1275_TERRA LONTANA (The Far Country). Stati Uniti,1954; Regia di Anthony Mann.
Quarto dei cinque western di Anthony Mann interpretati da James Stewart, Terra Lontana è ancora una volta un capolavoro. Stewart aveva la capacità di reggere il ruolo di protagonista di un western classico pur mostrando in modo palese un lato oscuro talmente ingombrante da offuscarne le qualità umane, almeno temporaneamente. Solo Gary Cooper, probabilmente, aveva la stessa indole, e infatti Coop lo possiamo trovare altrettanto perfettamente adeguato in un altro capolavoro western di Mann, Dove la terra scotta (1958). Altri attori, non molti in verità, potevano reclamare gli stessi requisiti, si pensi a John Wayne in Sentieri Selvaggi (1956) o potenzialmente anche Robert Mitchum ma Jimmy Stewart – e il Gary Cooper quasi sessantenne di Dove la terra scotta – era in grado di mascherare una debolezza, un lato umano, che l’eroe del cinema western al tempo non si sospettava potesse avere. Difficile pensare che un personaggio di Walter Brennan possa criticare in modo così serio e duro John Wayne come fa il suo Ben Tatem in Terra Lontana con Stewart; certo, in Sentieri Selvaggi War Bond ci si azzarda, ma può farlo avendo l’investitura del ruolo di reverendo. Brennan brontola in ogni film, è vero, all’indirizzo dei vari personaggi del Duca ma quando richiama, e lo fa più di una volta, il Jeff Webster interpretato da Stewart in Terra Lontana lo fa guardandolo seriamente e lasciando capire anche al più distratto degli spettatori, di avere ampiamente ragione. Insomma, difficile vedere in un western classico un eroe che ha torto per tutto il film con la cosa che sia risaputa anche all’interno dello stesso racconto; ma non se Mann è alla regia e Jimmy Stewart al centro della scena.
Peraltro, Terra Lontana è classificato – giustamente – come western ma potrebbe anche essere, a rigor di geografia, anche un northern, ambientato com’è negli splendidi scenari dell’Alaska. Come detto si tratta del quarto film che vede la collaborazione tra Mann e Stewart e il terzo sceneggiato da Borden Chase, qui autore anche del soggetto; oltretutto per ambientazione e trama si riallaccia in qualcosa a Là dove scende il fiume (1952) per cui si può dire che Terra Lontana si muova su sentieri già consolidati. La cosa doveva essere evidente anche agli autori, visto che in due casi, nei momenti cruciali, i personaggi femminili nel rispondere all’eroe che si ostina a non capire il suo ruolo, ritengono superfluo fornirgli una spiegazione. La prima è Renee (Corinne Calvet) che, quando Jeff le domanda perché mai dovrebbe soccorrere la carovana travolta dalla slavina sullo spettacolare ghiacciaio dell’Athabasca, lo pianta in asso senza insistere nel convincerlo.
La seconda è meno esplicita in sé, ma lo diventa nel rimarcare la cosa: nel duello finale, l’uomo chiede a Ronda (una stuzzicante Ruth Roman) in punto di morte perché mai si fosse sacrificata per lui, salvandogli la vita. La donna, che redime con quel gesto un’esistenza discutibile, non risponde lasciando che l’uomo finalmente si renda conto che non tutto debba esser fatto per interesse personale. L’egoismo e l’indifferenza di Jeff sono anche eccessivi ma, come detto, Stewart sa essere convincente e il film scorre sul velluto, nonostante un insieme di cose non del tutto accattivanti per lo spettatore. Ad esempio, seppur Ruth Roman sia una bella donna, le manca il fascino della grande star; e tra l’altro nel triangolo vagamente melodrammatico, a lei è destinato il ruolo tragico, nobile fin che si vuole ma perdente. A impalmare l’eroe sarà infatti il personaggio di Corinne Clavet che, in quanto a fascino scenico ne aveva decisamente meno e Mann rafforza il suo scarso appeal mostrandocela sempre con un cappello di lana ficcato in testa. Tra l’altro, nonostante si professi brava cantante, e una buona canzona può anche essere un buon espediente seduttivo, per una ragione o per l’altra la nostra povera ragazza non riuscirà mai a far sentire la sua ugola d’oro all’eroe. Insomma, sembra proprio che Mann voglia dire che non serva per forza un premio per doversi comportare bene, come accade nella religione in cui si guadagna il Paradiso mentre ad Hollywood il lieto fine con la sventola di turno. Il premio per Jeff sarà l’amore di Renee oltre alla stima di una comunità di persone, gli abitanti Dawson City, uno più sciancato dell’altro.
In effetti il film non può contare granché sul carisma di un cast composto da una serie di caratteristi che, in un certo senso, si sovrappongono al Ben Tatem interpretato da Brennan: Jay C. Flippen – peraltro protagonista di uno dei passaggi più intensi – Chubby Johnson, Eddy Waller e Royal Dano in modo evidente. Ma anche le tre racchie, per usare le parole dello stesso Ben, non si discostano poi molto da quei canoni e tra cui vale la pena citare Connie Glichrist e Katleen Freeman, mentre tra i cattivi Jack Elam, seppure efficiente nel suo ruolo, si aggiunge ad una galleria di umanità pittoresca davvero esagerata. Insomma, se cerchiamo un minimo di fascino glamour non lo troveremo in Terra Lontana, obiettivamente in modo plausibile visto che nello Yukon confluivano i più disperati tra i coloni. Proseguendo l’analisi del cast, il cattivo della storia, Gannon (John McIntire) è un prepotente che si spaccia per giudice approfittando dell’ingenuità e dell’ignoranza altrui per spadroneggiare. McIntire è un bell’interprete, sicuramente, anche credibile nella parte ma semplicemente perché l’eroe della nostra storia non è interessato a svolgere il proprio ruolo. Gannon è, infatti, un cattivo quasi caricaturale e McIntire è bravissimo, in questo; ma è altresì evidente che se Jeff Webster fosse risoluto sin da subito a raddrizzare torti – il canonico ruolo dell’eroe nei film western – il nostro pseudo giudice finirebbe molto prima la sua carriera. In sostanza, in Terra Lontana abbiamo la tipica coppia western, Stewart e Brennan, che finisce in un posto ai margini del mondo e abitato dagli scarti della società. Forse anche questo non alimenta la voglia di fare l’eroe di Jeff, il protagonista. Ma nel caso si sbaglierebbe. Perché anche una comunità di poveracci ha la sua dignità e va rispettata e la cosa è resa manifesta nel finale, quando i nostri prodi paesani si ribellano mostrandosi ai banditi uniti come il Quarto Stato nel quadro di Giuseppe Pellizza da Volpedo. Ma si poteva capire già in precedenza, nel passaggio citato nel quale Jeff, pur nell’intento di salvargli la vita, umilia Rube (il personaggio interpretato da Jay C. Flippen): se l’eroe avesse sistemato il cattivo in quel momento, si sarebbe risparmiato l’agguato successivo e la morte di Ben. Insomma, non ci sarà un premio come il Paradiso per chi si comporta bene ma certamente oltre che un proprio dovere, fare quello che ci spetta a suo tempo è anche più conveniente che rimediare in seguito. Anthony Mann è pur sempre un regista americano.
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