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sabato 12 novembre 2022

L'UFFICIALE E LA SPIA

1161_L'UFFICIALE E LA SPIA (J'accuse). Francia, Italia 2019;  Regia di Roman Polanski.

Onestamente, la prima cosa che viene da pensare, a fronte di L’ufficiale e la spia di Roman Polanski – almeno da un punto di vista italiano – è come risulti evidente che il nostro paese sia rimasto nel corso della Storia assente per secoli dalla ribalta europea e mondiale. Questo senza pretese storiche, per carità, ma facendo una semplice considerazione: se un regista importante – e ritenuto molto importante anche in Italia, sia chiaro – come Polanski intitola il suo film J’accuse non si può cambiarlo per la distribuzione nel nostro paese. Ci sarebbe da ridire persino se fosse stato tradotto in un italico e ipotetico Io accuso, perché il rimando a Emile Zola doveva essere lasciato nel francese originale, visto che oltretutto è un’espressione divenuta d’uso accettato anche da noi. Eppure i nostri distributori hanno ritenuto il ‘J’accuse di Roman Polanski’ meno significativo e stimolante rispetto a L’ufficiale e la spia. Il che è a dir poco clamoroso già di suo ma, oltretutto, si corre il rischio che l’evidente proclama del regista possa non essere colto da un eventuale spettatore distratto. Del resto è stato lo stesso regista a paragonarsi a Dreyfuss, nei giorni della presentazione de L’ufficiale e la spia alla 76° Mostra del cinema di Venezia, considerato che negli Stati Uniti sul suo capo pende ancora oggi una condanna secondo lui immotivata. Qui non è una questione di lana caprina o di un capriccio filologico sulla titolazione dei film da spettatore incallito: con L’ufficiale e la spia Polanski non (solo) ripercorre la storia di uno degli episodi fondanti la società nella quale crediamo si possa vivere con fiducia nella Giustizia ma ci dice che siamo ritornati a quei giorni bui prima di quell’evento. 

Il fatto di essere doppiamente parte in causa, in questo caso il regista assume i ruoli sia di Dreyfuss (l’accusato ingiustamente) che di Zola (l’intellettuale che lo difese pubblicamente andandoci di mezzo di persona), potrebbe creare una sorta di conflitto d’interesse, questo è chiaro. Però Polanski, considerato la sua storia di cineasta, merita di venire perlomeno ascoltato. Nelle recensioni e analisi del film questi aspetti, che sono gli echi di quanto è sullo schermo ne L’ufficiale e la spia, sono spesso lasciati da parte, anche comprensibilmente, perché siamo di fronte ad un’opera magnifica e i cinefili non vedono l’ora di parlare strettamente di quella. Eppure, anche la stessa classicità della regia del mago di Lodz ci suggerisce che in questo caso più che in altri occorra guardare la Luna e non a quanto preciso e curato possa essere il dito che la indica. 

Il punto nevralgico è: siamo davvero nella stessa condizione della Francia del 1894, dove le infrastrutture istituzionali hanno un potere, enorme e fragile allo stesso tempo, da pensare maggiormente ad autoproteggersi anche nell’errore più clamoroso piuttosto che ammetterlo? E di quali istituzioni si tratti è il caso di precisarlo: nell’affare Dreyfuss evidentemente l’esercito, oggi verrebbe da dire soprattutto quell’élite economico culturale che influenza tanto la politica (di cui l’esercito è il braccio armato) che la magistratura. Il caso Dreyfuss ma più che altro la denuncia pubblica di Emile Zola furono una sorta di scintilla che permise alla Francia di comprendere quanto pericolosa fosse la sua natura, quanto diffuso fosse il terribile germe dell’antisemitismo. 

Decenni dopo la stessa Francia si ergerà a baluardo contro quel nazismo che incarnerà all’ennesima potenza proprio quell’insensato odio verso gli ebrei ma è salutare riflettere quale era la situazione anche al di qua del Reno solo pochi anni prima. E se la grande nazione transalpina nella prima metà del XX secolo tornerà ad interpretare correttamente il celebre motto nazionale – liberté, égalité, fraternité – probabilmente molto del merito è in quella prima pagina de L’Aurore che riportava le vibranti parole di Zola. Parole che scossero la coscienza di un intero popolo. Purtroppo per Polanski L’ufficiale e la spia non ha avuto lo stesso impatto e la cosa è anche comprensibile visto che, a partire dal contesto storico, tutto è differente. Eppure alcuni atteggiamenti che vediamo nel film ci sembrano famigliari, comuni ai nostri tempi. D’accordo, l’innocente accusato ingiustamente, nel film appunto il capitano Dreyfuss (Louis Garrel), è un classico non tanto della narrativa ma della Storia e della cronaca e quindi non ci meraviglia più di tanto la sua incredulità di fronte alla cospirazione che lo inchioda a responsabilità non sue. Più stimolante è il comportamento del tenente colonnello Picquart (Jean Dujardin): osservare il modo in cui deve ammettere, obtorto collo, quanto le sue convinzioni fossero sbagliate, quanto il mondo in cui credeva fosse corrotto e al contrario chi pensava fosse il male assoluto si riveli migliore dei suoi simili, beh, è una sensazione che stiamo purtroppo abituandoci troppo spesso a provare. E’ qui che vince la sua partita Polanski, non tanto nel reclamare la sua innocenza paragonandosi a Dreyfuss o altri aspetti che sono relativamente importanti, come la bellezza o l’efficacia del film stesso. Il boccone amaro che deve ingollare Picquart, che deve ergersi contro voglia e, soprattutto, contro il suo ambiente, le sue convinzioni, la sua storia, è l’aspetto più tremendo del film perché sconfessa la credibilità di quel mondo. 

E se noi proviamo costantemente questa sensazione, allora significa che oggi la società non è migliore di quella razzista che infestava la Francia e l’Europa di fine Ottocento. A quel punto i vari ufficiali che si stringono compatti difendendo il privilegio e la menzogna ivi connessa sono solo figurine senza spessore che ricordano, in effetti, i politici o i personaggi influenti di oggi. Dal maggiore Henry (Grégory Gadebois) a tutti i suoi superiori fino al ministro dell’interno sono personaggi che ci sono assai famigliari, individui capaci di farsi forza coprendo reciprocamente le proprie lacune e colpe e che si aggrappano alle ideologie più integraliste nella speranza di trovarvi la forza morale che non hanno. Il merito di Polanski è di essere riuscito a rappresentare il nostro mondo attraverso la ricostruzione di un altro in modo che ci risulti più facile decifrare la situazione. Ecco, L’ufficiale e la spia è sì uno splendido film in costume, ma non è una volgare imitazione di una vicenda del passato, non è paccottiglia. Non è, insomma, un falso, per rifarsi al passaggio del film: è certamente una copia, ma una copia d’autore e come tale corrisponde al vero. Addirittura al vero che stiamo vivendo oggi visto che l’arte classica, e, l’abbiamo detto, L’ufficiale e la spia è un classico, non invecchia mai e ha la caratteristica di rimanere sempre attuale.
Non ci rimane che un dubbio: quali sono le vesti che i potenti stanno indossando per condizionare l’opinione pubblica? Il razzismo, che era lo strumento usato ai tempi dell’affare Dreyfuss, sta tornando in auge, è vero, ma non sembra, in realtà, avere questa forza. Ci sono un'altra serie di ideologie o correnti di pensiero che fanno più paura, e il riferimento alla vicenda giudiziaria di Polanski sembra assai calzante. Dal politicamente corretto al pensiero unico, che staranno agli antipodi ma hanno in comune lo schiacciamento della possibilità di ragionare in proprio, passando per filosofie anche fondate su spunti condivisibili all’origine, c’è in atto una sistematica oppressione alla libertà di opinione esercitata con una forza che non teme il confronto con l’antisemitismo diffuso nei secoli scorsi. In Francia, nel 1894, i cattivi erano le persone più rispettate, di fronte alle quali persino le Corti dei tribunali facevano volentieri un passo indietro.
Quali sono, oggi, questo tipo di persone?





Emmanuelle Seigner 




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