1279_THE MAIDENS OF FETISH STREET . Stati Uniti,1966; Regia di Saul Resnick.
Portato almeno un minimo al centro dell’attenzione – si fa per dire, eh – dal recente eccellente restauro da parte del regista Nicolas Winding Refn, The Maidens of Fetish Street è un’opera più bizzarra del prevedibile. Saul Resnick realizza infatti una sorta di sexploitation sperimentale il che sembra già una contraddizione: che sfruttamento, nel senso di massima speculazione, ci può essere in un film che sovverte le aspettative per inoltrarsi in nuove strade? In realtà, al di là del curioso aspetto da noir erotico, in The Maidens of Fetish Street le scene con richiami smaccatamente sessuali non mancano, con una serie nutrita di ragazze che ballano coi seni sventolanti, ma lo sguardo di Resnick non è poi così compiaciuto come ci si dovrebbe attendere in un’opera appartenente ad un genere così accondiscendente verso le pruderie degli spettatori. Il rimando al feticismo contenuto nel titolo sembra un riferimento abbastanza esplicito, oltretutto negli anni Sessanta il fetish si era ormai affermato almeno nel suo ambito underground, eppure la storia – se possiamo definirla così – pare sia ambientata a Los Angeles nel 1928. Tuttavia lo spettacolo burlesque dell’abbondante Eve St. Pierre che incornicia i primi segmenti narrativi lascia pochi dubbi, la scena è grosso modo contemporanea all’uscita del film. Mentre Eve agita il suo prosperoso corpo, Joe (Nick Nickerson), untuoso uomo di mezza età frustrato e bigotto, si reca dalla scafata prostituta Margo (Althea Curier) per un classico di questo tipo di incontri, almeno al cinema, ovvero quello tra un uomo solo, disperato e moralista e una donna sola, disillusa e cinica. Memorabile la scena in cui la donna lo afferra per i capelli prima di ricevere un rapporto orale e scopre comicamente che l’uomo porta il parrucchino.
Umorismo a parte, la critica al fenomeno della prostituzione, del quale sono tratteggiate sommariamente alcune dinamiche, è evidente. Successivamente un incontro lesbo tra la modella Sandra (Kellie Everts) e la scultrice (Margo Lynn Sweet) ci ricorda come spesso si ricorra all’arte per veicolare contenuti erotici. In effetti l’utilizzo dei codici sessuali, che sono molto stimolanti per l’individuo, è uno stratagemma usato sovente dall’arte nelle sue varie rappresentazioni. Il fatto che le due donne abbiano un velato rapporto omosessuale forse vuole rimarcare come l’erotismo si sia ormai affrancato dalle necessità della riproduzione della specie. Intanto, quello che probabilmente è il protagonista del film, il viscido Nick (Ken McCornick) pare stabilirsi a convivere con Madame (Dotty Dare), sfiorita maitresse dell’House of Fetish; anche troppo sfiorita, forse, visto che l’uomo poi si lascia tentare da qualche scappatella con le giovani e piacenti ragazze del bordello. Curiosa la scena onirica in cui, una volta legato e cosparso di melassa, Toni, una prostituta di colore, traffica per prendere delle formiche con cui torturarlo. In seguito, mentre i due si trastullano nella vasca da bagno, irrompe sulla scena Madame che, spalleggiata da una delle ragazze, dà vita ad una scena catfight, una scazzottata tra donne.
Pur nell’esilità della trama, pare ispirata dal testo The Degenerates di cui però non si hanno altre notizie, Resnick può esplorare velocemente alcuni tra i temi più ricorrenti del feticismo: dai rapporti sado-maso, al bondage, all’attenzione ai dettagli, sia fisici che negli accessori dell’abbigliamento, alle scene con donne mature e/o sovrappeso, alla lotta tra uomo e donna e a quella tra donne. C’è da fare però un’osservazione: lo sguardo dell’autore non sembra tanto morboso quanto focalizzato sulla morbosità, incarnata prevalentemente dai due sudici uomini della storia, Nick e Joe. La visita di Nick in un ampio negozio di riviste o immagini fetish, tra cui si scorgono quelle del maestro Eric Stanton, sembra dare da intendere che tutta la visita al bordello sia frutto delle fantasie dell’uomo. Quando Nick torna in sé, stava infine immaginando di avere una normale vita di coppia con una bionda niente male (Barbara Nordin), scopre che è rimasto chiuso nel negozio oltre l’orario di chiusura. Nella palese metafora che ne esce, il feticismo, insomma, sarebbe una gabbia, rappresentata figurativamente dalla grata dell’inferriata, che impedisce all’individuo una vita serena e amorevole. Il che può anche essere vero, visto che è indubbio che il feticismo sia una devianza per definizione: viene infatti deviato l’oggetto del desiderio sessuale su un qualcosa, il feticcio, che dovrebbe rafforzare il riferimento attrattivo originale ma finisce invece per sostituirlo. Il problema è che è qualcosa di presente allo stato attuale e non è che negandolo, condannandolo o stigmatizzandone i rischi si possa far sparire. Questa deriva latente nel film di Resnick, che certamente prova a metterci in guardia dai rischi di queste pratiche, è l’aspetto più debole, perché se ne potrebbe dedurre che stando lontano da certe pratiche avremmo risolto il problema. Nell’esempio narrativo riportato se Nick non entra nel negozio, non ne può rimanere prigioniero: ma sembra un modo un po’ semplicistico di affrontare la cosa. Le sbarre che si ergono possono anche rappresentare il feticismo o qualche altra devianza, ma sono costituite da qualcosa che è già preventivamente nella psiche dell’individuo in questione. Al netto di questi semplicisti tentativi di prendere le distanze da quello che viene mostrato sullo schermo, il film conserva qualche aspetto interessante e se non altro da un punto di vista figurativo, grazie alla folgorante fotografia in un oscuro bianco e nero, è senz’altro da segnalare come degno di nota.
Althea Currier
Eve St. Pierre
Dotty Dare
Margo Lynn Sweet
Kellie Everts
Barbara Nordin
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