1170_THE AFRICAN DESPERATE . Stati Uniti 2022; Regia di Martine Syms.
Una domanda ritorna spesso nel caos visivo di The
African Desperate dell’artista concettuale Martine Syms: “hai
letto il libro di *?” Dove per * mettete pure quello che volete tanto i
libri ormai non li legge più nessuno. Del resto lo si dovrebbe aver compreso
dal corsivo usato poco sopra per artista concettuale, riferito in genere
all’autrice, che siamo nel campo dell’arte autoreferenziale. Per dovere di
cronaca va detto che la Syms ha definito la sua attività come imprenditrice
concettuale; in ogni caso sono sottigliezze che potrebbero essere argomenti
adeguati giusto per gli sterili dialoghi del film. A fronte di un’opera così
singolare, lo spettatore può rimanere sconcertato ma anche incuriosito, a dirla
tutta. Tecnicamente, da un punto di vista visivo, The African Desperate
è appunto interessante, pur nella generale sciattezza. Il décor ridotto
all’osso può essere spacciato per stilizzazione visiva, mentre i colori
psichedelici sono un’efficace rappresentazione dell’allucinante stato in cui
versano i personaggi, al di là dell’uso smodato di droghe che fanno. Altre
scelte di spiccata tendenza avanguardista, i titoli di testa, le videochiamate
che subentrano a tutto schermo cambiando anche stile visivo, gli inserti picture
in picture per i pensieri della protagonista, hanno un indiscutibile
fascino oltre che un significato specifico. Al che potrebbe sorgere qualche
perplessità, visto che la sarcastica e graffiante descrizione del mondo
dell’arte ha la stessa natura delle ragazze coccodè del programma
televisivo Indietro tutta!, ovvero stigmatizza un fenomeno utilizzando
gli stessi stilemi che mette sotto accusa. Anche perché la critica di Syms al
mondo dell’arte sembra solo un acido scherzo, mentre quello che preme davvero all’artista
è la questione afroamericana e più specificatamente la situazione delle
donne di colore che vivono negli States. Può quindi essere The African
Desperate uno strumento efficace per combattere in qualche modo il
razzismo? Sarà, sebbene il film non è che ispiri tutta questa empatia e
tantomeno lo fa la protagonista (Diamond Stingily), sorta di alter ego
dell’autrice. Tuttavia si può perlomeno condividere l’aggettivo contenuto nel
titolo, ‘desperate’, visto che sembra davvero una situazione senza
speranza.
Quello che invece è un
obiettivo assai più probabile dell’opera, anche osservando il meccanismo
autocelebrativo delle avanguardie artistiche mostrato nel lungometraggio, è che
permette a chi lo ha visto di pavoneggiarsi con una domanda simile a quella
citata in apertura: ‘ma tu l’hai visto il film di Martine Syms?
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