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venerdì 23 giugno 2023

LA CITTA' DEI MORTI

1296_LA CITTA' DEI MORTI (The City of the Dead). Regno Unito,1960; Regia di John Llewellyn Moxey.

Dalla metà degli anni Cinquanta in Gran Bretagna, grazie alla Hammer, il genere horror aveva ricevuto un nuovo slancio e, sempre da quelle parti, ben presto si fece strada un’agguerrita concorrente della gloriosa casa di produzione. Nel 1960 la Amicus, lo studio che rivaleggerà con la Hammer negli anni successivi, non era ancora stata creata, ma i due fondatori, Subotsky e Rosemberg, cominciano a muovere i primi passi nel campo dell’horror e sotto l’egida della Vulcan Film producono La città dei morti. Si tratta di un horror a basso costo molto convenzionale incentrato sullo storico fenomeno della stregoneria diffuso nei secoli scorsi nel New England degli Stati Uniti. La vicenda è ambientata nel presente ma, a quanto si apprende dal racconto, la maledizione della strega Elizabeth Selwyn (Patricia Jessel) avrebbe avuto effetto e sarebbe stata tenuta in auge dal XVII secolo da una setta di immortali adepti. Tra i quali spicca il professor Driscoll (interpretato nientemeno che da Christopher Lee, uno dei mostri sacri della Hammer), che ha il compito di introdurre il racconto vero e proprio dopo l’incipit del 1692 con il rogo della strega Selwyn. All’apparenza Driscoll sembra unicamente un insegnante che dà eccessivamente credito al lato fantastico e mistico della Storia americana: se la cosa affascina Nan Barlow (Venetia Stevenson), una sua intraprendente studentessa, lascia più scettici tanto il fratello Richard (Dennis Lotis) che il fidanzato Bill (Tom Naylor). 

In realtà non solo c’è sotto qualcosa ma quel qualcosa è anche estremamente pericoloso anche se, sul momento, la questione sembra solo la credibilità del sovrannaturale. Nan decide di partire per il New England per approfondire gli avvenimenti legati alla stregoneria del XVII secolo e su precise indicazioni del suo docente si reca a Whitewood. Lo sperduto paesino del Massachusetts era stato proprio il luogo dove era stata bruciata viva la strega Selwyn, quella del prologo, che troviamo viva e vegeta nei panni di Mrs Newless (naturalmente, ad interpretarla, sempre Patricia Jessel) la proprietaria dell’unica locanda del paese. La trappola è ormai scattata e, per la festa della Candelora, la giovane vittima è pronta per il sacrificio al culto delle streghe. 

Siamo circa a metà film e questo fatto, unitamente ad altri, potrebbe far nascere qualche sospetto nello spettatore più malizioso: anno 1960, genere horror, fotografia bianco e nero, protagonista femminile bionda che viene eliminata a metà racconto, congiunto della vittima che si mette alla sua ricerca insieme ad un altro personaggio femminile… Calma, a quanto riportano le cronache e considerato le tempistiche, è abbastanza arduo pensare che la produzione di Psyco, il capolavoro di Alfred Hitchcock, possa aver influenzato quella di La città dei morti. Coincidenze, a questo punto, a cui va aggiunta la similitudine del ritrovamento del cadavere rinsecchito, nel film di Hitch quello di mamma Bates, in questo quello della strega Selwyn una volta svanito il maleficio che la teneva in vita. In ogni caso, se Psyco è un film in cui la regia è una prova di estrema bravura, John Llewellyn Moxey, al suo esordio dietro alla macchina da presa, dirigendo La città dei morti si attiene ad una prestazione di ordinaria amministrazione. Il soggetto scritto da Milton Subotsky, uno dei due citati produttori, è un horror non particolarmente originale ma tutto sommato consapevole e ironico; Moxey, da parte sua, traduce in immagini senza sbavature ricorrendo ai classici cliché del genere. Il fantastico si è ormai affermato a tal punto da poter contrastare, almeno al suo interno, le moderne convinzioni per cui il fatto che gli scettici di inclinazione scientifica del film, Richard e Bill, vengano clamorosamente smentiti dai fatti risulta tranquillamente plausibile. La soluzione del finale, in linea con questa prospettiva del racconto, è di natura mistico religiosa ma è sempre da intendere nell’ambito della natura fantastica dell’opera. Proprio la coerenza, più formale che nella sostanza – del resto nell’horror, come in molti altri generi leggeri, la forma è sostanza – è l’aspetto migliore del film. Moxey, considerata anche la sua scarsa esperienza, dimostra di essere particolarmente abile nel gestire i passaggi critici e il concitato finale. Per essere un’opera prima, la sua regia per La città dei morti manca forse di brio e personalità, ma è solida e affidabile. E il film, sempre apprezzato dal pubblico, conserva intatto ancora oggi il fascino degli horror dell’epoca, ed è, a tutti gli effetti, un piccolo classico. Hai detto niente.   




Venetia Stevenson 




Patricia Jessel 


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