1189_EN PASSANT PAR LA LORRAINE . Francia 1950; Regia di Georges Franju.
Il cortometraggio Le sang des betes ha una certa eco, e non è difficile immaginare il
perché, visto la forza sconvolgente delle immagini. Per fortuna di Franju Le
Sang des Bêtes è particolarmente apprezzato dal versatile artista Jean
Cocteau che ne scrive una recensione positiva: per il regista bretone si aprono
nuove possibilità la prima delle quali è un documentario sulla Lorena. Visto
l’esiguo tempo a disposizione e considerata l’importanza storica della regione
in questione, sottolineata sin dal font scelto per le scritte nei credits
di testa, Franju intitola il suo film En passant per la Lorraine, a ribadire
lo sguardo di sfuggita che è nelle possibilità di un corto. La precedenza
è giustamente data alla tradizione e all’aspetto storico con le statue dei vari
personaggi locali, tra cui Giovanna D’Arco, e poi un salto nella città di Nancy
e a seguire le anonime pianure sotto cieli perennemente imbronciati,
caratteristica dell’intero cortometraggio, famose per essere i luoghi di celebri
battaglie, valga per tutti la piana di Verdun. Poi la cattedrale di Metz e le
celebrazioni popolari per il 14 luglio, festa nazionale francese: con le
immagini di ragazze coi vestiti che la voce narrante ci informa essere colorati
– il film è in bianco e nero – tra un ballo e l’altro c’è un fermo immagine di
un ragazzino elegantemente vestito. Pare sia un sopravvissuto alla strage di
Oradour-sur-Glane, dove i nazisti uccisero 643 civili inermi nel 1944: al
solito, Franju, inserisce almeno un elemento contrastante, in questo caso un
rimando al terribile evento in un contesto di segno opposto, come appunto la
festa nazionale. Oltretutto con una scelta tecnica forte come l’arresto
del flusso delle immagini, in contraddizione con quello che ci si aspetta da
una visione neutrale che dovrebbe avere un documentario.
Le immagini della
festa riprendono e poi le succedono i paesaggi rurali della Lorena; ad un certo
punto, un traliccio in ferro di una linea elettrica compare come elemento
stonato sulla scena bucolica. E’ l’anticipo al piatto forte del documentario:
l’attività mineraria e siderurgica della Lorena. Qui Franju si supera,
accompagnandoci in un viaggio fin dentro le miniere, le acciaierie e le
fonderie con una serie di inquadrature tanto divulgative quanto tecnicamente
valide da poter essere definite senza timore perfino artistiche. Siamo
nell’immediato dopoguerra e miniere e impianti siderurgici non sono certo il
luogo ideale da portare come esempio di sicurezza sul lavoro eppure il regista
francese riesce a cogliere tanto la maestosità dell’attività quanto i rischi
connessi, senza scadere nella retorica né di protesta né tantomeno celebrativa.
E’ un film su commissione, giova ricordarlo, e l’idea delle istituzioni è
alimentare il sentimento patriottico e la fiducia nel paese; Franju svolge
questo compito con estremo equilibrio, appassionandosi agli aspetti tecnici del
lavoro e mantenendo un profilo discreto, come si conviene ad un documentario.
Ma, come detto, la sagacia dell’autore bretone è sempre in agguato: ‘la
moderna miniera di Faulquemont’, recita ad un certo punto la voce narrante,
mentre le immagini mostrano un edificio industriale moderno e dalle linee
semplici e pulite. Mentre veniamo informati che l’impianto è anche ‘silenzioso
come un ospedale’ Franju concentra il suo obiettivo sull’altissima
ciminiera: nella sinistra assenza di commento sonoro un fumo nero sembra
scendere, grazie alla prospettiva della macchina da presa, subdolamente lungo
la colonna di cemento, quasi di soppiatto. A questo punto l’essere silenzioso
che era stato presentato come un pregio dell’impianto, diventa quasi un
elemento ingannevole e inquietante. Il fumo è nero e denso, e su questo non ci
possono essere fraintendimenti. Il viaggio all’interno della siderurgia, tra il
carbone coke e i lingotti di acciaio fuso, prosegue ed è la parte più
consistente del documentario, oltre che la più interessante. Poi, prima di
chiudere, Franju ripresenta gli scenari con cui ha aperto: la campagna, le
bellezze architettoniche e infine la festa paesana: pochi minuti, giusto come
all’inizio, quasi a simboleggiare che l’industria pesante abbia fatto
incursione nella vita della Lorena e si sia piazzata in posizione centrale e
dominante, relegando natura, storia e tradizione ai margini. Come si è ormai
capito, Franju arriva sempre dove deve arrivare anche quando apparentemente si
contiene.
_continua.
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