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domenica 20 dicembre 2020

PINOCCHIO

696_PINOCCHIO . Stati Uniti; 1940. Regia di Autori Vari.

In Italia, in genere, l’aspetto che lascia maggiormente perplessi nella trasposizione del Pinocchio di Walt Disney è una certa libertà nell’adattamento della trama. Ed è forse questo l’unico neo di una reputazione sempre altissima del secondo Classico di casa Disney, altrimenti riconosciuto come autentico capolavoro. La fama è legittima, questo va chiarito sin da subito: Pinocchio è un film di animazione sopraffino. In parte lo scetticismo italiano è comprensibile: nel belpaese il racconto di Collodi, da cui è tratto il film, è conosciutissimo e, l’inevitabile paragone, sembra denotare una certa semplicità del prodotto cinematografico rispetto all’impegnativo testo letterario. E’ vero: ma è proprio questo il pregio maggiore del Pinocchio del grande Walt. Oltre che nella trama, la differenza più lampante, e forse significativa, è proprio nel carattere del protagonista: quello del racconto era un autentico birbante, quello del film è semplicemente ingenuo. Sia questo cambiamento, che gli altri generali della storia in quest’ottica, furono l’impegno maggiore per lo studio che dovette lavorare a lungo per arrivare ad una scrittura di base che fosse pienamente soddisfacente. E moderna. Perché l’idea che un individuo possa essere colpevole (la birbanteria gratuita del Pinocchio del racconto italiano) senza alcuna motivazione all’origine, poteva andare bene giusto nell’Italia di fine XIX secolo. (Per quanto, nel nostro paese, sia forse ancora oggi un’opinione che attecchisca sempre facilmente). Negli Stati Uniti, patria dell’ottimista Sogno Americano, alla soglia degli anni Quaranta, il concetto di innocenza fino a prova contraria era invece già più largamente diffuso. 

Quindi inutile inimicarsi il protagonista presso il pubblico coi comportamenti cialtroneschi che aveva l’originale Pinocchio: per la storia prevista nel film, al nostro burattino basta una buona dose di ingenuità. E si tratta di una scelta educativa (è pur sempre una storia per ragazzi) in quanto cerca di mettere in guardia chiunque, perfino la persona più in buona fede ovvero quella che si lascia abbindolare facilmente. Non c’è una separazione netta, tra l’essere buoni o cattivi: o meglio c’è, ma il terreno su cui muoversi tra le due parti è scivoloso ed è facile sbagliare quasi senza intenzione. Per questo anche il Gatto e la Volpe vengono semplificati nella loro cattiveria: certo, non hanno mai scrupoli per la sorte delle persone che raggirano, ma sono descritti con una certa complicità che ce li rende persino simpatici. 

Mentre il Gatto sembra un personaggio delle comiche, essendo muto, la Volpe ha anche uno spazio musicale di rilievo con l’ottimo brano Hi-Diddle-Dee-Dee, tra i migliori di una colonna sonora memorabile (addirittura meritato premio Oscar, e tra cui si trovano la mitica When You Wish Upon a Star, migliore rispetto alla sua versione italiana, e poi le divertenti Fai una fischiatina e Io non ho fili). Certamente più cattivi sono Mangiafuoco e il Postiglione: il primo è un burattinaio, il secondo ha in mano il Paese dei Balocchi. Non sono particolarmente approfonditi, rappresentano il male ma, come personaggi, sono semplici villains che incutono paura sul momento per l’aspetto, la mole, la ferocia. In questo senso peggiore è anche la balena che, non avendo fattezze umane ma vagamente animali (e più che altro mostruose), non deve avere pretesti come l’avarizia o l’avidità degli altri cattivi della storia. 

Come detto la struttura del Pinocchio disneyano è semplificata: nella vita ci sono dei rischi, se non stai attento puoi restare ignorante o finire nella pancia della balena. I vari episodi dell’originale racconto sono tagliati, rabberciati, modificati, per permettere una narrazione veloce che, se effettivamente avanza un po’ a compartimenti stagni, riesce a rilanciare costantemente il ritmo. Anche per via dell’innesto di alcuni personaggi adeguati alla bisogna: ad esempio, il Grillo Parlante che apre il lungometraggio, è un efficace e pratica versione yankee della coscienza di ciascuno e aiuterà Pinocchio più sul piano concreto che altro. Poi ci sono anche il gatto Figaro e la pesciolina Cleo, due classici personaggi Disney che, con la spiccata simpatia, contribuiscono ad ambientare in modo confortevole la storia. Uno dei passaggi visivamente più interessanti è quello in cui, nella sala da biliardo del paese dei balocchi, Lucignolo si trasforma in somaro: si tratta di una metamorfosi degna di un film horror, non a caso efficacemente mostrata da ombre di matrice espressionista sul muro. 


E, propriamente, come scena bidimensionale, ha anche una funzione figurativa, simbolica: se la Walt Disney andava delineando, con i suoi classici, l’idea di una società del futuro (i film per ragazzi) più armonica grazie al rispetto di morale e natura, ecco che chi trasgrediva, come Lucignolo, avrebbe compiuto esattamente il percorso inverso rispetto a quanto previsto. La tipica formula antropomorfa della Disney, in Pinocchio evidente sin dalle prime inquadrature del film col Grillo Parlante, prevede l’umanizzazione (posizione eretta, espressività, linguaggio, ecc.) di animali: a Lucignolo, nella sala del biliardo, avviene l’opposto, da bambino regredisce allo stadio animalesco. Cosa che, con un certo sgomento per lo spettatore, occorre almeno parzialmente anche a Pinocchio, che si vede spuntare coda e orecchie e a cui capiterà di ragliare di tanto in tanto. A proposito del risultato complessivo dell’animazione, il lavoro degli artisti fu davvero di eccellente livello. 

In origine a questo proposito si manifestò un problema: quasi tutto quanto, nell’ambientazione della storia, dal protagonista, alle case, ai veicoli, agli accessori come i tanti orologi a cucù o alle marionette di Mangiafuoco, era di legno. Se c’è qualcosa che indica la scarsa propensione al movimento e, cosa drammatica in un film d’animazione, all’espressività, è proprio il legno: tant’è che si definisce ligneo un volto poco comunicativo. Per il personaggio di Pinocchio la Disney risolse ammorbidendone i tratti somatici e con un paio di provvidenziali guanti che coprivano le spigolose dita di legno. Per il resto, pur con qualche aggiustamento nell'addolcire un po’ le forme degli oggetti, venne soprattutto fatto un lavoro eccezionale e di grandissima portata. 


Si studiarono rigorosamente i movimenti per i meccanismi degli orologi a cucù della casa di Geppetto mentre per i carri, come quello di Mangiafuoco o del Postiglione, che avevano movimenti più grandi, complessi e articolati, venne utilizzata la tecnica del rotoscope. Direttamente dai fotogrammi di una ripresa reale di un carro vennero quindi ricalcati i disegni necessari ad inserire il mezzo di locomozione nell’animazione con un effetto altamente realistico. Per le figure umane, a differenza che in Biancaneve e i Sette Nani, il rotoscope venne usato in un modo meno diretto, cercando cioè di mantenere una certa autonomia nel disegno da parte degli animatori che andavano a ricalcare le siluette degli attori. La Fata Azzurra, per la verità, sembra realizzata con una tecnica del tutto simile a quella usata per Biancaneve; e, per inciso, la platinatissima eterea figura è una delle migliori dell’intera galleria Disney. Pur essendo bella, elegante e bionda, la Fata Azzurra non veicola mai alcuna idea di sensualità o, peggio, visto il tenore dell’opera, sessualità. E’ di una bellezza che rievoca immediatamente Hollywood e le sue dive ma Walt Disney volle, e ottenne, di mondarne l’aspetto da qualsiasi riferimento morboso, stuzzicante o peccaminoso. 


Del resto è proprio lei che propone il patto a Pinocchio, rispondendo al desiderio di Geppetto: ma se al piccolo burattino chiede un impegno morale e, soprattutto, disinteressato, deve essere lei stessa una figura di garanzia. Operazione sicuramente ardua, specialmente in America dove tutto è invece oggetto di speculazione, in particolar modo la bellezza femminile nel cinema. Eppure grazie ad una prodigiosa capacità di centellinare e misurare ogni singolo dettaglio, movimento ed espressione dell’incantevole personaggio, alla Disney riuscirono nel prodigio: la bellissima Fata Azzurra è insuperabile per grazia e dolcezza. 


Anche nell’uso dei colori fu posta la massima attenzione: in un’ambientazione che prevedeva una larga presenza di oggetti e strutture in legno, furono usati pigmenti opachi in luogo di quelli più acquerellati che avevano una resa pittorica più naturale; questo senza però diminuire la gamma di sfumature che ogni superficie degli sfondi doveva avere per garantire l’adeguata profondità della scena. Per quel che riguarda le intere sequenze, in questo senso, oltre all’uso della tecnica del rodovetro per l’animazione dei personaggi sugli sfondi, il superbo impiego della multi-plane camera permise risultati a tutt’oggi ragguardevoli. Alcune panoramiche sul paesino di Pinocchio, o passaggi obbligati con gli oggetti che si sfocano mentre vengono lasciati indietro dall’avanzare dell’inquadratura, sono di grandissima suggestione visiva. Ma tutto questo splendido e ancora oggi difficilmente eguagliabile lavoro in campo di tecnica dell’animazione, passa in secondo piano di fronte al punto cruciale dell’opera che, come detto in principio, è fondamentalmente una semplificazione. Quello che salva Pinocchio è la sua scelta disinteressata, volta a salvare ad ogni costo Geppetto. E se questo, in America, negli anni Quaranta poteva sembrare comunque una decisione notevole, lo è ancora oggi e lo sarà ancora in futuro. Ovunque.  










 La Fata Azzurra





2 commenti:

  1. in effetti la cura molto dettagliata degli orologi mi ha sempre incuriosito, non poteva che esserci uno studio preciso dietro ;)
    sono d'accordo sulla conclusione, avercene di protagonisti disinteressati!... però adattamenti di Pinocchio basta così, grazie! ╮(╯_╰)╭

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  2. Pare invece sia un tema gradito agli autori. Anche se il ritmo di adattamenti, almeno stando a wikipedia, sia diminuito negli anni.

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