1181_BELFAST . Regno Unito 2021; Regia di Kenneth Branagh.
Il Musical è un genere in cui, almeno stando
all’enciclopedia Treccani, lo sviluppo narrativo e drammaturgico è strutturato
su canzoni e danze. Secondo questa definizione, Belfast è quindi
giustamente considerato un film drammatico, biografico e storico, come si può
trovare in effetti catalogato quello di Kenneth Branagh. Eppure… eppure sebbene
Belfast sia un film piacevole e divertente sotto ogni profilo, sono alcuni
aspetti che rimandano al genere musicale a renderlo un film memorabile.
Innanzitutto la colonna sonora: i ben nove pezzi di Van Morrison, a partire
dalla splendida Down to Joy, puntellano lo scorrere dal film lasciando
una traccia indelebile nell’ascoltatore. Inoltre, le numerose scene dei film
che Branagh vuole citare, si va da Un milione di anni fa (1966, regia di
Don Chaffey, con la strepitosa Raquel Welch) ai western come Mezzogiorno di
fuoco (1952, di Fred Zinnemann con le musiche di Dimitri Tiomkin), sono
sempre sottolineate dai memorabili commenti sonori e non va tralasciato il
passaggio forse migliore dell’intero lungometraggio, il ballo sulle note di Everlasting
Love nella versione dei The Love Affair. Insomma, la musica in Belfast
ha un ruolo straripante e si fa fatica a relegarla al ruolo di colonna sonora.
Del resto Branagh, per la resa fotografica, si affida ovviamente anche stavolta
a Haris Zambarloukos che nel curriculum vanta opere come Mamma Mia!
(2008, regia di Phyllida Lloyd), ovvero uno dei musical più rilevanti
del nuovo millennio. Per il corpo del racconto la fotografia di Zambarloukos è
in uno smagliante bianco e nero che enfatizza la matrice teatrale della messa
in scena del regista britannico, un altro aspetto che rimanda direttamente al
palcoscenico. Del resto la strada sulla quale si affacciano le case dei
protagonisti di Belfast sembra un set ripreso in tutto il suo tentativo
di essere realistico. Il dettaglio, lo specifico frammento di scena, è
spudoratamente credibile ma, nell’insieme, l’idea di ricostruzione, già a
partire dagli effetti luminosi, ci dice che siamo di fronte ad una mise-en-scene
del tutto artificiosa. A conferma della non attendibilità realistica del bianco
e nero del film ci sono una serie di passaggi a colori: dalla cornice
panoramica su Belfast che racchiude il racconto filmico, al grande schermo del
cinema o al palcoscenico teatrale, con qualche pennellata naif-surreale tipica
di Branagh (il riflesso a colori sugli occhiali). Con un tale supporto emotivo
e trascinante, il regista può immergersi nei suoi ricordi che, almeno dal punto
di vista dell’ambientazione, non potevano certo dirsi inseriti in un contesto
idilliaco. Il film, infatti, ha una matrice biografica e racconta dell’infanzia
del regista in quel di Belfast, durante i disordini, i famigerati troubles,
del 1969. Ma non è l’elemento storico e, ci perdonerà il buon Kenneth, nemmeno
quello biografico, a rendere interessante il film.
Almeno non in confronto alla travolgente colonna sonora.
Caitrìona Balfe
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