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martedì 29 novembre 2022

THE AFRICAN DESPERATE

1170_THE AFRICAN DESPERATE . Stati Uniti 2022;  Regia di Martine Syms.

Una domanda ritorna spesso nel caos visivo di The African Desperate dell’artista concettuale Martine Syms: “hai letto il libro di *?” Dove per * mettete pure quello che volete tanto i libri ormai non li legge più nessuno. Del resto lo si dovrebbe aver compreso dal corsivo usato poco sopra per artista concettuale, riferito in genere all’autrice, che siamo nel campo dell’arte autoreferenziale. Per dovere di cronaca va detto che la Syms ha definito la sua attività come imprenditrice concettuale; in ogni caso sono sottigliezze che potrebbero essere argomenti adeguati giusto per gli sterili dialoghi del film. A fronte di un’opera così singolare, lo spettatore può rimanere sconcertato ma anche incuriosito, a dirla tutta. Tecnicamente, da un punto di vista visivo, The African Desperate è appunto interessante, pur nella generale sciattezza. Il décor ridotto all’osso può essere spacciato per stilizzazione visiva, mentre i colori psichedelici sono un’efficace rappresentazione dell’allucinante stato in cui versano i personaggi, al di là dell’uso smodato di droghe che fanno. Altre scelte di spiccata tendenza avanguardista, i titoli di testa, le videochiamate che subentrano a tutto schermo cambiando anche stile visivo, gli inserti picture in picture per i pensieri della protagonista, hanno un indiscutibile fascino oltre che un significato specifico. Al che potrebbe sorgere qualche perplessità, visto che la sarcastica e graffiante descrizione del mondo dell’arte ha la stessa natura delle ragazze coccodè del programma televisivo Indietro tutta!, ovvero stigmatizza un fenomeno utilizzando gli stessi stilemi che mette sotto accusa. Anche perché la critica di Syms al mondo dell’arte sembra solo un acido scherzo, mentre quello che preme davvero all’artista è la questione afroamericana e più specificatamente la situazione delle donne di colore che vivono negli States. Può quindi essere The African Desperate uno strumento efficace per combattere in qualche modo il razzismo? Sarà, sebbene il film non è che ispiri tutta questa empatia e tantomeno lo fa la protagonista (Diamond Stingily), sorta di alter ego dell’autrice. Tuttavia si può perlomeno condividere l’aggettivo contenuto nel titolo, ‘desperate’, visto che sembra davvero una situazione senza speranza.
Quello che invece è un obiettivo assai più probabile dell’opera, anche osservando il meccanismo autocelebrativo delle avanguardie artistiche mostrato nel lungometraggio, è che permette a chi lo ha visto di pavoneggiarsi con una domanda simile a quella citata in apertura: ‘ma tu l’hai visto il film di Martine Syms?







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