1191_LE GRAND MÉLIÈS . Francia 1952; Regia di Georges Franju.
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Il successivo cortometraggio del regista bretone è Le
grand Méliès, un tributo al geniale pioniere della Settima Arte. Nel 1952
George Méliès era già morto ma Franju decide di impostare il suo documentario
con alcune scene con il cineasta ancora in vita. Viene così ingaggiato André
Méliès che, a parte una piccola scena nel suo effettivo ruolo, nel
cortometraggio interpreta il proprio padre. Insieme al figlio anche la signora
Méliès, Jehanne d’Alcy, è chiamata per questa celebrazione alla quale va
aggiunta anche la voce fuori campo femminile sempre prelevata dall’alveo
famigliare dello storico regista. Già da questi brevi cenni è evidente che stavolta
l’idea di documentario è diversa, rispetto alle precedenti, in quanto le parti
ricostruite rendono Le grand Méliès assimilabile ad un film di finzione
di genere biografico. Franju aveva già peraltro dimostrato di avere il senso
del ritmo narrativo, riuscendo a rendere appassionanti anche documentari
ambientati in un impianto siderurgico o in un macello e in questo caso si trova
altrettanto a suo agio potendo scegliere i tempi del racconto a suo piacimento.
Nel film fa la sua comparsa anche Lumière, che rifiuta tenacemente di vendere
la sua invenzione a Méliès: è interessante notare come nella contrapposizione
di questi due geni del cinema pionieristico francese ci siano altre tracce per
svelare, o almeno provare, l’enigma Franju. In genere, il cinema dei
fratelli Lumiére era considerato naturalista, realistico, mentre quello di
Méliès era evidentemente pura fantasia, basti l’immagine simbolo de Viaggio
nella Luna (1902), con il missile che acceca in un occhio il nostro
satellite per capirsi. La Ince, nel suo già citato Georges Franju (pag.
118) fa notare come anche i film di Auguste e Louis Lumiére erano spesso di
carattere teatrale e fittizio, ma certamente in modo meno smaccato rispetto a
Méliès. Potremmo dire che la scelta di Franju per il corto Le grand Méliès
ricorda un po’ lo stile dei fratelli Lumiére, con una ricostruzione fittizia
atta a riproporre la realtà storica, almeno come la intendeva il regista. Ed è
un fatto curioso, visto che Franju ammetteva di amare Méliès che, come da
titolo del corto, era grande, forse addirittura il più grande;
anche se poi specificava: “Méliès sogna per me. I Lumiére mi fanno sognare”.
(Kate Ince, Georges Franju, pag. 118). Ancora una volta Franju riesce a
rimanere in equilibrio, ammettendo la sua passione per Méliès ma, allo stesso
tempo, riconoscendo una superiorità nella scelta poetica dei Lumière. Al punto
da omaggiare la grandezza del primo con un cortometraggio nello stile dei
secondi: la capacità di far quadrare il cerchio di Franju non ha praticamente
eguali.
_continua.
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