi vecchio, uno biondo e l’altro moro; ma poi anche caratterialmente). Pur essendo un film di grande impatto sentimentale, Cronaca familiare è declinato totalmente al maschile. Le uniche donne della storia sono quelle che non hanno peso nell’economia dell’attrazione sessuale: la madre, vero fulcro della storia, che però è fisicamente assente essendo morta poco dopo il parto di Lorenzo, e la citata nonna che, diversamente (specularmente) è invece presente. 


Questo tipo di raddoppio è riproposto anche nelle altre figure femminili che sfiorano la vicenda: la prima ragazza di Lorenzo fa una fugace comparsa in una scena, mentre la successiva, che diverrà sua moglie, sarà tirata in ballo un paio di volte ma mai si paleserà. Ma sono personaggi molto marginali: la storia è incentrata solo sui due fratelli e sul loro rapporto. C’è, per la verità un rimando ad un’amica di Enrico, davvero un dettaglio minimo, forse utile a scongiurare ogni possibile ipotesi di omosessualità; in realtà Cronaca familiare è una storia in cui la componente sessuale è totalmente assente. 

Questa estraneità ai temi legati all’attrazione sessuale, permette di raccontare di un sentimento completamente disinteressato: un vero esempio di affetto puro e semplice. In questo modo, senza interferenze, è forse possibile risalirne alla vera e profonda natura. Affetto, quindi, tra fratelli; ma niente affatto scontato. In effetti, in principio, tra Enrico e Lorenzo non c’è tutta questa sintonia. Enrico era bambino quando la madre morì dopo aver dato alla luce il fratellino; e, in cuor suo, è quasi naturale che Enrico gliene fece una colpa. In seguito, Lorenzo venne affidato al maggiordomo di un aristocratico, impietositosi della condizione familiare dei nostri protagonisti. Mentre il fratello maggiore veniva allevato in povertà dignitosa dall’affettuosa nonna, Lorenzo conosceva gli agi di una famiglia benestante; le visite della nonna e di Enrico alla villa del nobile divennero via via meno gradite e questo non alimentò certo il fiorire di un grande sentimento fraterno tra i due protagonisti. Qui comincia ad affiorare parte del discorso politico di Zurlini; forse proprio il motivo che lo renderà poco appetibile alla nostrana critica cinematografica, sempre schierata quando non militante. Perché, come si vede, fin’ora tra Enrico e Lorenzo non c’è alcuna ragione perché si istauri una legame affettivo. A parte il fatto di essere consanguinei. La famiglia è però un concetto molto borghese; forse il concetto borghese per eccellenza.


Ma per ora torniamo al rapporto tra i due fratelli: nella storia c’è un salto temporale, e i due si incontrano che Lorenzo è appena maggiorenne, mentre Enrico è in difficoltà professionali ed economiche. Dopo un primo e fugace incontro alla sala del ping pong, Lorenzo, elegante e ben educato va a trovare il fratello, avendo litigato col babbo, come chiama il padre adottivo. Anche la figura paterna ha un raddoppio del tipo già visto in precedenza: il babbo compare in qualche sequenza, il padre naturale, seppur se ne parla in qualche circostanza, mai. Comunque Enrico è malato, povero e senza lavoro; al contrario Lorenzo sembra avere davanti un avvenire assai più roseo. 

Ma, trattandosi di un’enorme storia allo specchio, accadrà esattamente l’opposto, con il maggiore che guarisce e riesce a diventare giornalista, mentre Lorenzo, dopo le difficoltà a trovarsi un lavoro, contrarrà una fatale malattia. I sentimenti tra i fratelli sono in questa fase interlocutori. Quando si incontrano per la prima volta in modo approfondito, nella scalcinata stanza di Enrico, è buio, hanno tagliato la luce, e Zurlini rinuncia al campo/controcampo come metodo di ripresa per il loro dialogo, limitando l’immedesimazione e quindi la partecipazione al loro rapportarsi per lo spettatore. C’è una distanza, tra di loro, avvertibile sin da subito ma che è resa concretamente quando il regista inquadra la nuca di Lorenzo mentre pone la fatidica domanda sulla madre: girato di spalle, il fratello minore pone l’attenzione sul reale motivo di divisione con Enrico. Per assurdo, pur con uno degli interlocutori voltato di spalle e l’altro reticente a rispondere, questo è il primo passo nel loro riavvicinarsi; quando poi Enrico accetta finalmente di parlarne, rivela al fratello una somiglianza tra lo sguardo della madre e quello dello stesso Lorenzo mentre è impegnato a giocare a ping pong. 

E’ forse lì che Enrico, divenendo consapevole dell’affinità del fratello con sua madre, istaura il primo legame affettivo con Lorenzo. Verrebbe da dire che si origina da uno spunto genetico, ma ci basti il termine familiare; in effetti più in linea anche con il titolo del film. La scelta di inquadrare un personaggio di spalle non  è l’unica: all’inizio, ad esempio, in questo singolare modo viene ripreso Enrico. E’ a Roma, in attesa della nefasta telefonata da Firenze, e Zurlini lo inquadra di spalle, la nuca in primo piano. Da li si apriranno una serie di flashback che ripercorreranno le vicende dei due fratelli: uno sguardo all’indietro, una sorta di bilancio. Ma anche qualcosa che non ti aspetti; uno sguardo alternativo che, forse, nella coerenza con cui è tracciato, è uno degli aspetti più importanti della poetica di Zurlini. Anche più della sublime capacità formale. In Cronaca familiare ci sono un paio di passaggi emblematici, in tal senso. Ad un certo punto, in una scena agreste, è inquadrata sullo sfondo una cascina dove campeggia una scritta: “Questa è la guerra che preferiamo”. Ora, quando compone un’inquadratura Zurlini, nulla è lasciato al caso ed è impossibile non notare quello che il regista vuole farci notare. Anche quando finge di farlo distrattamente. 

L’ambientazione della storia, in quel momento, è posta durante il ventennio fascista e i venti di guerra soffiano forti; la scritta sembra una delle tante che si vedono ancora oggi e che caratterizzarono la propaganda mussoliniana. In fondo, la traccia politica, lo abbiamo già visto in parte, corre sotterranea in tutta la pellicola e un riferimento al regime potrebbe anche essere pertinente. Invece è una clamorosa falsa pista: perché la scritta è opera dei contadini che intendono rimanere a far la loro guerra quotidiana contro la povertà lavorando i campi della fattoria, senza perdere il loro tempo nelle campagne militari prospettate da Mussolini. Un ribaltamento del significato di 180°; un po’ come un primo piano di una nuca, rispetto al consueto modo di riprendere i personaggi. 
Un altro passaggio in quest’ottica è il modo in cui Enrico cerca di far rivivere il ricordo della madre al fratello e gli racconta di quando ne andò a visitare la salma. Il passaggio è comunque toccante, sebbene abbastanza paradossale per la contraddizione intrinseca; ma Zurlini affonda il colpo quando Lorenzo dimostra la consapevolezza della propria sorte, chiedendo preventivamente lo stesso gesto di attenzione, scacciare una mosca dalla fronte, che Enrico aveva riservato al cadavere della madre. Questo modo di raccontare, questi continui depistaggi, lascia intendere che il vero punto di messa a fuoco di Cronaca familiare non sia sulle questioni domestiche, sugli affetti fraterni. 

Perché ad un certo momento del racconto, Enrico quasi si ribella alla deriva che la storia sta prendendo, evidentemente non in linea coi suoi principi. Enrico è un giornalista, un uomo di cultura, in Italia, nel dopoguerra; è comunista, lo si evince da una domanda del fratello. E quando si ribella ribalta un carretto per strada, in una scena, al solito, composta in modo magistrale. La scena è doppiamente speculare: ci sono due carretti, come due sono i fratelli sulla strada; Enrico ne rovescia uno, in un impeto di rabbia e Lorenzo lo risistema. In quel momento, Enrico esprime in modo pieno la vera traccia portante di Cronaca familiare: secondo il suo credo, quello progressista, di sinistra, essere familiari non ha alcuna importanza, quello che conta sono le idee, i gusti, le esperienze. Ma si dovrà rendere conto che quell’estraneo con lo sguardo di sua madre, gli era, anche solo per quel modo concentrato di guardare, molto più intimo di chiunque altro.     

              

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