1295_SABBIE ROSSE (Along the Great Divide). Stati Uniti,1951; Regia di Raoul Walsh.
Due anni prima, sempre sotto la direzione di Raoul Wlash, la splendida Virginia Mayo aveva probabilmente raggiunto l’apice della carriera con La furia umana, dove era stata in grado di reggere l’urto di James Cagney carico come non mai. La stoffa, Virginia, l’aveva peraltro già mostrata, da I migliori anni della nostra vita (1946, di William Wyler) a Gli amanti della città sepolta (1949, ancora per Raoul Walsh). Oltre a Cagney, l’attrice si era confrontata con mostri sacri di Hollywood come Robert Mitchum, Burt Lancaster, Gregory Peck, tenendo sempre botta. Anche in Sabbie rosse, nel confronto con Kirk Douglas, Virginia se la cava alla grande, mettendolo quasi in ombra. Il ruolo dei due protagonisti, al netto delle divergenze della trama, presenta infatti delle analogie che suggeriscono il confronto: Kirk è Len Merrick, marshal – ovvero sceriffo federale – che ha sulla coscienza la morte del padre, sceriffo a sua volta. La Mayo è Ann e il padre, Pop (Walter Brennan) cerca invece di proteggerlo a tutti costi. A cominciare proprio da Merrick che, per chiarezza, non è certo il cattivo della storia, per quanto si presenti vestito interamente di nero che, nei western del tempo, era uno dei biglietti da visita del villain di turno. A questo proposito, pur essendo un film del 1951, Sabbie rosse, con il suo formidabile bianco e nero e l’ingombrante figura femminile, sembra ancora un western romantico, uno di quelli del decennio precedente. Manca il fuorilegge, per la verità, che di quelle pellicole era il re incontrastato: ma il protagonista ha sulla coscienza la morte del padre e, in ogni caso, tra tutti i personaggi forse il solo Billy (John Agar), uno dei vice di Merrick, è davvero pulito.
E infatti è il primo a rimetterci la pelle, lasciando campo ad una serie di figure che, chi più, chi meno, hanno tutti qualche scheletro nell’armadio: il primo della lista è Pop, sul cui capo pende l’accusa di omicidio e che rischia in avvio di pellicola di finire appeso per il collo in modo sbrigativo. In realtà è solo un ladro di bestiame; in ogni caso non è del tutto innocente, quindi. Poi c’è l’altro vicesceriffo, Lou (Ray Teal), individuo ambiguo che accetta l’autorità di Merrick in ossequio alla legge del più forte, ma è pronto a tradirlo se l’occasione è propizia. Cruciali anche i Roden: il vecchio Ed Roden (Morris Ankrun), un proprietario terriero, ha trovato suo figlio morto e ora vuole impiccare Pop anche senza prove, con un vero e proprio linciaggio. E l’altro suo figlio, Dan (James Anderson), è anche peggio: assassino fratricida, vile e infingardo, nonché, ovviamente, in prima file per appendere al ramo il povero Pop, trovatosi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ricapitolando: Merrick, accompagnato da John e Lou, piomba sul luogo di un linciaggio; il figlio maggiore di Ed Roden è stato ucciso con un colpo d’arma da fuoco alle spalle, Pop è stato sorpreso nei paraggi con del bestiame rubato e, nel west, tanto bastava. Non a Merrick che, memore di quello che era successo a suo padre – anche per colpa sua – non intende permettere che la Legge venga scavalcata: Pop avrà un giusto processo.
I Roden non sono naturalmente dell’avviso e presto si arriva allo scontro; i tre sceriffi federali riescono a defilarsi ma il vecchio Ed non è tipo da mollare la presa. Al gruppo dei fuggitivi si unisce presto Ann, figlia di Pop, preoccupata che il padre finisca sulla forca comunque, processo o non processo, conoscendo l’influenza di una famiglia potente come quella dei Roden. Tra la ragazza e Merrick, come prevedibile, scocca la scintilla ma Ann è tosta e, nonostante si innamori relativamente presto dell’uomo, non esita a tirargli qualche brutto scherzo pur di provare a liberare il padre. Intanto i Roden hanno teso un agguato agli sceriffi federali e, nel parapiglia, Billy ci lascia le penne mentre Dan Roden viene catturato e tenuto in ostaggio: Merrick avrà quindi via libera fino a Santa Loma, almeno da parte degli inseguitori. Perché i guai per lo sceriffo sono tutt’altro che finiti: c’è da attraversare il deserto, con i pozzi avvelenati e una tempesta di sabbia che mette a dura prova la resistenza del gruppo. Soprattutto del marshal che, con la svolta traditrice di Lou, si trova solo e stremato a fronteggiare tre uomini – lo stesso Lou, Dan e Pop – e Ann, a conti fatti la più pericolosa. Curiosa la figura di Pop, a cui Walter Brennan riesce a dare una connotazione ambigua tutto sommato insolita per il vecchio interprete: non è una figura totalmente negativa, anzi, ma è comunque un ladrone e quando scopre che una canzone mette in difficoltà Merrick – perché gli ricorda il padre per la cui morte si sente in colpa – insiste con particolare aria beffarda ai limiti del sadismo. Più cristallina, per quanto selvaggia, l’indole di Ann: per lei i rapporti famigliari sono più importanti della Legge della società, per cui se c’è da salvare il padre non si ferma nemmeno davanti ad uno sceriffo, neanche se ha un debole per lui.
Il rapporto genitori/figli è il tema centrale del lungometraggio, con ben tre coppie di questo tipo presenti sulla scena: da quella centrale di Ann – vera protagonista del film – e Pop, a quella solo suggerita tra Merrick e il genitore evocato dai ricordi. Queste due combinazioni, ‘rapporto padre/figlio tra persone vive’ e ‘medesimo rapporto laddove un individuo è invece morto’, è riassunto nella famiglia Roden, con il padre Ed che ha un figlio presente nella storia mentre l’altro compare solo di sfuggita e già cadavere, pur essendo un importante snodo della vicenda. Walsh aveva già inteso, almeno sin dai tempi di Notte senza fine (1947), che la conquista del west avrebbe comportato qualche eredità scomoda, per i figli dei padri della patria. La violenza che era stata seminata dai conquistatori gravava ora su quei figli: su Merrick, nonostante il tentativo di imitare il padre, in quanto ora la sua opera rischia di non portare nessun risultato positivo, visto che Pop verrà comunque giudicato colpevole e quindi destinato alla forca. Dan, dal canto suo, non riuscendo a reggere il rapporto con il padre-padrone, si arrangia da vero delinquente ma con uno spirito, tutto sommato, non diverso dalla logica prepotente del genitore. Non arrivando ad imporsi con la forza, ci prova con l’inganno e il tradimento, ma il succo, tutto sommato, non è poi così diverso. L’unica a rompere questa spirale di violenza è Ann, una vera gatta selvatica e tutt’altro che mansueta ma perlomeno protesa alla difesa del padre e, quindi, se non eticamente, almeno umanamente inappuntabile. Il problema, secondo l’ottica del film di Walsh, è che l’America era un paese violento e, anche qualora si riuscisse ad imporre una Legge comune che sostituisse il fai da te al tempo diffuso, sarebbe cambiata la forma ma non la sostanza: si veda il processo nel finale a titolo d’esempio. Una critica di cui possiamo vedere, ancora oggi, i riscontri tangibili e, quindi, incontrovertibile: per risolvere positivamente il finale, e concedere un lieto fine di protocollo ai due protagonisti, il regista americano ricorre ad un escamotage giallo, sostanzialmente estraneo al genere western. Il passaggio è molto ben costruito e conferma la qualità narrativa di Walsh, vero maestro della narrativa cinematografica: Merrick, a processo già concluso e con Pop già con la corda al collo, trova il dettaglio decisivo che scagiona il padre dell’amata. Tutto e bene quel che finisce bene, verrebbe da dire vedendo la Mayo che abbraccia Douglas nel finale, dopo averlo in precedenza accusato per via della sua ottusa fede nella Giustizia. In realtà le dure parole di Ann rimangono valide, anche se per un pelo suo padre l’ha scampata: un innocente, almeno per quel che riguarda l’omicidio di cui era imputato, stava finendo giustiziato ingiustamente. Il lieto fine di facciata non dissipa affatto le ombre della vicenda. Che aleggiano tutt’ora da quelle parti.
Virginia Mayo
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