1291_ULTIMATUM A CHICAGO (Chicago Deadline). Stati Uniti, 1949; Regia di Lewis Allen.
Ci vuole qualche decina di minuti per capire che la star femminile di Ultimatum a Chicago, è la ragazza che Alan Ladd trova morta nell’incipit del film. Ciò vuol dire che non solo nessun lieto fine è previsto, ma neppure ipotizzabile: il che dovrebbe fare di Ultimatum a Chicago, un film decisamente pessimista. Ladd è Ed Adams e fa il giornalista, uno dei non molti ruoli destinati ai personaggi principali dei noir del periodo; Donna Reed, la bellissima protagonista femminile, è Rosita ed è la vittima del caso di omicidio su cui verte il canovaccio, con la atipica condizione che muore prima dell’inizio del racconto filmico. Ma non è l’unico aspetto insolito, perché quello di Lewis Allen è un purissimo noir, dal punto di vista dell’ingarbugliato intreccio, ma con alcune note singolari. Innanzitutto, per quanto Adams perda concettualmente un po’ la bussola rimanendo affascinato da una ragazza già morta – e qui qualche rimando a Vertigine (1944) di Otto Preminger è evidente – Ladd non conferisce quasi mai al personaggio segni di cedimento. Anche quando combina qualcosa di illecito, come appropriarsi del taccuino di una ragazza appena deceduta sottraendolo alla polizia, lo fa con la consapevolezza tipica dell’eroe hollywoodiano che sa già di aver ragione a prescindere. Infatti, l’impressione, vedendo il film, è che se il diario lo avessero preso le forze dell’ordine avrebbero insabbiato ogni cosa e questo derubrica la scorrettezza di Adams, almeno da un punto di vista di narrativa cinematografica. La cosa interessante, in tutto ciò, non è certo l’aspetto giuridico ma la statura cristallina di Adams, che poco ha a che spartire con altri protagonisti dei noir, abitualmente ben più tormentati.
Rispetto ad un classico dell’epoca, a Ultimatum a Chicago manca anche la dark lady, e questo è senz’altro l’elemento di maggior rilievo: Rosita, che a rigor di logica avrebbe dovuto esserlo, è già morta. Inoltre, la battaglia di Adams consiste proprio nel restituire una degna reputazione alla ragazza che, dopo essere deceduta di tubercolosi, era stata dipinta dalla stampa un po’ a tinte fosche. Un altro elemento insolito è, infatti, la morte naturale di uno dei personaggi come elemento che inneschi la vicenda. In effetti solo l’intuito di Adams, un superpotere tipicamente hollywoodiano, scorge la possibilità di una storia laddove tanto la polizia che gli spettatori avrebbero visto unicamente una morte causata dalla terribile malattia. Il reporter protagonista, al contrario, si fa irretire dalla bellezza di Rosita – ecco, questo sì è un tipico meccanismo noir – e prova ad approfondire e, come si muove, scopre un intrigo di gangster, uomini potenti che spadroneggiano e pupe che, volenti o nolenti, si prestano al gioco. Insomma, il tipico tessuto dei noir d’epoca, con ambientazione che omaggia la città dove ebbe origine il crime movie antesignano dei polizieschi degli anni Quaranta. Ladd era un habitué dei noir e questo Ultimatum a Chicago aggiunge poco al suo prestigio, nel campo specifico, visto che l’attore era stato protagonista di pellicole di ben altra qualità. Tuttavia anche questo film contribuisce a definire uno dei tipici protagonisti che si potevano trovare in questi film: un eroe tutto d’un pezzo che, anche in mezzo alle insidie della metropoli, non sembra vacillare neppure per un istante. Alan Ladd, all’occorrenza, l’anima candida del noir.
Donna Reed
June Havoc
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