1172_CUORI DEL MONDO (Hearts of the Worlds). Stati Uniti 1918; Regia di David Wark Griffith.
Nonostante le controversie sulla sua figura di artista legate all’accusa di razzismo, scaturite dal suo capolavoro Nascita di una Nazione, David Wark Griffith era davvero un mostro di bravura. Cuori del mondo, film del 1918, ne è un’altra chiara dimostrazione. Griffith è il riconosciuto padre del cinema americano e si potrebbe estendere il concetto anche a livello globale, tale fu la sua importanza nella definizione del linguaggio cinematografico. Cuori del mondo, pur essendo un film muto del 1918 di quasi due ore, si guarda ancora con grande trasporto e piacere, tanto il testo è fresco e moderno. Il film è ambientato in Francia, in un periodo che va da molto prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale, addirittura il 1912, ad una data imprecisata quando i tedeschi vengono sconfitti. Va considerato che il film uscì nelle sale all’inizio del 1918 e quindi in questo senso il regista si affidò al suo senso profetico, ipotizzando, appunto, la vittoria alleata. In termini narrativi, questo finisce per annoverare Cuori nel mondo nei film di propaganda bellica, almeno a livello cronologico: è evidente che opere prodotte in un paese coinvolto in un conflitto erano soggette alla censura di guerra e non potevano certo permettersi visioni troppo bipartisan. Quindi anche in questo caso Griffith fa una scelta decisa, sposando una causa e aderendovi senza tentennamenti: in parte è per i suddetti motivi e forse anche perché, a livello narrativo, il racconto bellico acquista un nerbo maggiore. Non aspettiamoci quindi quella sorta di benevolenza verso i tedeschi riscontrabile, ad esempio, in All’ovest niente di nuovo (1930, di Lewis Milestone), qui il nemico è il cattivo della storia e, nella figura di von Strohm (George Siegmann), anche spregevole.
Pur avendo come chiaro e dichiarato obiettivo una riflessione sulla drammaticità della guerra, Griffith non ha affatto fretta di introdurci nelle fasi belliche e si prende il suo tempo per dipingere quanto il mondo in pace, perlomeno in Francia, fosse un posto idilliaco. Oltre che lungo, questo preambolo è evidentemente insistito: sono tantissime le scenette ora romantiche ora comiche, che il regista dosa con sapienza. In ogni caso la didascalia che in principio ci colloca nel 1912 è lì a testimoniare che la serenità non era legata ad un momento effimero: in tempo di pace era normale occuparsi delle romanticherie un po’ frivole come le storielle sentimentali che si intrecciano in questa fase, per divenire, con lo sviluppo della storia, vere e proprie storie d’amore. Nel frattempo, qualche fotogramma è dedicato anche ai vicini di casa germanici: in trasferta a curiosare con fare sospetto, vedi von Strohm, oppure rinchiusi a preparare piani di invasione della Francia. Come detto, il film è schierato apertamente e non farà alcuno sconto al Kaiser e ai suoi sudditi. Torniamo in terra d’oltralpe quando irrompe la chiamata alle armi, accolta sempre con un entusiasmo che, a vederlo oggi, lascia alquanto perplessi. Il ragazzo protagonista (Robert Harron) è americano ma vive nel paesino francese in cui è ambientato il racconto e si arruola volentieri per quella nazione tanto ospitale e civile. La ragazza, la sua fidanzata (una meravigliosa Lillian Gish), lo aspetterà trepidante; la piccola disturbatrice (Dorothy Gish, sorella di Lillian) si è nel frattempo rassegnata e, non potendo flirtare con il ragazzo, ha accettato le avances del meno raffinato Cuckoo (Robert Anderson), in procinto anche di lui di partire per il fronte.
Anche in questa prima fase si può notare la modernità del discorso di Griffith: in un film di guerra, un genere prettamente maschile, le figure più importanti sono femminili. Lillian Gish è effettivamente una vera musa per il regista, come è noto, e Griffith la riprende esaltandone la bellezza cinematografica che, a vederla oggi, sorprende per quanto è ancora moderna. Ma notevole anche la performance di Dorothy, che si incarica di sostenere, quasi da sola, il tenore umoristico dell’opera, che non è affatto trascurabile. Cuckoo, coi suoi modi un po’ goffi, quando è chiamato in causa, è semplicemente la sua spalla; tuttavia, come vedremo, l’importanza delle sorelle Gish non si limiterà a questi aspetti. Lo scoppio delle ostilità permette al regista di mettere in scena alcune proverbiali sequenze panoramiche, con le truppe che si scontrano su terreni ampi con un notevole effetto sullo schermo. Per Griffith, padrone di una grammatica cinematografica sopraffina, è fin troppo facile rendere al meglio le scene di guerra, che hanno intrinsecamente già notevoli dosi di suspense e tensione. La sorti della battaglia volgono presto al peggio, il ragazzo è ferito gravemente, le linee francesi cedono, i tedeschi irrompono così nel villaggio occupandolo. Nel giorno in cui avevano preventivamente stabilito le nozze, la ragazza è particolarmente disperata e vaga per il campo di battaglia fino ad incontrare il fidanzato e, trovandolo esanime, lo crede morto.
Successivamente il ragazzo è raccolto dalla croce rossa dell’esercito e curato, ma per i francesi del villaggio è un momento difficilissimo. L’immagine del manifesto del film, con un militare tedesco che frusta la nostra protagonista, una scena presa dal lungometraggio, ben rappresenta lo stato delle cose. L’arrivo degli alleati, tra cui spiccano gli statunitensi, di cui il ragazzo era simbolicamente una sorta di anteprima, ribalta la situazione. Ragazzo americano, che, ripresosi, prova un’incursione oltre le linee nemiche per andare al villaggio: il suo arrivo trova la fidanzata che sta cercando di sfuggire alle attenzioni di von Strohm. In breve la presenza di un nemico è intuita e i due fidanzati si rinchiudono in un locale al piano di sopra, ma vengono comunque scoperti. Griffith con un montaggio alternato gestisce le due tracce del racconto, quella generale e quella particolare, in modo magistrale. Le due trame hanno una struttura concentrica, che ben rappresenta il valore simbolico della vicenda particolare. Gli alleati attaccano i tedeschi, che sono ormai arroccati nel villaggio; all’interno del quale troviamo i due fidanzati, chiusi in locale con von Strohm e i suoi commilitoni che gironzolano intorno. Mentre l’ufficiale è richiamato a rapporto da un superiore, un soldato riesce alla fine a scoprire la presenza del ragazzo, travestito da tedesco e quindi passibile di fucilazione in qualità di spia. Ne nasce una colluttazione che vede il nostro eroe, meno corpulento e in precarie condizioni fisiche, in palese difficoltà.
Siamo nel 1918, giova ricordarlo: quando vediamo il personaggio della Gish ritrarsi inorridita da quella manifestazione di violenza bruta, si pensa alla classica scena con la bella del racconto che grida disperata non avendo nelle corde altre soluzioni. Griffith però, era appunto un autore moderno e ribalta la tipica situazione narrativa: la ragazza sfodera un coltello e pugnala decisa alla schiena l’orco tedesco, il ragazzo è salvo. Con il suo particolare copricapo ad adornare la bellezza del volto di Lillian Gish, la protagonista della storia sembra una versione cinematografica della Marianna francese. Eppure meglio ancora farà la piccola disturbatrice, nel frattempo divenuta amica della ragazza, inizialmente rivale in amore. Von Strohm è ritornato sulla scena per riprendere il discorso interrotto e capisce subito l’antifona: i ragazzi han chiuso la pesante porta ma il tedesco la sta sfondando a colpi di baionetta. Ma il bruto non ha fatto i conti con la pestifera fanciulla che raccoglie addirittura una bomba a mano da una sacca tedesca e spedisce il cattivo della storia all’altro mondo. L’arrivo degli alleati suggella il trionfo dei buoni e dell’amore sulla barbarie e la crudeltà degli invasori. Da non credere la gestione scelta da Griffith per i registri della sua storia: in un tema tipicamente avventuroso, la trama sentimentale si intreccia avendo il sopravvento ma, e qui sta la vera sorpresa, è quella comica, che sembrava avere solo una funzione di alleggerimento, ad avere l’ultima parola, quella decisiva. Che dire, Griffith era davvero un maestro illuminato, perlomeno dal punto di vista cinematografico.
Lillian Gish
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