1293_LA FRUSTA DELL'AMAZZONE (Bullwhip). Stati Uniti,1958; Regia di Harmon Jones.
Poche attrici riuscirono come Rhonda Fleming ad interpretare la bellezza hollywoodiana classica, quella della golden age degli anni Cinquanta, per intenderci. Tuttavia, almeno in Italia, l’attrice americana non ha mai raggiunto lo status di notorietà di Marilyn Monroe o Ava Gardner, tanto per fare due nomi. Eppure, non solo la sua meravigliosa presenza scenica ma soprattutto lo stile, la perfezione dei lineamenti e delle curve, ce la rende immediatamente famigliare anche non dovessimo conoscerla. Perché la Regina del Technicolor – Rhonda era definita Queen of Technicolor in virtù dei capelli rosso fiammeggiante – incarna in modo assoluto i canoni di bellezza a cui un po’ tutte le attrici aspireranno almeno fino alla rivoluzione dello stile che portarono i sixties. Tutto questo per dire che, se anche qualcuno non possa riconoscere per nome la Fleming in una pellicola, il suo aspetto risulta subito famigliare: non siamo di fronte solo alla tipica diva degli anni Cinquanta ma piuttosto al prototipo. Ne La frusta dell’amazzone, in forma quanto mai smagliante, oltretutto. Ma è l’unica nota lieta del film di Harmon Jones, un pastrocchio ingarbugliato sulla cui coerenza narrativa è inutile disquisire: fosse anche rispettata, e c’è chi sostiene non lo sia, sono davvero troppi gli intrighi, i sotterfugi e le contromosse, spesso fini a sé stesse, che, anche a volerle seguire, non restituiscono niente in cambio. Ma, probabilmente, è proprio nella sceneggiatura, o più precisamente nell’autrice della stessa, che possiamo trovare parte del motivo dello scarso risultato di Bullwhip, questo il titolo originale dell’opera di Jones.
A stendere lo script del film fu infatti Adele Buffington, sceneggiatrice che in carriera superò le cento collaborazioni ma che agli inizi degli anni Cinquanta praticamente chiuse con il cinema. Specializzata nei western di serie B, la Buffington fu chiamata per collaborare per la serie Tv The adventures of Wild Bill Hickok (1951-1958) dove furoreggiava quel Guy Madison che troviamo protagonista un po’ inadeguato de La frusta dell’amazzone. Il bel Guy, dopo aver cincischiato un po’ troppo ad inizio carriera (ad esempio in Anime ferite, 1946, regia di Edward Dmytryk) aveva riguadagnato una certa notorietà, soprattutto presso il pubblico femminile, proprio nel telefilm sulle gesta di Wild Bill Hickok. La Buffington era ovviamente una donna e, considerato il trattamento di lusso che riserva all’attore ne La frusta dell’amazzone, c’è da credere che condividesse l’apprezzamento delle telespettatrici. Nel suo sporadico ritorno al grande schermo, la presenza di Guy non deve essere presumibilmente un aspetto troppo marginale. Inoltre, ne La frusta dell’amazzone questa vena palpitante di donne che spasimano per Madison è sostenuta anche dalla produttrice Helen Ainsworth, di cui proprio Guy era forse il pupillo d’eccezione.
Produttrice e sceneggiatrice erano quindi donne e al pubblico femminile sembrava dedicato l’ingaggio di Madison come protagonista. Certo, La frusta dell’amazzone è un western, genere considerato prettamente maschile, ma si era negli anni Cinquanta e i film dei cowboys erano all’apice del loro successo, un apice che coinvolgeva anche il pubblico femminile. Curiosamente – ma nemmeno poi tanto – un film con alle spalle autrici donne e attento alle esigenze del pubblico muliebre, si rivela in realtà assai poco femminista, con la protagonista Cheyenne O’Malley (Rhonda Fleming) che, nel corso del film, viene messa al suo posto, ovvero quello di casalinga, dal marito Steve (Guy Madison, sa van san dir). In sostanza, se volessimo leggere tra le righe dell’operazione, Rhonda rappresentava l’ascesa del ruolo femminile in seno alla società americana, che avvenne proprio nel secondo dopoguerra.
Le donne, dopo aver dimostrato nelle fabbriche il loro valore, mentre gli uomini erano al fronte, a guerra finita non intendevano certo tornare ad occuparsi solo delle faccende domestiche. Una situazione, in effetti, simile a quella in cui si trova Cheyenne, che deve badare da sola all’impresa di famiglia dopo la morte del padre. Evidentemente, le prime perplessità a questo cambio di carte in tavola, sorsero proprio in soggetti come la Buffington e la Ainsworth che, se proprio in quel momento devono orchestrare un film, si premurano di mettere in scena un bulletto da quattro soldi come Steve – e, ahimè, verrebbe da dire anche come Guy Madison – per ristabilire l’ancien regime. In ogni caso, ogni teoria, se motivata, può essere accettabile nell’ottica della libertà di pensiero ma, al cinema, con quel ‘se motivata’ si intende che il film in questione deve reggere. E qui casca l’asino: La frusta dell’amazzone non regge assolutamente la visione. Se anche la stessa Fleming fatica un po’ quando viene messa in discussione - assai più convincete nel suo ruolo autoritario – quello che risulta davvero posticcio è proprio Guy Madison. In effetti, è la sua inadeguatezza a far scadere la prestazione della Fleming, nel momento in cui Cheyenne deve arrendersi cosi docilmente ad uno tipo tanto scialbo e per nulla convincente come lo Steve impersonato da Madison. Insomma, verrebbe quasi dire che dispiace vedere Rhonda coinvolta in un simile pasticcio, se non fosse che la Regina del Technicolor si guarda sempre con piacere.
Rhonda Fleming
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