1285_L'OCCHIO CALDO DEL CIELO (The Last Sunset). Stati Uniti,1961; Regia di Robert Aldrich.
Gli anni Cinquanta si erano appena conclusi eppure Robert Aldrich, regista inquieto, già cercava una nuova forma espressiva per il western. C’è da dire che il suo contributo al genere fino a quel momento – due film nel 1954, L’ultimo Apache e Vera Cruz – già presentava qualche originalità ma è forse con L’occhio caldo del cielo che l’autore imprime in modo deciso la sua impronta sul western. Non in modo scoperto sin dal principio, però, visto che il regista si riserva per il finale un clamoroso colpo di scena manco fossimo in un giallo o, visto il tenore della sorpresa, in uno di quei torbidi drammoni tipici della Hollywood dell’epoca. Aldrich, come detto, agisce quasi di soppiatto. Innanzitutto mantiene la veste classica per il suo western: la fotografia calda e satura di Ernest Lazslo e la sontuosa composizione delle immagini oltre alle musiche di Ernest Gold lavorano in questo senso. A dir la verità, la colonna sonora già è foriera di qualche nota insolita: va bene che le canzoni sono uno degli elementi tipici del western ma il gruppo di vaqueros canterini è un tantino insolito. Oltre a sottolineare una delle peculiarità di Aldrich, poi riprese dalle successive evoluzioni del genere, ovvero quell’ambientazione messicana già vista in modo consistente nel precedente Vera Cruz. Che l’autore intenda agire su un doppio livello, è reso esplicito da una scena all’inizio, quando O’Malley (Kirk Douglas) risponde contemporaneamente a Missy (Carol Lynely) e Milton (Regis Toomey) su due argomenti diversi. La sedicenne trova subito un’insolita attrazione per questo attempato ma ancora aitante fusto, mentre il sovrastante del ranch Breckenridge ha già capito che l’uomo è una calamita per i guai.In effetti O’Malley è
ricercato per omicidio e forse proprio per questo si è recato in Messico; oltre
che per vedere la madre di Missy, Belle Breckenridge (Dorothy Malone) sua
vecchia fiamma. Per la questione dell’omicidio sulle sue tracce c’è lo sceriffo
Stribling (Rock Hudson), oltretutto fratello dell’uomo ucciso da O’Malley, che non
tarda ad unirsi alla compagnia. Prima di lui arriva il padrone di casa, mister
Breckenridge (Joseph Cotten) un uomo debole, ferito in modo poco glorioso
durante la Guerra Civile e ora dedito all’alcol. Si tratta di un personaggio
marginale che, prima di tirare le cuoia lasciando la disputa per la moglie ai
due maschi alfa del racconto, fa giusto in tempo a vendere il ranch e
organizzare un viaggio con tutto il bestiame verso nord, negli Stati Uniti.
Ovviamente O’Malley e Stribling sono della partita, il primo riuscendo ad
ottenere un quinto della mandria come compenso. Anche questa è una manovra
narrativa curiosa, da parte degli autori – tra i quali, oltre ad Aldrich, vanno
aggiunti Howard Rigsby, suo il libro preso a soggetto, e nientemeno che Dalton
Trumbo, sceneggiatore – in quanto si capirà presto che è una mossa che prepara un
colpo di scena un po’ telefonato. La prevedibilità di questo passaggio – così
come di altri, ad esempio il salvataggio dalle sabbie mobili in cui era finito
Stribling da parte di O’Malley – è forse una sorta di falsa pista, un piano del
racconto prevedibile e un po’ scontato che ne maschera uno assai più arduo da
intuire. Questo doppio binario percorre tutto il film, esplorando altri ambiti.
Se infatti ci sono alcune concessioni narrative un po’ fantasiose, che
anticipano le derive crepuscolari del western, ad esempio il vestirsi
completamente in nero di O’Malley in un ambiente desertico o il suo ricorso ad
una derringer anche nei duelli con la pistola, il racconto si fregia di
alcuni passaggi realistici. Il soffiare nel naso del vitello per cancellare il
ricordo della madre, i fuochi di sant’Elmo visti nella mandria o l’uso di
orientare il carro con la stella polare la notte per avere la giusta direzione
all’alba successiva sono pennellate d’autenticità – al netto dell’attendibilità
delle situazioni descritte – inusuali in un genere avventuroso intriso di
fantasia come il western. Tutto questo lavoro di costruzione narrativa soggiace
poi all’intreccio melodrammatico che, con una presenza come quella di Dorothy
Malone, non può certo passare in seconda linea. Se Rock Hudson è molto
professionale nella sua parte di sceriffo, Kirk Douglas sciorina un’altra
prestazione sorniona e sopra le righe come suo solito, condita da qualche
passaggio davvero fuori controllo come la scena in cui sta per strozzare il
cane dei Breckenridge. Ma è il citato colpo di scena finale, una rivelazione
davvero difficile da immaginare, che ribalta completamente il risultato finale.
Il lieto fine tra Belle e Stribling svilisce, perde significato, a fronte
dell’eroismo di O’Malley che si sacrifica pur di salvare Missy. Tenendo
fede alla sua matrice binaria del film, la ragazza da personaggio un po’
infantile e marginale assurge addirittura a simbolo stesso dell’America,
tenendo presente che il western è pur sempre l’epica della nazione. E come il suo
paese, pur nell’innocenza di chi è troppo giovane per aver compiuto poi questo
gran Male, sente forte l’attrazione per la sua origine violenta. E, nonostante
quanto visto nel film, sappiamo bene che non basterà un sacrificio a salvarla.
Dorothy Malone
Carol Lynley
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