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sabato 27 maggio 2023

SONO FOTOGENICO

1280_SONO FOTOGENICO . Italia,1980; Regia di Dino Risi.

In un’opera come Sono fotogenico di Dino Risi, oltre quarant’anni dopo la sua uscita, la matrice metalinguistica appare forse ancora più evidente. E allora più che quello che il film racconta – o forse si potrebbe azzardare un “consapevolmente finge di raccontare” – l’attenzione cade proprio sugli intenti riflessivi di Risi. E tra questi, dopo tutti questi anni dalla realizzazione di Sono fotogenico, incuriosisce capire cosa sia riuscito a scampare al cinismo intriso di umorismo da commedia del regista milanese. La commedia italiana era spesso stata poco tenera ma raramente si era visto uno sguardo tanto malevolo, seppur ammantato di finta ironia. Anche perché, come detto, l’opera è metalinguistica e quindi l’oggetto della satira di Risi è lo stesso cinema; e se il cinema è lo specchio della realtà, mettendo alla berlina l’uno inevitabilmente si mettono a nudo le miserie dell’altra. L’idea di Risi è quella di prendere uno sprovveduto – e chi meglio di un provinciale come Antonio Barozzi alias Renato Pozzetto poteva incarnarlo? – e immergerlo nel mondo del cinema, da Cinecittà a Hollywood, per vedere come se la potesse cavare alle prese con il peggiore degli scenari. A ben vedere, al di là del cinismo di facciata, Risi mostra infatti un po’ di amara delusione per quel mondo di cui lui è un artefice in prima persona. Barozzi, il suo protagonista, al contrario, non cede di un millimetro, assolutamente imperturbabile come sagacemente evidenziato nella scena in cui non cambia mai espressione pur dovendo interpretare stati d’animo diversi, durante un provino. Pozzetto sostiene che fu farina del suo sacco: lo sarebbe stato in ogni caso, anche se la scena fosse stata nel copione. 

Perché l’attore lombardo è il primo su cui rimbalza il cinismo di Risi; la celeberrima battuta “meglio Laveno”, riferita al confronto con Hollywood, è in parte un’interpretazione della vicenda della volpe e l’uva ma, allo stesso tempo, sembra quasi un’ottima filosofia di vita. Anche l’attricetta femminile di turno se la cava alla grande: tanto la bellissima Edwige Fenech – è Cinzia, nel ruolo della protagonista principale che approfitta spudoratamente delle proprie grazie per far carriera – che una splendida Barbara Bouchet – in un cameo significativo dove gioca a fare la grande diva – sembrano farsi beffe del tono acido della storia. Il parterre de rois convocato per il cast e composto, tra gli altri, da Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi e Mario Monicelli – nella parte di loro stessi – da parte sua si presta sfacciatamente divertito al gioco dissacrante del regista. 

Ma il ‘tutti contro tutti’ forse finisce per depotenziare un po’ la manovra del regista, la cui critica per colpire colpisce, solamente nessuno pare curarsene. O forse, come si sottintendeva all’inizio, è solo l’impressione che ne rimane oggi, dopo quarant’anni. In ogni caso, tra gli interpreti principali, non rimane che il personaggio di Aldo Maccione, considerato la sua parte attiva nell’incarnare la satira di Risi, ma è un tale gaglioffo che non può certo essere preso seriamente in considerazione. Bravo Maccione, questo sì, ma il suo è un personaggio visto dozzine di volte, un cliché, in buona sostanza; e, anche nel suo caso, con un elevato grado di consapevolezza e di autocompiacimento. Ma, quindi, qual è il bersaglio di Risi? La cialtroneria italica? E il riferimento ad Hollywood, allora? Forse la cialtroneria del cinema? Della società umana? Una cialtroneria alla cui permeante invadenza solo la stolida ingenuità di un provinciale può risultare immune? “Meglio Laveno” davvero, a ‘sto punto.        





Edwige Fenech 




Barbara Bouchet 




Galleria di manifesti 




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