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lunedì 8 agosto 2022

BREAKING POINT: THE WAR FOR DEMOCRACY IN UKRAINE

IL RITORNO DELLO ZAR: #L'ORA DELLA FINE

1065_BREAKING POINT: THE WAR FOR DEMOCRACY IN UKRAINE . UcrainaStati Uniti2017;  Regia di Mark Jonathan Harris e Oles Sanin.

Ad un certo punto, in Breaking Point: The war for democracy in Ukraine, Arseniy Yatsenyuk, (Primo Ministro ucraino dal 2014 al 2016) dichiara: “la disinformazione distrugge la realtà. I russi sono maestri in questo. Hanno costruito una realtà parallela. I russi sono i più grandi bugiardi del mondo”. Non si pretende di contestare queste affermazioni, visto il curriculum di chi le ha proclamate, ma in un’ottica di stemperare i toni sembrano poco opportune. E poi, in fondo, i russi sono quasi 150 milioni. Per cercare di uscire dalla situazione attuale, bisognerebbe forse fare un distinguo tra il popolo russo e il suo governo; diversamente si fa proprio il gioco del Cremlino. Il fatto è che questa intervista è finita per essere uno dei punti saldi, a parlare è un politico di una certa importanza, di un documentario che poi rischia in più di un passaggio di mettere direttamente in discussione le citate affermazioni dello stesso Yatsenyuk. Perché quello di Mark Jonathan Harris e Oles Sanin è un testo talmente fazioso al punto da sembrare quasi ingenuo: va bene la propaganda, ma se si esagera si rischia di avere l’effetto opposto. In definitiva Breaking Point: The war for democracy in Ukraine corre il serio pericolo di apparire falso a chi non sia proprio sprovveduto; il che, per un film che si spaccia come documentario, è clamorosamente grave. E, purtroppo per Yatsenyuk, non si tratta di una produzione russa ma bensì ucraino-americana. L’argomento trattato è appunto la crisi ucraina: dopo qualche breve accenno storico e una veloce citazione sulla rivoluzione arancione del 2004, si arriva al dunque. Si comincia coi fatti di Maidan sul finire del 2013 che, come noto, si protrarranno fino all’inizio dell’anno seguente. Le proteste sono viste nella sola ottica dei manifestanti e questo, anche se comprensibile, è in assoluto un primo sguardo parziale, per quanto abitualmente adottato dalla prospettiva occidentale. Un punto a suo favore il testo lo mette con le immagini della telecamera (che sembrano autentiche) dell’auto della nota attivista Tetyana Chornovol, vittima di una violenta aggressione di cui si intuiscono alcuni momenti precedenti. Successivamente si passa all’invasione russa in Crimea e nel Donbass: nelle immagini vediamo le truppe di Putin entrare in Ucraina indossando uniformi anonime, salvo poi dichiarare apertamente di provenire dalla Russia. Qui il tono enfatico del testo è, peraltro, legittimo, vista la gravità della cosa. Largo spazio è dato al famoso abbattimento di un aereo di linea malese partito dall'Olanda, colpito dall’esplosione di un missile mentre transitava sulle zone contese dai separatisti e dalle forze ucraine. La responsabilità è attribuita con ferrea certezza alle forze di occupazione russa, come de resto sembra accertato da diversi canali investigativi. Al netto della gravità dell’incidente e dei tanti morti, è evidente che si trattò di un errore, tragico fin che si vuole, ma non certo intenzionale. 

L’insistenza della regia, che va a mostrare l’arrivo delle bare nei Paesi Bassi e la costernazione dei reali olandesi, è un po’ curiosa e forse bisognava concentrarsi sul vero nodo della vicenda. Riuscire a dimostrare la responsabilità dell’abbattimento e contemporaneamente l’ostinato negare ogni addebito, avrebbe messo il Cremlino spalle al muro. Più facile a dirsi che a farsi, è chiaro, soprattutto nel mare di disinformazione operato in primis da Mosca ma a cui, ahinoi, anche Breaking Point: The war for democracy in Ukraine rischia di metterci un contributo. Archiviato dolorosamente l’abbattimento dell’aereo di linea per mano russa, si passa alla tragedia di Ilovaysk. 

Qui va dato merito all’opera in questione di far salire agli altari della cronaca un evento non propriamente conosciuto, che il governo ucraino classificò come massacro. Andriy Bohema Sharaskin, un militare che nella vita civile gestisce un teatro per bambini, ci racconta poi dell’assedio all’aeroporto di Donetsk dove gli ucraini resistettero eroicamente per quasi quattro mesi. Dopo i meritati proclami all’epica resistenza ad oltranza all’aggressione russa, il finale è dedicato ad una serie di scene commoventi che servono a chiudere il processo di empatia tra gli spettatori e il paese aggredito. A sancire bene i termini del discorso impostato da Mark Jonathan Harris e Oles Sanin è il confronto lasciato alle immagini: carri armati che sfilano in parata davanti a Putin e al Cremlino mentre Bohema Sharaskin torna al suo teatro e ai suoi bambini. Il che, in effetti, è una fotografia attendibile della situazione, ma per poterla rendere davvero credibile bisognava fare professione di onestà intellettuale. Ad esempio, bisognava mostrare anche qualcosa sulla strage di Odessa, dove avvenne un omicidio di massa presso la Casa del Sindacato e in cui perirono almeno una cinquantina di manifestanti filorussi e pare anche alcune persone che si trovarono sul posto in modo del tutto fortuito.Chi fu a compiere la strage? Stando alle scarne notizie trapelate fino a noi, le fazioni paramilitari di estrema destra, tra le quali si può citare almeno il Settore Destro (Pravyj Sektor) ma anche altre frange ultranazionaliste viste all’opera nelle proteste di Euromaidan. Illazioni della propaganda di Putin? Può essere; per questo era importante che un testo occidentale affrontasse l’argomento. 

Perché si tratta di un episodio cruciale, nello sviluppo dei fatti, dal momento che venne giusto a ruota delle proteste di piazza dell’Indipendenza di Kiev che avevano dato inizio alla catena di eventi. E’ quindi un passaggio non certo secondario ma viene opportunamente ignorato da Breaking Point: The war for democracy in Ukraine che, come abbiamo visto, si premura invece di sottolineare altri fatti di minore importanza in genere tralasciati. Un altro episodio assolutamente necessario per capire meglio le motivazioni della crisi ucraina è il Referendum sull’autodeterminazione della Crimea del 2014, anche questo avvenuto appena dopo i fatti di Maidan. Sulla validità o meno di questo sondaggio popolare si potevano, e si possono anzi si devono, fare tutte le annotazioni giuridiche del caso, per stabilire se possa avere valore legale o meno. Ma una consultazione popolare è stata fatta, stando ai dati riportati (confutabili, certo, ma almeno prima di contestarli andrebbero considerati e presi in esame) con larga partecipazione degli aventi diritto di voto (84%) e schiacciante vittoria (oltre il 95%) per i sostenitori dell’adesione della Crimea alla Federazione Russa.  

Naturalmente sarebbe stato anche interessante, nell’ottica di meglio comprendere la situazione ambientale dell’area dove si è scatenato il successivo conflitto bellico, la percentuale di russi e/o di russofoni che abitano il Donbass, la zona contesa. Questi, e altri elementi che non facevano il gioco di Harris e Sanin, sono stati invece bellamente ignorati. E’ un modo anche questo di mentire? Tacere volontariamente argomenti che sarebbero utili alla comprensione generale ma dannosi alla nostra tesi, può cioè essere equivalente a mentire? In un tribunale probabilmente no; in un documentario divulgativo lo è nella maniera più certa. Tornano quindi in mente le incaute parole dell’ex Primo Ministro Ucraino Arseniy sul fatto che i russi siano i più grandi bugiardi del mondo. Può essere, anzi quasi sicuramente, vista l’organizzazione messa in campo da Mosca in questo specifico elemento ma nel caso il primato lo avrebbero di misura e, soprattutto, più nei modi che nella sostanza. Forse questa tracotanza, la vera peculiarità dell’attuale governo russo, proviene dalla ricchezza di materie prime dello sterminato paese e della sua numerosa popolazione. La Russia, in sostanza, è davvero un mondo parallelo, per tornare alle parole di Arseniy, e può avere l’idea di bastare a sé stessa. E’ un’illusione? Non troppo più vana di chi pensa che siano i russi a mentire in un mondo di sinceri.  


 
Tetyana Chornovol


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