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domenica 25 giugno 2023

IL SOSPETTO - LO SCENEGGIATO

1297_IL SOSPETTO - LO SCENEGGIATO . Italia,1972; Regia di Daniele D'Anza.

I romanzi di Friedrich Dürrenmatt non sono particolarmente noti eppure devono avere qualcosa di speciale, se nelle trasposizioni televisive dànno la possibilità agli interpreti di sciorinare prestazioni davvero memorabili. Era già successo con Il giudice e il suo boia, dove Paolo Stoppa e Glauco Mauri erano stati straordinari, e la stessa cosa succede, almeno in parte, anche ne Il sospetto – Lo sceneggiato. A proposito: la dicitura esplicativa ‘lo sceneggiato’ è forse inserita dalla Rai per differenziare l’opera dalla famosa pellicola Hitchcockiana, con cui il film televisivo di Daniele D’Anza niente a che da spartire. Il soggetto è, appunto, un romanzo di Dürrenmatt, sostanzialmente il seguito de Il giudice e il suo boia, per la precisione. Cosa che, ovviamente, vale anche nello sceneggiato dove troviamo ancora Paolo Stoppa nei panni del commissario Barlach, stavolta malato e ormai a fine carriera. Stoppa è sempre eccellente ma, almeno nella prima parte – proprio come il suo personaggio – arranca un po’, anche se, quando finalmente arriva a tu per tu con il rivale di turno, sfodera un bel passaggio pregno della sua sottile intelligenza. Per essere onesti, è tutto lo sceneggiato che, almeno nel primo episodio, fatica. Come detto Barlach è ricoverato mentre al commissariato è già stato sostituito: in ogni caso il racconto rimane sul letto d’ospedale del vecchio poliziotto. Ovvero non proprio il massimo in tema di azione e possibilità narrative. 

Il dottor Hungertobel (Ferruccio De Ceresa), suo amico che lo ha in cura, è un buon interlocutore ma niente di eccezionale; più interessanti gli scambi di vedute con Gulliver (Mario Carotenuto), ex prigioniero dei campi di concentramento nazisti della Seconda Guerra Mondiale. Già perché la vicenda ruota intorno ad una fotografia, capitata casualmente sotto gli occhi di Barlach e di Hungertobel, in cui il dottore crede di riconoscere un vecchio compagno di studi. Con la nostra storia siamo in Svizzera e la foto in questione, al contrario, è stata scattata in Germania, durante l’ultima guerra, in un campo di concentramento dove il chirurgo immortalato nello scatto operava i prigionieri ebrei senza anestesia. Qui sorge il sospetto che dà il titolo al racconto: può davvero essere Emmerberger, il compagno di studi di Hungertobel, quello ritratto nella fotografia? La cosa non è di secondaria importanza, perché il dottor Emmerberger è in piena attività, con una lussuosa clinica a Zurigo a sua disposizione. E se fosse stato un criminale nazista, la cosa non poteva certo passare in cavalleria. Soprattutto se di mezzo c’era un osso duro come Barlach, da sempre ossessionato dal senso di Giustizia. 

Il racconto entra naturalmente nel vivo quando in scena si presenta l’antagonista di turno del commissario, interpretato da uno stratosferico Adolfo Celi. Sono ben pochi i cattivi, anche senza limitarsi ai soli prodotti televisivi, in grado di rivaleggiare con il suo dottor Emmerberger. Strepitosa la sua arringa, poco prima del tiepido finale positivo e consolatorio, con la quale sprona Barlach a dichiarare la sua fede, di qualunque fede in qualunque cosa si tratti. Il dottore ha infatti già scoperto il commissario e il suo investigare e lo ha condannato a morte: se però il poliziotto gli rivelerà, in tutta onestà intellettuale, di credere ciecamente in Dio, nella Giustizia, o in qualunque altra forma di ideale, Emmerberger è disposto a lasciarlo libero. Il dottore, in sostanza, accetta di stare dalla parte del torto; a patto che Barlach lo rassicuri di essere certo del suo essere nel giusto. Emmerberger non chiede prove: gli basta la parola, ma deve essere parola d’onore. Il dottore ha capito perfettamente che il vecchio commissario è un uomo serio ma con i suoi bravi dubbi esistenziali e non potrà mentire a cuor leggero, tradendo la sua integrità. Tuttavia si tratta di una scelta narrativa insolita e sorprendente. E poi Celi, in questo passaggio, si mangia Stoppa, lo sceneggiato e anche gli spettatori: è incontenibile nella sua lucida, fredda, ardente follia razionale. Un mostro di bravura per un passaggio da far tremare i polsi alle convinzioni di chiunque stia assistendo: è difficile credere come un testo simile sia potuto passare sulla televisione di stato. Come detto, il lieto fine che risolve la vicenda è del tutto non plausibile, quasi che D’Anza in regia abbia voluto sottolineare come alle parole di Emmerberger non vi fosse una replica adeguata e abbia preferito chiudere quasi in sordina. Che dire: Il sospetto – Lo sceneggiato non è certo un capolavoro ma la verve folle di Emmerberger è indimenticabile.
Adolfo Celi galattico.
 


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