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venerdì 5 maggio 2023

ANIMA E CORPO

1269_ANIMA E CORPO (Body and Soul)Stati Uniti, 1947; Regia di Robert Rossen.

Capolavoro assoluto e titolo indiscusso di riferimento per quel che concerne il mondo della Boxe al cinema, Anima e corpo è un film che ha nel titolo già una efficace autoanalisi. L’opera seconda di Robert Rossen possiede indiscutibilmente un’anima che, oltretutto, è il frutto di una somma di anime: da quelle degli intensi protagonisti, a quella del quartiere di New York dove è ambientata la vicenda, fino ad una più generale anima sociale che riguarda l’aspetto politico della storia. E ha un corpo, anche in questo caso risultato di una serie di contributi: da eccellente film noir, Anima e corpo ha una pregevole confezione formale, con personaggi dalla presenza scenica d’eccezione come il protagonista, i gangster o le splendide due ladies della vicenda – notevole l’immancabile dall’anima dark ma di pari livello anche quella più rassicurante – oltre ovviamente a tutto quanto il mondo del pugilato, uno sport che più fisico non ce n’è. Il film è sempre stato considerato dalla critica un capolavoro e, in effetti, ci lavorarono fior di artisti: a partire dal regista, il valido Robert Rossen, anche se lo spunto iniziale lo si deve a Abraham Polonsky autore della ferrea e tambureggiante sceneggiatura. Impossibile non rimarcare poi la fotografia, un eccellente bianco e nero opera mirabile di Jaems Wang Howe, non solo capace ma al solito ingegnoso come, ad esempio, nella scelta di mettersi i pattini a rotelle per riprendere le scene del combattimento in modo più fluido. Per un testo tanto incalzante come quello di Polonsky, occorreva un montaggio sopraffino e Francis D. Lyon e Robert Parrish sfruttarono a dovere l’occasione vincendo un meritatissimo Oscar per il loro contributo al film in sala taglio. 

Anima e corpo, come si può quindi intuire, è frutto di una collaborazione di artisti d’eccezione e il risultato è stupefacente. Rossen e Polonsky ritagliano inquadrature studiate con minuziosità, ricche ora di immagini simboliche – le ombre del campo d’allenamento in dismissione che ricordano il patibolo con la forca – ora di dettagli e di personaggi che riescono magicamente a rientrare nello stesso fotogramma per un pregevole risultato compositivo. Dopo un lugubre incipit, siamo la sera del combattimento, parte un lungo flashback in cui il montaggio, la sceneggiatura e la regia vanno a razzo senza dar tregua allo spettatore. Del resto c’è da raccontare la scalata al vertice di una giovane promessa del pugilato ma soprattutto da constatare gli effetti collaterali ineludibili a chi frequentava il mondo della boxe negli anni Trenta/Quaranta. A dar corpo a tutta questa pregevole struttura tecnica, il cast, davvero di prim’ordine a cominciare dal grande John Garfield nel ruolo di Charlie Davies, il pugile protagonista. Le due citate figure femminili sono la deliziosa Lilli Palmer – è Peg, fidanzata di John – e la conturbante Hazel Brooks – è Alice, una dark lady non del tutto autosufficiente per questo ruolo ma comunque di grande fascino scenico. Tra gli altri, va almeno citato William Conrad nel ruolo di Quinn, l’agente di Davies: il corposo attore americano era stato solo l’anno prima Max, uno dei due memorabili sicari dello strepitoso incipit de I Gangster (1946, di Robert Siodmak), film che, proprio come Anima e corpo, si basava su un connubio tra il noir e la boxe. 

Tuttavia, a trasformare tutto questo magma artistico di livello nel capolavoro finale che è Anima e corpo, uno degli ingredienti più saporiti è la critica sociale di Polonsky, condivisa anche da Rossen sebbene forse in modo meno esibito. E’ probabilmente la mano in regia non tanto a smorzare quanto a lasciare ben visibile ma in controluce la spietata analisi del sistema capitalistico dello scrittore dalle idee rivoluzionarie. Una critica quindi perfettamente leggibile ma affiancata da un protagonista che, a conti fatti, potrà ancora ergersi al rango di eroe americano, bilanciando in qualche modo la valutazione complessiva. Il potere del denaro – incarnato dall’illustre Roberts (Llyod Gough), boss malavitoso dai modi raffinati – corrompe, aggiusta e condiziona tutto, in particolar modo nel mondo della boxe, universo tanto estremo da essere un’efficace metafora della società americana. 

Davies riesce a far carriera fino al titolo mondiale ma non senza macchiarsi la coscienza: se per le tragedie – la morte del fido Shorty (Joseph Peveney) o quella dell’ex campione Ben (Canada Lee) – il pugile può dirsi in buona fede, nessuna scusante ha nei confronti della fidanza Peg. Certo, la presenza di Alice ha un ruolo, in tutto ciò, ma a fronte della critica politica di Polonsky – e forse solo in parte di Rossen – anche le regole del noir devono cedere il passo. Infatti Anima e corpo è un noir per via della confezione formale e per attinenza dei temi trattati ma è percorso da una forza trainante, incarnata solo esteriormente da Davies e dalla sua carriera fino al titolo. In realtà il vero potente propulsore che travolge ogni cosa è il denaro e la magnetica influenza che esercita sulle persone. Il pugile protagonista non è, infatti, propriamente un eroe tipico dei noir: è un giovane ambizioso e disposto a tutto per arrivare, cosa che infatti gli riesce. In effetti egli incarna, piuttosto, in tutto e per tutto, il Sogno Americano. E non sarà l’incontro con la femme fatale a condurlo alla rovina; in realtà Alice è una sorta di versione femminile del protagonista, almeno nella sete di denaro che la contraddistingue. L’aspra matrice politica del film, che Rossen riesce tutto sommato a gestire, emerge però nei passaggi chiave del racconto: non sarà l’amico Shorty a far rinsavire Davies, e fin lì è anche comprensibile. 

Ma se nemmeno la morte dell’amico può far desistere il protagonista dal suo immischiarsi negli affari loschi e remunerativi, non vi riuscirà nemmeno la successiva morte di Ben, prima rivale e ora suo fidato allenatore, né tantomeno i tentativi di Peg, che finisce relegata insieme alla madre del pugile (Anne Revere), da sempre inascoltata dal figlio. Nessuno di questi riesce a smuovere Davies dal suo intento: c’è da fare davvero un sacco di soldi, a questo punto, basta perdere l’incontro decisivo. Non senza aver puntato forte sul suo avversario, naturalmente, come gli ha consigliato Roberts. Sembra tutto ormai scritto ma Polonsky, il comunista Polonsky, serba una speranza, ed è ovviamente posta nella comunità. Laddove non sono riusciti la madre, l’amico del cuore e nemmeno la fidanzata, riuscirà il quartiere popolare, che vede in Davies l’eroe in cui immaginarsi per poter godere almeno di un minimo di riscatto sociale. 

E’ Shimen (Shimen Ruskin) il fruttivendolo, a ricordarlo al pugile, proprio la sera dell’incontro: tutti, nel quartiere, hanno puntato qualcosa sulla sua vittoria. E se dovesse perdere? La madre di Davies, e perfino lo stesso pugile, si mostrano perplessi, anche se per motivi diversi. La donna è contraria alle scommesse, il campione sa di dover perdere. L’obiezione, comunque, è la stessa: vale la pena che povera gente scommetta dei sudatissimi soldi con il rischio di perderli? Ma Shimen non vuole sentire ragioni: non gli importa poi così tanto, né a lui nemmeno a quelli del quartiere, se Davies vinca o perda. Quello in cui credono i suoi concittadini è nella sua lealtà e nella sua voglia di vincere, tutto il resto, compreso il risultato, non conta. Davies si batte anche per loro, per fare onore al quartiere e la gente del quartiere, la sua gente, sarà sempre solidale con lui. Ora la questione si complica. Perché con i famigliari o con gli amici, Davies poteva conservare l’idea di sistemare in seguito eventuali magagne che andava a combinare con regali e mance; del resto era questo che aveva imparato da Roberts, col denaro si aggiustava tutto. Ma un quartiere – o una città, una nazione, un popolo – che ha fiducia in te non puoi tradirlo e poi cercare di farti perdonare affidandoti al loro affetto e lavandoti la coscienza con un regalino. E in quella visita inopportuna che si decide il destino del film; poi, certo, il match ha la sua storia narrativamente ben gestita e zeppa di adrenalina. Forse Anima e corpo è davvero il miglior film sulla boxe; la cui svolta decisiva ci riporta ancora alla visita di Shimen. Le sue parole covano nel cuore di Davies per un po’, poi la scintilla sul ring scocca probabilmente per l’arroganza dello sfidante e per il comportamento infingardo di Quinn e Roberts, ma quel momento è solo la miccia dell’innesco. L’esplosivo che fa redimere Davies – e ribaltare le sorti dell’incontro – è la fiducia della sua gente, certo anche della madre, della fidanzata o di Shorty, ma solo come parte della comunità in quanto singolarmente avevano già perso da un pezzo la loro battaglia. Ma, pensandoci bene, era una cosa che, in fondo, Davies sapeva già, anche senza che qualcuno glielo ricordasse proprio la sera del combattimento. Tant’è che se il postino deve insistere e suonare sempre due volte, il fruttivendolo si presenta senza neanche bussare.     





Hazel Brooks 






Lilli Palmer 



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