IL RITORNO DELLO ZAR: #L'ORA DELLA FINE
1083_KYIV-WAR TRAIN . Ucraina, 2020; Regia di Korney Gritsyuk.
Per quel che riguarda gli aspetti tecnico artistici, Kyiv-War train, documentario di Korney Gritsyuk è un’opera trascurabile. Nonostante la vittoria al Festival internazionale di Kyiv (miglior documentario) e altre nomination sempre nell’ambito del cinema ucraino, quello di Gritsyuk è, in buona sostanza, il semplice filmato girato durante un viaggio (o forse più viaggi) in treno da Kiev, lontana dalla guerra che infuria nel Donbass, a Kostyantynivka, piccola città dell’est Ucraina appena al di qua del fronte dei combattimenti. A rendere a suo modo speciale Kyiv-War train concorrono due elementi: in primo luogo c’è proprio il fatto che la linea ferroviaria su cui corre il treno in oggetto collega la capitale ad una zona dove è in corso una guerra le cui motivazioni appaiono poco comprensibili. Poco comprensibili allo spettatore occidentale ma, a sorpresa, in un certo senso anche agli stessi ucraini, almeno stando al documentario di Gritsyuk. E, a questo proposito, si può passare al secondo elemento di interesse per Kyiv-War train: l’opera ci appare talmente amatoriale da scongiurare, almeno a sensazione, l’ipotesi che possa essere in qualche modo pilotata in modo fazioso da questa o quella corrente politica. Intendiamoci, già nel tono delle parole di Gritsyuk, o da alcune scelte nel montaggio delle interviste, si capisce quale sia la sua opinione sulla guerra ma di per sé l’essere schierato, in un senso o nell’altro, non è un fatto negativo. In sostanza il giovane filmmaker sembra ritenere più corretta la posizione del suo paese, l’Ucraina, come è anche naturale, e si interroga, e interroga anche i suoi interlocutori che scopre essere di vedute opposte alle sue, sulle motivazioni della controparte.
Ciò che emerge è un po’ quello che prevedibilmente può accadere quando si è in presenza di uno stato in cui vi sia una consistente minoranza: finché le condizioni generali sono favorevoli (leggi, Ucraina e Russia sono in buoni rapporti), la convivenza è pacifica e l’integrazione finisce per mescolare la popolazione. Quando muta il quadro complessivo (in questo caso, l’Ucraina decide di svoltare ad occidente) cominciano i problemi e se l’integrazione non ha completato il suo corso, le cose possono assumere connotati spiacevoli. Certamente una guerra come quella del Donbass, che si protrae da anni, alimenta i sospetti che dietro i separatisti ci sia direttamente la Russia; ma c’è anche chi, tra gli intervistati, tira in ballo gli americani come potenza straniera che ha interferito in modo sinistro nelle beghe ucraine. Naturalmente queste considerazioni sono semplicistiche: d’altronde sul treno viaggia gente comune e non esperti in geopolitica; ma è un interessante tentativo per comprendere, o almeno provare a farsi un’idea, di quali siano i sentimenti della pancia del paese. Pur se confezionato come un documentario amatoriale, è difficile pensare che il campione di intervistati di Kyiv-War train sia estratto casualmente da uno o più viaggi sul treno in questione; è più probabile che Gritsyuk abbia inserito quelle interviste che, secondo la sua idea, meglio avrebbero composto una descrizione dell’opinione pubblica ucraina sulla situazione. Un bilancio complessivo, in qualità di spettatore al di fuori degli eventi, è quindi da farsi con tutte le cautele del caso. Comunque qualche spunto che vale la pena annotarsi c’è.
E nonostante vi siano personaggi anche curiosi, forse inseriti anche per alleggerire un po’ il tono del racconto, c’è un passaggio quasi in tono minore che pizzica subito la curiosità di chi è estraneo alle vicende ucraine. Non sono, infatti, l’uomo filorusso che si contraddice spudoratamente, il signore multietnico o le due donne che litigano, a lasciare maggiormente il segno; tipi così ci sono ovunque. Piuttosto, ad un certo punto, un ragazzo fin lì rimasto più che altro taciturno, seppur nei suoi modi tranquilli ed educati sulla questione della Guerra del Donbass sposa con fermezza le posizioni ucraine, e non sembra certo un esaltato. A quel punto, a domanda precisa, risponde che ritiene Stepan Bandera un eroe nazionale, colui al quale si deve il concetto stesso di Ucraina indipendente. Ora, Bandera non è un personaggio così noto ai più, al di fuori dei confini nazionali ucraini; se non in Polonia dove è considerato il maggiore responsabile del genocidio di Volynija. In ogni caso, senza essere degli esperti in Storia, basta una rapida ricerca per farsi un’idea seppur grossolana a proposito di chi si stia parlando. E il ritenerlo un eroe nazionale non depone certo a favore della parte in causa; e se ha farlo non è un convinto paramilitare ma quello che sembra un comune e pacifico ragazzo, la cosa non fa che peggiorare l’impressione. E ricordare che solo nel 2010 addirittura il Presidente ucraino Viktor Juščenko aveva insignito Bandera dell’onorificenza di Eroe dell’Ucraina (annullata solo dopo una lunga battaglia legale per vizi di forma), ci evita l’illusione che il nostro giovane amico intervistato sia un caso isolato.
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