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sabato 17 ottobre 2020

QUELL'ULTIMO PONTE

651_QUELL'ULTIMO PONTE (A bridge to far). Stati Uniti, Regno Unito, 1977. Regia di Richard Attenborough. 

Il critico Morando Morandini nel suo Dizionario dei film scrisse, a proposito di Quell’ultimo ponte di Richard Attenborough, che soltanto gli inglesi potevano permettersi il lusso di un kolossal dedicato ad una rovinosa sconfitta. La considerazione ha certamente fondamento ma sarebbe sbagliato utilizzarla per gettare una luce negativa sul film in questione. Quell’ultimo ponte è un gran bel film, oltre che un’opera faraonica e maestosa. Fu un fiasco al botteghino, questo è vero, ma fu un problema dei produttori: e se lo spettatore del tempo avrà forse avuto le sue ragioni per non gradire il film, quello odierno non può che esserne appagato. Da un punto di vista squisitamente visivo, dalle immagini alla storia, il lungometraggio è infatti pienamente soddisfacente. A partire dal cast, impressionante: tra gli altri, Sean Connery, Ryan O’Neal, Gene Hackman, Dick Bogarde, James Caan, Michael Caine, Robert Redford, Anthony Hopkins, Elliot Gould, Laurence Olivier, Maximilian Schell e, sul fronte femminile, Liv Ullman. La ricostruzione dell’Operazione Market Garden è stata realizzata senza badare a spese con un dispiego di mezzi e forze proporzionale alla vera azione militare. Gli attori coinvolti sono naturalmente molto bravi e il problema, in questi casi, è lo scarso tempo a disposizione pro capite. Attenborough si dimostra all’altezza e riesce a gestirli in un film corale sfruttandone il prestigio per caricare di enfasi la narrazione: è il caso lampante di Gene Hackman, che è un generale polacco il cui apporto è limitato dalla nebbia, o anche dell’arrivo di Robert Redford a film abbondantemente iniziato. 

Il maggiore generale Sosabowski è un leone in gabbia, e la vitalità riconosciuta istantaneamente a Hackman rende comprensibile la situazione pur con pochi minuti a disposizione; allo stesso modo basta vedere Redford arrivare di corsa per capire che è un tipo che, per quanto provi a fare anche lo spiritoso, non ha certo tempo da perdere. Le scene di battaglia sono straordinariamente drammatiche, traumatizzanti e realistiche come raramente è capitato di vedere sullo schermo. La bravura di Attenborough nella gestione del suo kolossal è notevole: la complessità strategica dell’Operazione Market Garden è resa comprensibile e, in ogni caso, non c’è davvero il tempo per riflettere sui passaggi narrativi perché siamo martellati anche noi dall’incalzare degli eventi come gli alleati dalla controffensiva tedesca. 

Il film, per altro, si prende i suoi tempi e le sue pause ma quando infuria la battaglia davvero non lascia alcuno scampo, come accade alla povera città di Arnhem, rasa al suolo dai nazisti. La cosa che ha lasciato spesso perplessi, la critica e probabilmente anche il pubblico, è che si tratta di un kolossal bellico che si pone dubbi sull’assurdità della guerra. Il che può sembrare (ed è) una contraddizione. Ma questo risponde esattamente al vero. In questo, allora, Quell’ultimo ponte è un film che assolve pienamente al suo scopo, dandoci cioè un’idea valida e attendibile dell’argomento che tratta. I britannici saranno forse i soli a produrre un film faraonico che racconta di una loro sconfitta ma, di fatto, qualsiasi guerra lo è. 

Inoltre, nel caso specifico, l’Operazione Market Garden era davvero assurda e sembra fatta apposta per raccontare dell’assurdità della guerra. Un immane spreco di vite umane per un obiettivo fuori dalla reale portata che non permetteva come soluzione di ripiego almeno un traguardo parziale ma doveva comprendere anche quell’ultimo ponte che, per fare riferimento anche al titolo originale, era effettivamente troppo lontano. Insomma, tutta questa storia è una lezione tremendamente utile, proprio perché evidenzia come il gioco (della guerra) non valga mai la candela. Perché se al cinema assistessimo solo a campagne trionfali, potremmo invece pensare che uno scopo i conflitti bellici ce l’abbiano. Meno male che ci sono gli inglesi come l’Attenborough di questo Quell’ultimo ponte, dunque, altro che. 




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