IL RITORNO DELLO ZAR: #L'ORA DELLA FINE
1064_UKRAINE ON FIRE . Stati Uniti, 2016; Regia di Igor Lopatonok.
Sulla questione dell’Euromaidan e della crisi ucraina cominciata
nel 2014 non è propriamente agevole, nel mondo occidentale, sentire l’altra
campana. E allora, almeno in ambito cinematografico, chi se non Oliver Stone,
qui nell’insolita veste di produttore nonché intervistatore d’eccezione, poteva
occuparsene? Stone, oltre che rinomato e istrionico regista, ha una
riconosciuta vena anarchica e complottista che troverà pane per i suoi denti
nei tanti misteri che affollano la Storia dell’Ucraina passata e recente. Il
regista di Ucraina in fiamme è, per la verità, Igor Lopatonok ma il
ruolo di Stone non si limita alla produzione: anche solo nelle domande che pone
ai pezzi grossi della vicenda, ci dice di quanto l’influenza del regista
americano sia davvero ingombrante nell’opera. Il documentario, oltre a farci un
rapido ma lapidario resoconto sulla storia ucraina concentrandosi sui cruciali
eventi della Seconda Guerra Mondiale, dà finalmente voce al presidente Viktor
Janukovyč oggetto delle proteste di Maidan, a Vitaly Zakharchenko, ministro
degli interni ucraino e quindi responsabile delle forze dell’ordine, e perfino a
Vladimir Putin, considerato dal mondo occidentale abile burattinaio del governo
in carica nel paese a quei tempi. Ma si diceva che il documentario di Lopatonok
ripercorre la Storia dell’Ucraina velocemente, con le tipiche puntualizzazioni
di chi cerca di riannodare i fili in controluce. Che poi siano tutti rapporti
di causa - effetto o in qualche caso semplici coincidenze, starà anche alla
sensibilità dello spettatore valutare.
Certo è che, conoscendo l’abilità di sceneggiatore di Stone, e quindi la
sua propensione a intuire rimandi reali o solo possibili, è chiaro che ben
poche connessioni di questo tipo sfuggiranno. In ogni caso, la rinfrescata è
utile perché grazie a questa possiamo comprendere il significato di tanti
simboli che documentari e reportage mainstream pare abbiano cercato di ignorare
o addirittura tenere fuori dai campi di ripresa durante le proteste di Maidan.
Ad esempio le bandiere rosso nere dell’Esercito Insurrezionale Ucraino, braccio
armato dell’OUN (Organizzazione dei Nazionalisti Ucraini), o quelle simili del
Settore Destro (Pravyi Sektor), o il saluto con le tre dita, simbolo di
Svoboda, altro movimento ultranazionalista. A questi elementi, che testimoniano
della presenza di infiltrazioni da parte dei movimenti legati all’area estremista
e nazionalista, diretta discendente dei movimenti nazisti, vanno aggiunti i
numerosissimi cori tra i quali spicca, ovviamente, “Gloria all’Ucraina!
gloria agli eroi!” saluto ufficiale di quell’OUNB alleato appunto dei
Nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Non è nei contenuti del
documentario ma per completezza d’informazione va messo a referto un tentativo
di sdoganare il motto in questione associandolo alla nazionale di calcio con
una manovra che, restando in tema calcistico, rischia piuttosto rivelarsi un
clamoroso autogol.
Torniamo però al testo in oggetto perché quando si arriva alla cronaca,
inizia la parte inerente alla questione in ballo. Stone chiede conto a
Janukovyč dei suoi tentennamenti ad accordarsi per aderire alla Comunità
Europea. Effettivamente, la scelta del governo in carica risulta pienamente
condivisibile; come lo era ai tempi, per la verità: nel sistema del libero
mercato il 2013 è tempo di crisi economica, tanto per cambiare, e, per
l’Ucraina, entrare nella UE voleva presumibilmente dire affrontare la faccia
più truce dell’austerity europeista. L’alternativa a Viktor Janukovyč la offre
Putin con un prestito che permetterà all’Ucraina di tagliare il debito: la
perplessità del presidente di firmare l’adesione alla UE non appare, quindi, del
tutto pretestuosa. Sollecitato da Stone, Putin dà una spiegazione di natura
economica alla scelta russa, anche questa onestamente condivisibile.
L’ingresso dell’Ucraina nella Comunità Europea avrebbe comportato la
necessità di chiudere la frontiera russo-ucraina, per evitare la penetrazione
di un flusso di merci e persone occidentali senza alcun trattato che li
regimentasse. La prevista perdita economica dipendente dal privarsi di un
partner storico come l’Ucraina, rendeva ai russi meno gravoso il prestito in
questione. Volendo guardare, basta già questo passaggio per sancire l’utilità
di questo documentario ma la carne al fuoco (dell’Ucraina in fiamme,
verrebbe amaramente da commentare) è molta e vede coinvolti soprattutto gli
americani e le loro ingerenze nello scacchiere geopolitico non solo dell’area
in questione.
Clamorosa l’intercettazione tra due alti funzionari yankee (Victoria
Nuland, segretario di stato per gli affari europei e euroasiatici e Geoffrey
Pyatt, ambasciatore in Ucraina) nella quale si evince la pesante intromissione
USA nelle questioni governative ucraine (oltre ad un sonoro “Vaffanculo alla
Unione Europea!” proclamato dalla Nuland). Stone e Lopatonok sono però in
preda ad una febbrile voglia complottista e, trovando terreno fertile, non
risparmiano nulla, andando a rilevare ogni possibile nota fuori posto, dalle
responsabilità sull’aereo di linea della Malaysia Airlines abbattuto, all’opera
in Ucraina di ONG dalla dubbia natura, anche se ora il documentario sembra via
via sempre meno attendibile. Più interessante è la sottolineatura sulla più che
curiosa nomina di Saakashvili a governatore di Odessa. E, a proposito della
città portuale, non può certo mancare il riferimento alla terribile strage, sul
teatro della quale ci si fa notare la presenza dei leader nazionalisti che
avevano orchestrato le proteste di Maidan. I successivi fatti sono trattati
senza girare troppo intorno al cuore della questione. Il referendum che
sancisce l’adesione della Crimea alla Russia è mostrato, sempre stando a Ucraina
in fiamme, come pienamente legittimo mentre nel Donbass l’invasione (se
così si può a questo punto definire, dando cioè ascolto a Stone e Lopatonok)
sarebbe opera della stessa Ucraina nel tentativo di muovere guerra ai
secessionisti filorussi. Tesi con troppi passaggi difficili da digerire e, come noto, rifiutate
dall’occidente. L’incapacità generale di accettare questa situazione negando ad
oltranza quella che, stando agli autori, è l’evidenza delle cose non potrà che
avere che una tragica conseguenza. Sarà quella nucleare? Allora abbiamo ancora
almeno tre minuti, ci rassicura il documentario.
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