Translate

sabato 13 maggio 2023

LA SFIDA

1273_LA SFIDA Italia, Spagna, 1958; Regia di Francesco Rosi.

Il cinema è un’arte composta nella quale confluiscono differenti variabili; a volte, nella perfetta riuscita di un’opera, finiscono per concorrere anche – ma non solo – una serie di fattori circostanziali. Questo senza nulla togliere ai meriti degli artisti che vi lavorano, primo fra tutti il regista che proprio nella capacità di gestire le varie anime del cinema ha la dote più distintiva. La sfida, folgorante opera prima di Francesco Rosi, è un esempio calzante in questo senso. Al di là dei molti meriti specifici, la cosa che salta all’occhio innanzitutto è l’equilibrio che il film mostra tra le radici del cinema italiano e le influenze di quello più importante a livello mondiale, quello americano. A guardare La sfida si potrebbe farsi un’idea – poi sostanzialmente disillusa rari casi a parte – di cosa avrebbe potuto essere il cinema del belpaese, se avesse avuto la volontà di seguire e superare le orme lasciate dall’esordio di Rosi. Superare, già; perché replicare il pur ottimo lavoro di Rosi non sarebbe stato abbastanza – e in ogni caso, ciò appunto avvenne ben raramente. Perché a La sfida, che è un film notevole ed è meglio rimarcarlo ad ogni occasione, manca comunque qualcosa. E’ un racconto di denuncia del malcostume diffuso nel nostro paese ma forse andava inserito almeno un elemento positivo, per far svolgere in qualche modo un lavoro costruttivo, forse perfino educativo, al cinema. In ogni caso, come detto, La sfida raccoglie le eredità del neorealismo su cui innesta, con calcolato equilibrio, il cinema di genere hollywoodiano, nello specifico il noir e i film di gangster. Siamo a Napoli, ambiente che Rosi conosce perfettamente e si vede: il suo sguardo è lucido, implacabile, senza sconti. 

Persino troppo fedele al celebre motto di Fritz Lang che spiegava come, nei noir americani, non vi fossero veri buoni, ma solo cattivi e più cattivi – con i primi delegati quindi al ruolo di eroi positivi in una sorta di gara al ribasso – anche ne La sfida di personaggi irreprensibili non v’è traccia. Ma quella del geniale regista viennese era una sorta di provocazione ironica, perché nei suoi film di personaggi positivi ce n’erano eccome, come praticamente sempre nel cinema americano. Nel film di Rosi, va detto, la forte vitalità dei protagonisti permette allo spettatore di partecipare con passione e trasporto alle loro vicissitudini, soffrendo e parteggiando per loro nel dipanarsi di una trama incalzante che non perde un briciolo di tempo. Manca, e qui sta appunto il tasto dolente, uno scatto di umanità: qualcosa che vada al di là della ricerca di sopravvive o sopraffare gli altri. Una cosa che, al contrario, nel cinema americano dell’epoca, raramente mancava. 

Vito Polara (José Suàrez), il protagonista, è un mezzo delinquente, viziato e vezzeggiato dalle donne di famiglia, che aspira a divenire un boss. L’ambiente è quello della camorra, che viene citata esplicitamente in uno dei dialoghi; inizialmente Vito si occupa del contrabbando di sigarette americane poi, in modo fortuito, entra in contatto con il commercio delle merci agricole e decide di ritagliarsi un ruolo nel mercato nero del settore. Il nostro bellimbusto non ha fatto però i conti con Don Salvatore Ajello (Pasquale Cennamo), che controlla tutto quanto lo smercio dei raccolti e non intende dividere la torta con l’ultimo venuto. Vito, tuttavia, è un osso duro e Ferdinando (José Jaspe), fratello di Salvatore, per evitare noie interviene trovando faticosamente un compromesso. Polara è quindi ammesso nel clan e può cominciare a fare quattrini, spalleggiato da Gennaro (Nino Vingelli) e Raffaele (Decimo Cristiani), due buoni a nulla che solo l’opportunità di lavorare in un regime controllato rende utili a qualcosa. Come si vede, per ora nessuno si è particolarmente distinto per una qualche azione che non sia il mero guadagno personale. Il versante sentimentale mette in campo Assuntina (Rosanna Schiaffino, nemmeno vent’anni e in forma stratosferica) che posa presto gli occhi sul maschio alfa della storia e, in modo quanto mai spudorato, da lui si fa notare. 

Si è detto che il film ha nel ritmo serrato uno dei suoi pregi; certo è che il personaggio di Assuntina – grazie eleganti e voluttuose della Schiaffino a parte – con il suo atteggiamento esplicito non è che ci faccia una gran figura. Va per le spicce e raggiunge il suo scopo, quello sì. Svelta come la carriera di Vito in seno al clan dei camorristi; il giovanotto è perfino troppo veloce tanto che finisce per andare metaforicamente fuori strada, anche perché mal consigliato da Gennaro. E’ importante notare la nefasta influenza di un personaggio secondario come Gennaro nella vicenda: Vito è solo un prepotente che gioca a fare l’uomo d’onore ma, in realtà, non è veramente in grado di rispettare la parola data; tuttavia, nonostante queste sue debolezze, aiutato anche dal successo che sta ottenendo, ad un certo punto sembra quasi riuscire a dare segni di affidabilità. All’interno di un sistema mafioso, beninteso, che la storia del film vola sempre molto bassa. Tuttavia anche questo sarebbe già qualcosa; abbastanza per avere una vita felice con Assuntina, tanto per dire. E forse per ritagliarsi in qualche modo una statura morale tale da rendere utile a qualcosa il racconto filmico. Gennaro è, al contrario di Vito, un tipo molto più ordinario, al punto che si potrebbe intendere come sorta di testimone oculare, praticamente un alter ego dello spettatore – si veda in questo senso il suo consolare, nel tragico finale, Assuntina. Ma è proprio Gennaro l’uomo che induce Vito allo sconsiderato gesto di tradire il patto tra camorristi: la sfida del titolo, insomma. Soltanto che non è una sfida lanciata per un ideale di libertà nel commercio, ma solo l’incapacità di resistere alla tentazione di fare lauti guadagni sfruttando proprio il doppio gioco ai danni degli altri membri del clan. E non è una dark lady, o una figura simbolica in qualche modo simile e quindi irresistibile – raffigurazione del fato o del destino, insomma – a condurre alla rovina il protagonista, ma il suo mediocre assistente. La cosa più disarmante, guardando La sfida, è che non si prova pietà per Vito, che rimane sull’asfalto del mercato ortofrutticolo freddato dai colpi di Don Salvatore. E non si prova pietà nemmeno per Assuntina, davvero troppo poco avveduta per meritarsi commiserazione.
Personaggi vitali, si diceva. Ma sulla cui umanità viene lecito dubitare.    
 


 Rosanna Schiaffino 








Galleria di manifesti 




Nessun commento:

Posta un commento