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lunedì 5 giugno 2023

LA CITTA' DEL VIZIO

1287_LA CITTE' DEL VIZIO (The Phenix City Story). Stati Uniti1955; Regia di Phil Karlson. 

Leggendo tra le reazioni del tempo al film di Phil Karlson La città del vizio, si può capire quanto diventi insidioso per un testo cinematografico pretendere di essere storicamente attendibile. La situazione di Phenix, Alabama, nel secondo dopoguerra era davvero terribile e l’idea di ricorrere al cinema per denunciare ed estirpare una volta per tutte la malapianta della criminalità fu senz’altro condivisibile. Il film di Karlson uscì nel 1955 e, pur avendo gli stilemi di un noir venato di crime movie, è a tutti gli effetti un instant-movie, tanto che alcuni criminali pare fossero ancora sotto processo quando il film era nelle sale. Lo spunto principale della storia è l’omicidio del neo procuratore Albert Pat Patterson (nel film, John McIntire, al solito validissimo), che si era preso la briga di ripulire la città dalle bische e dalle sale da gioco truffaldine che infestavano la Quattordicesima Strada di Phenix City, la città del vizio del titolo italiano. Purtroppo nello stendere la sceneggiatura gli autori decisero di enfatizzarne qualche passaggio narrativo, per rendere la vicenda più drammatica ed appassionante. Il che non sarebbe certo un male, sia chiaro; ma lo può diventare se poi il racconto cerca di ergersi a testo storicamente attendibile. Se sulla questione dell’omicidio di Patterson è dura avere un qualche riscontro, visto lo scarso risultato ottenuto ai tempi dalle indagini in merito, è sicuro che l’omicidio della piccola figlia di Zeke sia del tutto inventato. Il tasto dolente è che un dettaglio così clamoroso, una bambina afroamericana uccisa solo per dare un avvertimento a Patterson e a suo figlio John (Richard Kiley) – che in seguito sostituirà il padre nel ruolo di procuratore generale – offre il fianco a critiche di credibilità storica del film. 

Oltretutto inserendo un elemento, l’evidente antirazzismo, che pare non fosse proprio nelle corde dei Patterson e, in ogni caso, non in quelle degli abitanti dell’Alabama dell’epoca. Forse per prevenire queste perplessità, che in effetti sorsero, Karlson e la produzione aggiunsero, dopo una prima versione messa in circolazione nelle sale, un cappello introduttivo in cui alcuni cittadini di Phenix intervistati da Clete Roberts confermavano quanto il vizio e la corruzione attanagliassero la città. Tra i personaggi interpellati figura addirittura Agnes Patterson, fresca vedova di quell’Albert protagonista del film e che venne appunto assassinato in seguito all’acuirsi della situazione. 

L’intervistatore stimola i ‘testimoni oculari’ sulla questione di quanto fossero effettivamente libere le elezioni in quegli anni a Phenix. La democrazia non sembra avere dato grandi risultati, in quel piccolo lembo di America, e si cerca evidentemente di capire il perché. A vedere oggi la ricostruzione che ne fa la pellicola di Karlson, la cosa che sorprende, in assoluto, è quanto le istituzioni fossero corrotte: nel film l’accusa alle forze dell’ordine sembra poco credibile tanto è eccessiva tuttavia la reale indagine successiva alla morte di Patterson portò all’incriminazione di oltre settecento funzionari degli uffici pubblici o di polizia. Questo è uno degli elementi che spazza via le schermaglie politiche che cercarono di contrastare o, al contrario, ribadire, l’attendibilità storica de La città del vizio. Il problema della corruzione a Phenix c’era è inutile negarlo, ciononostante qualche dubbio guardando il film sorge comunque. L’errore, se vogliamo chiamarlo errore, di Karlson e dei produttori fu quello di focalizzarsi sul fatto singolo, non a caso il titolo originale The Phenix City Story ha un forte richiamo storico e specifico, come a dire che quella presentata era la reale vicenda inerente a quell’unico posto. Il tentativo di circoscrivere il male è manifesto anche nel ripetere continuamente che il luogo malsano della stessa città fosse la famigerata Quattordicesima Strada quando, per la verità, poliziotti e funzionari corrotti erano sparsi un po’ dappertutto sul suolo urbano di Phenix. Forse, ma non è detto, gli autori si accorsero della potenza devastante e su larga scala che la loro storia davvero raccontava. E cercarono, al contrario, di convincerci che si trattava di un problema limitato, specifico ad un unico luogo. 

A parte questo, c’è anche qualche altro passaggio usato in modo strumentale ma interessante: il riferimento biblico a Sodoma – scaltro richiamo puritano – o il parallelo con la Germania, additata dalla moglie di John Patterson, Mary Jo (Lenka Peterson), come luogo idilliaco per far crescere i propri figli. Patterson Jr. era un militare e con la famiglia era appena rientrato dall’Europa: la moglie, vedendo la situazione di Phenix si lamentò rimpiangendo quella Germania appena liberata da Hitler. La lezione per lei e per il pubblico a cui è rivolto il film è presto evidente: il male attecchisce se le persone perbene ne ignorano il trafficare, per quieto vivere o opportunismo; al contrario il male va combattuto come si è combattuto e vinto il Nazismo. Il che è certamente vero e condivisibile, sia ben chiaro. Tuttavia, una volta che si produce un testo che si spaccia per veritiero e non lo è, verrebbe da chiedersi se in una battaglia, fosse anche una battaglia giusta, sia lecito usare la menzogna come arma di convinzione di massa. Perché il punto focale, come si accennava, sembra altrove e non pare si voglia davvero metterlo a nudo. L’impressione è che lo sforzo di contestualizzare il discorso, di renderlo specifico al caso Phenix – già evidente sin dall’inizio e rinvigorito poi con l’incipit con le interviste – sia un tentativo di distogliere l’attenzione dal vaso di Pandora che si era – inavvertitamente? – scoperto. Perché quello che stigmatizza e condanna La città del vizio, in verità, è il modello occidentale, la democrazia, il sogno americano e qualunque altra forma di società vigente nel cosiddetto mondo libero. 

Evidentemente la democrazia aveva già mostrato i suoi enormi limiti nell’immediato dopoguerra e non solamente in tempi recenti dove è proprio impossibile non scorgerli. E qui ritorna in mente l’insistenza di Roberts nell’introduzione su come a Phenix nel periodo in questione non vi fossero state elezioni davvero libere. Se la democrazia non aveva funzionato, secondo Robert, il motivo andava ricercato nell’impossibilità per il sistema elettorale di rimanere indipendente. E’ quindi forse questo il vero motivo dell’inserimento dell’introduzione con le interviste: bisognava difendere l’ideale democratico che a Phenix aveva invece fatto cilecca. Solo a Phenix? In questa misura, forse sì, tuttavia il dubbio sull’effettiva infallibilità del modello democratico poteva sorgere. Certo, si dirà, la democrazia è la migliore forma di governo; si può essere d’accordo, nel qual caso lo è comunque in un’ipotetica gara al meno peggio. Per anni, al contrario, si è invece propagandato la democrazia come forma giusta in senso assoluto e il modello americano come quello da prendere come riferimento. Particolarmente forte era questa propaganda in quegli anni Cinquanta – ma è naturalmente attiva ancora oggi – anni in cui La città del vizio invece denunciava apertamente tutti quei limiti che, nel corso degli anni, abbiamo visto manifestarsi ovunque regni la legge della maggioranza. Una certa analogia tra Phenix e la ben più nota Las Vegas, capitale mondiale del gioco d’azzardo, è palese ma, al di là delle somiglianze superficiali, la situazione descritta ne La città del vizio è ben più diffusa. 

Truffe, corruzione, soprusi delle forze dell’ordine, eccetera, eccetera sono abitudini che si trovano ovunque. E, oltretutto, non sono affatto legate in modo diretto al mondo del gioco d’azzardo e dei locali notturni: è evidente che in certi ambienti pullula il malaffare ma per una serie di motivi circostanziali più che concettuali. Le regole della società borghese, spesso dipendenti dal quieto vivere – quello stesso quieto vivere citato nel film come elemento che permette al male di proliferare – dalle convenzioni o dalle credenze dei più – la maggioranza – creano per loro stessa natura un bisogno di trasgredire. La splendida Meg Myles, che nel film interpreta una ballerina da night club, non fa sostanzialmente nulla di male, se non giocare un po’ alla femme fatale con gli avventori, ma è simbolicamente usata come uno dei massimi esempi del degrado della città. 

L’ambiente in cui si muove è effettivamente malsano ma questo è dovuto principalmente agli enormi interessi che circolano attorno ai cosiddetti vizi proibiti E’ un po’ la storia del proibizionismo che non spense affatto l’attrazione per i superalcolici ma sortì forse proprio l’effetto contrario; poi, d’accordo che l’alcool se bevuto in quantità eccessiva sia dannoso per la salute ma i problemi, al tempo, erano la connessioni con la criminalità e non le bevande alcoliche in sé stesse. Insomma, anche la critica perbenista ai vizi della Quattordicesima Strada – il gioco d’azzardo, la prostituzione – sembra un tentativo di far assumere una garanzia morale al punto di vista del film. E l’antirazzismo pare essere un ulteriore ingrediente utile a questo scopo, seppur sia una sorta di autogol sul piano della veridicità storica. In realtà il vero male da estirpare è costituito dalla violenza, dal sopruso, dall’imbroglio, dalla corruzione, tutti elementi che nella Quattordicesima Strada di Phenix erano certamente condensati in modo esponenziale ma sono propri della nostra società come di qualunque comunità umana. Che la democrazia, di per sé, fa poco per combattere, essendo unicamente una forma che esprime un governo in base a percentuali di concordanza e non di merito. Certo, prova ad abbattere il privilegio precostituito – e, in effetti, nel film il protagonista viene eletto al ruolo di procuratore – che è una grandissima cosa, è ovvio. Ma da un punto di vista etico e morale il lavoro è tutto da fare ed è indipendente da essa anzi, a volte è ostacolato proprio dal pensiero comune, espressione della maggioranza e non necessariamente depositario di un qualche valore davvero importante in sé.
La vera battaglia, non quella puerile ai vizi dei locali notturni, è dura da vincere proprio perché la democrazia di per sé non è affatto un aiuto a prescindere. Anzi, come detto, spesso nel difendere ingiustamente la convenienza e il benessere di una parte, sia anche quella maggioritaria, è proprio l’ostacolo insormontabile.
Basta guardarsi in giro per averne quotidiana conferma. 






Meg Myles 





Katrhyn Grant 

Lenka Peterson 


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