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mercoledì 23 dicembre 2020

BAMBI

699_BAMBI . Stati Uniti; 1942. Regia di Autori Vari.

Uscito nel 1942, Bambi arrivò a concludere una sorta di trilogia di classici della Walt Disney prodotti sulla scia del capostipite Biancaneve e i Sette Nani. Al capolavoro del 1937 erano infatti succeduti Pinocchio (1940) e Dumbo (1941), due solide storie animate che avevano la piena dignità per divenire degli autentici classici, oltre all’estroso Fantasia (1940), anch’esso un film di grande rilievo. Lasciato in genere un po’ in disparte quest’ultimo, visto il suo carattere quasi sperimentale, se si pensa ai film di animazione come destinati ad un pubblico di ragazzi, gli altri tre film, Pinocchio, Dumbo e Bambi, costituiscono abitualmente i classici che comunemente si pensa intercorrano tra Biancaneve e Cenerentola (1950). In realtà lo studio Disney produsse ben altri sei film, in quel lasso di tempo, da Saludos amigos (1942) a Le avventure di Ichabod e Mr. Toad (1949) ma che non hanno mai goduto veramente di grande credito presso pubblico e critica. In effetti la Disney operò in quel periodo in modo un po’ discontinuo, senza ripetere la riuscita alchimia che invece aveva portato i film degli anni immediatamente successivi a Biancaneve a restare davvero immortali. L’uscita di Bambi nelle sale chiuse quel primo momento davvero aureo: fu allora che vennero sostanzialmente stabiliti i canoni e i codici della classicità secondo Walt Disney. Ad onor del vero, il film dedicato al tenero cerbiatto fu concepito con largo anticipo ma una serie di contrattempi di varia natura lo posticiparono ad ultimo di questa sorta di ciclo iniziale. In ogni caso, il ruolo di questi primi film, sembra quello di consolidare i risultati ottenuti dal sorprendente capostipite. 

In effetti, dopo l’exploit impensabile di Biancaneve e i Sette Nani, Bambi può sembrare il modo ideale per confermare, in un certo senso, l’ambientazione di un tipico film Disney: grandissima attenzione agli sfondi, in particolare per il contesto naturale. Il rapporto con la Natura, nei film disneyani, è infatti uno dei cardini: anche nei film di ambientazione più tipicamente umana, come Pinocchio o Dumbo, moltissimi personaggi, spesso i protagonisti, sono animali in qualche modo antropoformi. E’ probabilmente un aspetto legato al linguaggio infantile che trova nelle forme animali una maggior familiarità e quindi gradimento: uno stratagemma usato da secoli dalla narrativa per ragazzi. Walt Disney era però molto ambizioso e, come già in Biancaneve e i Sette Nani e in Fantasia, in Bambi si pone un livello artistico superiore. Il soggetto da cui il film è ispirato, Bambi, la vita di un capriolo di Felix Salten, non era infatti un testo destinato ai ragazzi e, oltretutto, l’idea di Disney di darne una trasposizione cinematografica, sì d’animazione ma fortemente realistica in termini di ambientazione, stava portando l’opera ad assumere un carattere fortemente documentaristico. Fatto curioso, al tempo, per un cartone animato. 


In effetti, il risultato finale risente di questi aspetti, con le ambientazioni naturali, la foresta, la radura, gli stagni, tra i più maestosi e pittorici della galleria dei classici Disney. Allo studio temettero che la scarsa antropomorfia dei personaggi prevista dal soggetto, con gli animali nella forma molto realistici, poteva diminuire la capacità di immedesimazione dei piccoli spettatori. Gli autori risolsero la questione con una felice soluzione: nelle fattezze gli animali rimasero grosso modo nel loro aspetto naturale ma vennero enfatizzate le dimensioni e le espressioni dei loro occhi, che potevano replicare ed aumentare quelle tipiche degli umani. Il lavoro grafico fu così spinto in due direzioni diverse, da una parte si poté insistere con il contesto realistico, visto che l’emotività umana della storia era garantita dagli occhioni di Bambi, Tamburino (il piccolo coniglio) e Fiore (la simpatica puzzola). Un lavoro nel dettaglio che va in una direzione all’interno di un contesto che si muove nell’altra è un po’ la cifra stilistica di Bambi e, la cosa clamorosa, è che gli autori riuscirono ad ottenere il massimo proprio in senso di armonia generale. Infatti l’attenzione di tutta una foresta è posata su ben pochi personaggi: oltre ai tre citati ci sono da ricordare la dolce mamma di Bambi, l’Amico Gufo, il saggio della comunità, Faline la cerbiattina e il Grande Principe, il maestoso padre del protagonista. Per questi personaggi sono previsti alcuni passaggi che ne descrivano la personalità, per il resto gli abitanti della foresta sono mere comparse tese a ricreare un idilliaco (ma non sempre) contesto naturale. 


Ma in definitiva quello che ci viene raccontato è una vicenda che coinvolge tutti, come testimoniato, ad esempio, dalle riunioni in occasione delle nascite dei cervi. Allo stesso modo si sviluppò il lavoro sugli sfondi: invece di riprendere in modo fotografico tutta quanta la scena, ci si concentrò nei dettagli di quei particolari che catturavano l’occhio in primo piano, mentre tecnica impressionista era usata per rendere credibile ma non pesante il resto dell’inquadratura. Alcune sequenze, in particolar modo quelle dei riflessi degli stagni, sono a tutt’oggi insuperati esempi di altissima qualità nel campo dell’animazione cinematografica. In modo un po’ sorprendente, in Bambi non compare mai l’uomo. Questo benché si tratti di una storia che abbia un forte valore di insegnamento per ragazzi, mostrando, per intero e senza sconti, il ciclo della vita. Vero è che, attraverso i dialoghi e le espressioni dei volti, i personaggi sono umanizzati e quindi il processo di immedesimazione avviene senza sforzo. 

Però il rapporto con l’uomo, in Bambi, è rappresentato in modo particolare: l’uomo è vissuto come un elemento negativo, all’interno nel contesto naturale. Solo il fuoco, nel finale, è una calamità forse peggiore. Anche in questo caso, quindi, il testo procede in due direzioni diverse: da una parte vengono umanizzati (ma assai poco, come detto: voce e occhi e basta) gli animali, dall’altra si registra come l’uomo sia una fonte di pericolo e dolore (l’uccisione della madre di Bambi). Tra l’altro, il momento della morte della mamma del piccolo cerbiatto è particolarmente crudele: avviene in un momento apparentemente felice ed è poi lasciata efficacemente fuori campo, con una sensazione di distacco, di mancanza, totale. C’è quindi un implicito richiamo a tornare a vivere in modo più armonico con la natura, rinunciando a quelle prerogative che differenziano la razza umana (processo nel film simboleggiato dagli animali assai poco antropomorfi) e smettendo quindi i panni di minaccia per l’ambiente (da assimilare alla distruttività dell’incendio). La nascita, la crescita, le amicizie, la rivalità, l’amore, la morte, la nuova vita: Bambi è un film straordinario, uno sguardo concentrato su un piccolo cerbiatto che ci racconta della vita di tutta quanta la Natura.
Universale.
 






2 commenti:

  1. interessante, il trucco di enfatizzare gli occhi è alla base anche dei manga/anime, chissà che non ne abbiamo tenuto conto...
    e come non concordare sulla visione negativa dell'uomo?

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  2. Immagino che ci sia alla base delle scelte stilistiche dei manga, qualcosa di simile, anche se è curioso che, morfologicamente, gli asiatici abbiano gli occhi tutt'altro che grandi. Tuttavia penso che la grande comunicatività dei cartoni giapponesi sia in gran parte dovuto proprio alle espressioni enfatizzate.

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