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domenica 31 luglio 2022

IL FASCINO DELL'INSOLITO: CASTIGO DENZA DELITTO

1057_IL FASCINO DELL'INSOLITO: CASTIGO SENZA DELITTO. Italia, 1982; Regia di Fabio Piccioni.

Ray Bradbury riusciva ad essere ironico, in forma quasi beffarda, anche quando la sua prosa non lo sembrava affatto. In Castigo senza delitto la sua scrittura è asciutta e non si perde in battute di umorismo; anzi, ci sono piuttosto dei rimandi etici, sull’eventuale valore della vita artificiale dei robot, o manichini, come vengono in questo racconto chiamati gli androidi. Ma sono solo fugaci pennellate, che il lettore può, eventualmente, usare come spunto di riflessione, questo è vero. Però salta più all’occhio che il protagonista della storia pagherà per il delitto che non ha commesso (qui c’è il classico colpo di genio di Bradbury) solo per una sbagliata coincidenza temporale. Una beffa del Destino, insomma. E’ quindi anche questa ironia latente alla storia raccontata che finisce per rendere avvincenti e leggere le trame dello scrittore americano. E poi, per dire, nella sua raccolta di racconti Molto dopo mezzanotte troviamo prima Delitto senza castigo e in seguito Castigo senza delitto, a testimonianza di come all’autore piacesse giocare con le parole. Questo approccio spruzzato di rarefatta ironia è del tutto assente in Castigo senza delitto di Fabio Piccioni, ultimo capitolo della serie antologica Il fascino dell’insolito - Itinerari nella letteratura dal gotico alla fantascienza. Il che di per sé non è un difetto, anche perché dal testo in oggetto questo aspetto della prosa di Bradbury può anche essere ignorato. Ma rimane la differenza più evidente tra il racconto e il film. Tuttavia, l’atmosfera cupa e plumbea dello sceneggiato Rai ben si presta a questo esempio di fantascienza distopica basato su uno spunto interessante e ben giostrato, ovviamente, da un maestro come Bradbury già in sede di racconto. 

Piccioni ne segue sostanzialmente la scia, giustamente, a parte l’incipit con l’esplicito omaggio alla doccia di Psyco (1960, Alfred Hitchcock), inesistente nel racconto. Fin qui saremmo già in terreno ampiamente positivo, in sede di valutazione complessiva ma il vero valore aggiunto dell’opera sono le interpretazioni eccellenti di due mostri sacri come Arnoldo Foà (è il protagonista, George Hill) e Corrado Gaipa (l’uomo dei manichini). Il loro dialogo, che ricalca quello del racconto su carta, è strepitoso per via della superba capacità recitativa dei due interpreti. In questo caso, la leggera deriva teatrale, tipica delle produzioni televisive, permette anche di rendere credibile una situazione – l’accordo per un assassinio simulato di un androide perfettamente somigliante alla presunta vittima – abbastanza assurda. La vittima in questione è la moglie fedifraga di Hill, Katherine, che Valeria Ciangottini riesce effettivamente a rendere attraente a tal punto da far completamente perdere il senno ad un uomo che venga abbandonato da lei. Ottima trasposizione, quindi, e serie che, ahimè, chiuse i battenti con un altro episodio molto positivo. Rimangono aleggianti sulla storia le domande se l’uccidere un manichino, un androide, sia un reato o meno: son passati quarant’anni dal film e più di settanta dal racconto e per la verità, al momento nessuno si sente moralmente in colpa se rompe il frigorifero o un altro elettrodomestico (fateci caso elettro - domestico: definizione buona per qualcosa di simile ai manichini di Bradbury).   




Valeria Ciangottini 



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