IL RITORNO DELLO ZAR: #L'ORA DELLA FINE
1080_CALL SIGN BANDERAS (Pozyvnyy 'Banderas'). Ucraina, 2018; Regia di Zaza Buadze.
I soprannomi, in genere, hanno la funzione di descrivere in qualche modo chi li porta; altre volte, come nel caso in questione, possono invece essere ingannevoli. Quello di Zaza Buadze è un film bellico ambientato nell’Ucraina orientale nell’autunno del 2014. Nel 2018, anno di uscita del film, la crisi russo ucraina è ben lungi dall’essere finita e allora, da un film ucraino che si presenta come mero intrattenimento, con un solido sfondo storico e che si intitola Call Sign Banderas, viene naturale attendersi un prodotto in odore di propaganda nazionalista. I militari ucraini impegnati nella guerra nell’est del paese contro i separatisti hanno sempre un soprannome: il Banderas del nostro protagonista echeggia il nome di Stepan Bandera, storico politico ucraino che divide l’opinione pubblica del paese tra chi lo ricorda come eroe nazionale (i governativi di Kiev) e chi lo ritiene alla stregua dei nazisti (i separatisti filorussi). Essendo quello di Buadze un film in ottica ucraina la cosa non desta nemmeno troppa impressione, sebbene proprio la positiva considerazione che gode a Kiev il discusso politico è uno dei punti deboli della questione, abilmente sfruttata da Mosca. Quanto questa reputazione eroica possa essere radicata in modo concreto sarebbe da approfondire tuttavia Buadze prova, col suo film di guerra, ad intaccarla un po’. Non è che nell’opera si prenda l’operato di Stepan Bandera in esame, questo no, ma i ripetuti distinguo che si premurano di fare regista e protagonista (Oleg Shulka nei panni di Anton Saenko Banderas) non lasciano dubbi in proposito.
Perché, come puntualizza il protagonista, il suo soprannome è Banderas e non Bandera; e dai flashback che Buadze utilizza per dare corpo ai suoi personaggi con buona capacità narrativa, apprendiamo che l’origine del nickname è un tributo all’attore Antonio Banderas. L’interprete spagnolo è europeo oltre che star di Hollywood; i riferimenti di Anton Saenko, che è un militare del controspionaggio ucraino, sono quindi occidentali e per niente imparentati con il fascismo o l’ultranazionalismo locale. E tirare in ballo Bandera per poi sconfessarne il possibile rimando è una presa di posizione inequivocabile e anche coraggiosa perché, in genere, i filoccidentali ucraini o ne parlano in termini entusiastici oppure ignorano la questione che forse li imbarazza. Il possibile equivoco fa ancora capolino, sebbene in modo un po’ indiretto, quando gli abitanti filorussi di Vesele, nella regione di Donetsk, fanno riferimento ai soldati ucraini come banderites, seguaci di Bandera, appunto, e fascisti.
Una donna, la commessa di un negozio di alimentari, è stata barbaramente uccisa da un militare e per la gente del luogo non ci sono dubbi, sono stati i banderites. La cosa ha un peso narrativo non indifferente nel racconto, visto che è il casus belli per mandare all’aria la tregua ma permette anche all’autore di lasciare stavolta in sospeso l’equivoco sui ripetuti riferimenti a Josep Bandera che sono un’abituale arma di propaganda nelle mani dei separatisti. In questo caso, infatti, non ci sono banderites tra i militari ucraini, addirittura nemmeno chi si fa chiamare Banderas lo è, e, oltretutto, i soldati di Kiev non hanno niente a che fare con l’uccisione della commessa. Tuttavia, a fronte di una folla inferocita già prevenuta, non ci sarà modo di convincerla dell’estraneità dei militari ucraini al barbaro assassinio.
In questo modo, grazie all’evidente parallelismo, si mette in dubbio anche la convinzione che i militari di Kiev debbano essere necessariamente tutti fascisti. Il film ha una sceneggiatura molto ben strutturata, in effetti; può esserci qualche passaggio un po’ debole, ad esempio la trama gialla principale non proprio irresistibile ma, come nell’esempio citato, gli snodi lavorano su piani diversi garantendo uno sviluppo organico del racconto. In questo caso, oltre a rendere plausibile il successivo bombardamento, la tregua è stata rotta, il passaggio rende credibile su come possa essere radicata la convinzione di una larga diffusione dell’ideologia fascista tra l’esercito ucraino senza una reale controprova. E’ chiaro che Call Sign Banderas è un film d’azione e non un documentario ma il suo scopo lo raggiunge in modo sicuro: dimostrare come sia plausibile una certa idea anche senza attendibili fonti. Da un punto di vista narrativo, tra l’altro, Call Sign Banderas funziona egregiamente. Per la verità Banderas non corrisponde affatto al prototipo di militare volontario: non è particolarmente prestante e non sembra avere propriamente il physique du rôle, ma Buadze riesce a rendere il carattere tridimensionale del suo protagonista rivelando tutta una serie di episodi del suo passato che si intrecciano col presente.
Il militare, infatti, è originario proprio di Vesele, il paesino nel quale come agente del controspionaggio è inviato ad indagare sull’omicidio di alcuni civili e di cui, manco a dirlo, sono ovviamente accusati i nazionalisti. Ovviamente la responsabilità dell’accaduto è dei separatisti ma, anche in questo caso, il lavoro in sceneggiatura è strutturato in modo da non fare faziosamente di ogni erba un fascio. Chi fisicamente ha sparato sul veicolo civile è Lesha (Anton Andryusenko), amico d’infanzia di Banderas nonché, ai tempi, suo rivale in amore e ora schierato coi filorussi. Ma Lesha, pur se indiscutibilmente colpevole, è anche vittima dell’inganno messo in opera da Boroda (Nikolay Zmeyevskiy) vero cattivo della storia. Boroda è un militare separatista infiltrato nell’esercito ucraino e incarna in modo certamente sinistro lo spirito della pretesa di supremazia russa sulle genti slave.
Gli si può riconoscere, in un certo senso, una sorta di buona fede in quanto pare davvero convinto dell’idea che tutti gli slavi debbano inevitabilmente confluire sotto la protezione di Mosca. Tuttavia rimane un personaggio fortemente connotato negativamente: un criminale di guerra oltre che violento, sadico, infingardo e traditore. Nel confronto finale, che lo vede naturalmente opposto a Banderas, si può cogliere uno dei motivi della scelta di Oleg Shulka per il ruolo di protagonista. Boroda è infatti un vero e proprio orco, con tanto di barba lunga e faccia truce e al confronto Banderas sembra davvero minuto. Quando il nostro eroe afferra una cinta per affrontare il gigante armato di coltello da guerra, per un attimo sembra di vedere una delle tante raffigurazioni di Davide con la sfionda contro il gigante Golia e la sua spada. Non è un paragone gratuito, se pensiamo che la disparità di forze in campo tra Ucraina e Russia ricalca più o meno lo stesso rapporto.
Nel finale, Banderas sconfigge il nemico e si riconcilia con Lesha che, in premio per il suo pentimento, ottiene la mano di Yanka (Iolanta Pilipenko), fiamma di gioventù contesa tra lui e il protagonista. Il quale, dal canto suo, ha risolto i problemi con la moglie Zenhia (Yuliya Chepurko), in un primo momento contraria all’arruolamento volontario del marito. C’è, quindi, un lieto fine possibile ma è da condividere col nemico; se per nemico intendiamo gli ucraini dell’est, lasciando fuori dal discorso le ingerenze russe, quelle da condannare e da eliminare (alla stregua di Boroda). La riappacificazione auspicata dal finale riguarda i vecchi amici (l’Ucraina unita) che ora sono appartenenti a fazioni contrapposte: e, in fondo, questo spirito di riconciliazione, per un film bellico d’azione, non è cosa da poco.
Come detto, dal punto di vista strettamente narrativo il lavoro di Buadze è molto buono, con un giusto rilievo ai personaggi di contorno tra i quali vale la pena di citare Indeyets (Oleg Oneshchak), con nome, aspetto e abilità nel ricercare tracce sul terreno che riecheggiano gli indiani d’America visti in tanti film occidentali (i western). L’aspetto migliore dell’opera è la capacità di affrontare il tema di una guerra lacerante ancora in corso, con una solida storia bellica senza farsi mai prendere dall’adrenalina e dalla foga contro il nemico. Non a caso Banderas lavora per l’intelligence (deve cioè usare il cervello) e ha un compito investigativo più che d’azione vero e proprio.
Questo aspetto, probabilmente, quello dell’indagine in simili circostanze, non è che sia credibilissimo, per la verità, ma è un peccato veniale, oltretutto a fin di bene. Perché aiuta l’autore ad affrontare temi delicatissimi, non solo la guerra ma le accuse di nazismo e ultranazionalismo alle forze governative, senza scadere nella faziosità. Una simpatica controprova concreta di questo sguardo tutto sommato sereno è un passaggio umoristico strepitoso con cui Buadze si permette di scherzare su uno dei punti nevralgici della situazione. I nazionalisti e un po’ tutti gli ucraini (non i separatisti) hanno ormai adottato il vecchio motto dalle origini non proprio edificanti nel quale all’esclamazione “Gloria all’Ucraina!” l’interlocutore (o gli interlocutori) risponde “Gloria agli eroi!”. Allo spettatore occidentale la cosa può sembrare di secondaria importanza, invece tanto i nazionalisti ucraini hanno a cuore questo saluto quanto i separatisti lo considerano alla stregua di una manifestazione nazista. Il manipolo di Banderas è appena giunto a Vesele per condurre la sua indagine, accolto dall’ostilità degli abitanti russofoni del villaggio. L’agente del controspionaggio ucraino protagonista sta camminando con uno dei suoi uomini, fucile mitragliatore a tracolla, sulle polverose strade del paesino. Ad un certo punto incrociano una vecchia contadina, che li ignora, poi un’altra coppia di anziani, con una capra al guinzaglio. Il soldato ucraino di scorata a Banderas, vedendo la completa indifferenza degli abitanti, butta là con fare a metà tra il sarcastico e il provocatorio un “Gloria all’Ucraina!”, voltandosi per vedere se ottiene qualche risposta. I due vecchi proseguono indisturbati ma la capra, a sorpresa, risponde a suo modo, belando. E’ una battuta, è chiaro, con la quale non è che si voglia dire che le capre siano più intelligenti dei separatisti. Al massimo più educate.
Svietka (свeта) la cassiera del negozio (attrice non accreditata?)
Iolanta Pilipenko
Yuliya Chepurko
Galleria di manifesti
Carine queste attrici, ci sono almeno un paio di bei primi piani qui ❤️😍
RispondiEliminaAntonio Banderas è uno dei miei "sosia" 😳
Complimenti!
RispondiElimina