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sabato 3 dicembre 2022

FOR BETTER, FOR WORSE

1173_FOR BETTER, FOR WORSE Stati Uniti 1919; Regia di Cecil B. DeMille.

Prima di entrare nello specifico del racconto filmico in questione, un paio di premesse. Innanzitutto il titolo del film, che non avendo distribuzione in Italia non ha mai avuto una traduzione nella lingua del belpaese, significa nella buona e nella cattiva sorte; una locuzione usata, proprio come nel lungometraggio, nei matrimoni. E si tratta di un titolo inerente a quanto compare sullo schermo per quanto la forza dell’amore finisca poi per metterlo in secondo piano. L’altra considerazione che si può fare per inquadrare al meglio For better, for worse, è che l’opera si potrebbe prendere come esempio pratico della capacità di narrare per immagini propria del cinema. Il film è del 1919, è ovviamente muto e si aiuta con sporadiche didascalie; Cecil B. DeMille sfodera però la sua sublime capacità di mettere in scena le sue storie e il racconto filmico è quanto mai avvincente a tutt’oggi, pur disponendo l’autore di risorse assai limitate rispetto ai giorni nostri (a partire dalle piste sonore, dialoghi, musiche, suoni, rumori, fino agli effetti speciali visivi). Certo, la possibilità di una narrazione fortemente enfatica e melodrammatica lo aiuta, mentre oggi questo tipo di storie non vengono percorse abitualmente (se non dalle fiction televisive o da opere di scarso livello). Nei primi decenni del XX secolo il melodramma, al contrario, non solo era ancora di moda ma lo era nelle sue forme più accese; tuttavia, vuoi per il sapiente uso della regia, vuoi per la qualità degli interpreti, qui c’è nientemeno che Gloria Swanson, vera divinità del cinema dell’epoca, la storia regge sontuosamente anche nei suoi passaggi più enfatici. 

La Swanson è Sylvia, una ragazza ricca che gioca a civettare tra due pretendenti, il dottor Edward (Elliot Dexter) e Richard (Tom Forman): è spudoratamente innamorata del primo ma un po’ di sano tatticismo non guasta almeno agli inizi di una storia sentimentale; glielo si può concedere. All’ingresso degli Stati Uniti nella Prima Guerra Mondiale, e questo è interessante essendo il film del 1919 e quindi temporalmente assai vicino agli eventi, tutti quanti ci si aspetta che ogni giovane in grado di farlo corra di gran lena ad arruolarsi. Eppure la guerra, in Europa, aveva già ampiamente dimostrato quanto fallace fosse l’entusiasmo che accompagnò i giovani dei paesi coinvolti nel conflitto, che assurdamente parevano andare ad una festa. La Grande Guerra era un orrore spaventoso, probabilmente come mai ve n’erano stati nella Storia dell’Umanità. Ciononostante, in America, nel 1919, due anni dopo l’entrata in guerra degli Stati Uniti, si poteva impostare una storia per un film sul fatto che fosse naturale per un uomo nel pieno delle sue forze, andare a combattere in Europa, mentre per una ragazza chi si fosse rifiutato, avesse avuto anche una valida motivazione, era semplicemente un codardo. Ora, non è che il cinema sia da considerare vangelo, è infatti l’arte della finzione e non della verità, ma di quest’ultima ne è lo specchio. In sostanza, se nel ’19, una situazione come quella mostrata in For better, for worse era credibile, perlomeno sosteneva la credibilità di un film, un fondamento solido nella realtà doveva pur averlo. Per cui, se il dottor Edward, che si occupa di bambini malformi, non può abbandonare i suoi pazienti e così decide, a malincuore, di non partire per la Francia, il risultato è il massimo scorno di Sylvia. Uno scorno, e questo è il succo della considerazione fatta poc’anzi, che doveva sembrare, perlomeno in parte, legittimo al pubblico del tempo. Il che dava una forza maggiore, rispetto a quanto da noi percepito oggi, al racconto. Tornando alla trama, Richard approfitta proprio di questo impasse tra i due colombini e, prima di salpare per l’Europa, riesce a sposare l’amata, lasciando la povera Betty (Wanda Hawley) di lui innamorata, a struggersi di dolore. 

Sylvia, ragazza dalla bellezza magnetica oltre che ricca e viziata, si dimostra poco avveduta, in questi frangenti, ma il destino narrativo le darà modo di ricredersi e di evolversi positivamente, pur se a caro prezzo. Gran merito di questa performance è, naturalmente, di Gloria Swanson: dall’alto dei suo 150 cm scarsi, riesce a offuscare la presenza delle altre donne sullo schermo nonché sfruttare le sponde maschili per sciorinare il proverbiale fascino. Alla base del copione di For better, for worse c’è un’opera teatrale (di Edgar Selwyn) e questo è riscontrabile nei perfetti incastri che la sceneggiatura conserva. In questo caso, il lavoro di precisione alla scrittura serve ad incendiare il melodramma, così Richard rimane gravemente mutilato, in un primo momento addirittura sfigurato, tanto da preferire spacciarsi per morto piuttosto che tornare e vedere l’amata Sylvia inorridire guardandolo in faccia. 

Nel frattempo, la ragazza investe con l’auto una bambina e soltanto l’intervento di Ned (com’è soprannominato il Dr. Edward) potrà guarire la piccola. L’inserimento di una bambina (Mae Giraci) che rimane paralizzata, quando c’erano già i piccoli pazienti del dottor Edward ad intenerire la storia, dà l’idea di quanto il tema melodrammatico sia sfruttato senza alcuna reticenza da DeMille. Tuttavia la regia del grande cineasta è sapientemente dosata e la misura, sebbene sembri sempre esserne sempre sul punto, non è mai colma al punto di nauseare, anzi. Com’è tipico del melodramma, ci si trova in quella zona appena prima del disgusto, ovvero dove c’è il sublime e, sostanzialmente, questo è il terreno in cui mirabilmente si muove il cinema di DeMille. Notevole l’uso del montaggio alternato con cui l’autore intesse la sua trama facendo avanzare contemporaneamente più tracce fino all’inevitabile incrocio. Tornando alla bambina, il suo trovarsi orfana la manda a comporre un’inevitabile famiglia di elementi a cui manca qualcosa con la (presunta) vedova Sylvia e il codardo dottore che aveva appunto mancato la guerra. Sul più bello, ecco che Ricard ritorna in scena, miracolosamente rimesso insieme e in condizioni passabili (le manca una mano e si intravvede una cicatrice sul volto) dall’efficienza degli ospedali militari americani. Naturalmente il povero reduce si presenterà a casa nel bel mezzo del ricevimento dato da Sylvia per annunciare il fidanzamento con Ned; come detto, siamo in un melodramma di quelli tosti. Alla fine ci pensa Betty, ragazza senza troppo orgoglio ma dotata di gran senso pratico all’americana, a far quadrare tutti i cerchi della vicenda, prendendo per sé Richard e lasciando Sylvia e Ned alla loro storia d’amore. A stemperare lo zucchero, ci pensa sorprendentemente proprio la piccola ragazzina che la storia lascia senza nome: si prende ironicamente il merito sull’unione tra Sylvia e Ned, virando il finale di sana ironia. Come trasformare un ingrediente ultra saporito (una bambina, paralizzata e orfana) in un elemento di equilibrio nel senso opposto: DeMille docet.        


Gloria Swanson 






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