1187_I CORTOMETRAGGI DI GEORGES FRANJU. Francia 1935; Regia di Georges Franju.
Ha ragione Kate Ince (autrice di Georges Franju, 2005): per
comprendere il cinema di Georges Franju, occorre innanzitutto cominciare dai
suoi cortometraggi. Che, leggendo le note a corredo dei vari corti,
potrebbero al contrario sembrare assai poco significativi. Innanzitutto si
tratta di opere di breve durata, e questo è ovvio, il che lascerebbe intendere
che il regista non abbia avuto il tempo necessario per sviluppare la propria
poetica in modo compiuto. O almeno non come nei successivi lungometraggi e
questo è anche vero, per la verità. Inoltre, i cortometraggi di Georges Franju
sono perlopiù documentari in genere commissionati da questo o quell’ente che
intendeva attraverso questi filmati divulgare un po’ di sana propaganda
di governo o quantomeno istituzionale. E anche questo è un dato di fatto:
quando non era il Ministero degli Affari Interni o l’Istituto delle
Acque e delle Foreste a richiedere un cortometraggio che illustrasse una
determinata situazione del paese, era il senso civico dello stesso regista – ad
esempio la sua attenzione agli animali – o il tributo ai personaggi
celebri nazionali con le veloci biografie. La Francia, nel secondo dopoguerra,
andava trasformandosi in chiave moderna e industrializzata e il cinema era lo
strumento consono a celebrarne i progressi e a divulgare consapevolezza
culturale allo stesso tempo. Qui occorre entrare in uno specifico della
particolare situazione nel paese transalpino, che favorì il proliferare
dell’uso del cortometraggio in genere poco frequentato dal cinema, ma tutto
questo ci porterebbe già sul finire degli anni Quaranta, mentre l’esordio
dietro alla Macchina da Presa di Franju è del 1935 con Le Métro.
Va
detto, onestamente, che gli otto minuti che costituiscono questo primo
approccio alla regia di Franju, unitamente dietro alla macchina da presa
all’amico Henri Langlois, non è che siano entusiasmanti. A posteriori, Franju
giustificò la mancata riuscita del corto con il differente approccio dei
due giovanissimi autori: “io volevo un montaggio di idee, lui [Langlois]
di ritmo”. In questa semplice frase, ci sono già tracce di quello che
Kate Ince nel suo libro di critica cinematografica uscito nel 2005 sul regista
francese definisce acutamente l’enigma Franju. Per quale motivo Franju è
sempre stato sottovalutato? Perché la sua poetica è stata sempre poco compresa
– e secondo la Ince anche equivocata – e quindi poco apprezzata? Prendiamo le
parole del regista a proposito di Le Métro: a naso, sembrerebbe che il
suo amico Langlois fosse nel giusto, il fondo il montaggio è l’essenza stessa
del cinema.
E, di contro, cosa vuol dire Franju con ‘montaggio di idee’?
Troppo generico, in fondo anche le scelte in sala taglio sono idee; a
pensarci bene sembra quasi che lo stesso Franju faticasse a trovare una
definizione per ciò che lo guidava dietro alla macchina da presa. Tornando a Le
Métro, in realtà, come fa notare la stessa Ince nel suo puntualissimo
libro, l’utilizzo di un montaggio serrato è controproducente, nel
cortometraggio, perché ingenera delle aspettative che poi risultano vane. Il
breve documentario si segnala per l’atmosfera generale tutt’altro che
rassicurante e – se voleva essere un tributo ai successi dell’era moderna,
insieme all’innegabile dimostrazione di efficienza dei treni e
dell’indaffaramento delle persone che salgono e scendono le scale per tuti gli
otto minuti – Le Métro si lascia ricordare forse maggiormente per le
ombre che caratterizzano il bianco e nero della pellicola. Come detto, siamo
ancora a metà degli anni Trenta e la svolta nella carriera di Franju è molto di
là da venire. Prima di ciò, con l’amico Langlois fonda un cineclub, Le
Cercle du Cinema, dove si proiettano film muti con dibattito a seguire e nel
1936 è la volta del suo impegno nella Cinématheque Française, un
archivio che vedrà la collaborazione di Franju giusto per un paio d’anni.
La Cinématheque
Française è il frutto di un lavoro collettivo che trova il gradimento del
regista bretone, a cui sempre, nel suo lavoro, piacerà fare squadra con i
propri collaboratori. La passione cinefila di Franju e Langlois partorisce la
rivista CINEMAthographe, un esperimento di solo due di numeri. Nonostante
l’esigua storia editoriale, sulla rivista compare un articolo di Franju sul
cinema di Fritz Lang, che apprezzerà e ringrazierà tramite lettera; in effetti
l’influenza del geniale autore nato a Vienna sarà evidente nel cinema del
bretone. La cui attività nel campo cinefilo è inarrestabile: nel 1940 è
nominato segretario generale della FIAF (archivi internazionali di film), a cui
segue la breve ma significativa esperienza con il Circolo Cinematografico delle
Arti e delle Scienze insieme alla futura moglie Dominique Johansen. La
quale troverà impiego nella successiva Accademia del Cinema, mentre il
marito diviene nel 1953 segretario generale dell’Istituto di Cinematografia
Scientifica.
Tutte queste note biografiche, che si possono trovare nel
prezioso libro della Ince, non sono solo nozionismo atto a giustificare qualche
sporadica curiosità sulla vita dell’autore. Ci servono innanzitutto per coglierne
l’inclinazione scientifica, presente in due istituti in cui presta servizio il
futuro regista, che sarà evidente nei suoi successivi cortometraggi ma verrà
anche chiamata in causa dalla definizione che storicamente è attribuita al
cinema di Georges Franju. Realismo fantastico: Claire Clouzot trovò
questa descrizione per la poetica del regista bretone in relazione ai suoi
lungometraggi e la definizione realismo si fonda, effettivamente, sullo
sguardo attento alla rappresentazione formale del mondo che lo circondava. Il
che era evidente già nei cortometraggi che Franju diresse dal 1948 al 1958 e ci
sarebbe anche da essere tentati di dire che il tema fantastico entri in gioco
solo nell’ultimo corto e con maggiore vigore coi successivi
lungometraggi ma le cose, con il regista francese, non sono mai così lineari
come possono apparire. Intanto occorre descrivere almeno vagamente la
situazione in Francia nel dopoguerra in ambito cinematografico perché servirà a
capire le influenze che subirà Franju nella scelta del suo approccio
all’attività di regista di cortometraggi.
A livello socio economico, la situazione
europea, e francese nello specifico, era drammatica e non era semplice reperire
i fondi per realizzare film e si rischiava la colonizzazione da quei paesi
produttori di cinema stranieri, come gli Stati Uniti, che risentivano assai
meno della crisi. In precedenza, prima della guerra, la serata cinematografica
prevedeva due lungometraggi e già c’era il concreto rischio di vedere
monopolizzati gli spettacoli con prodotti d’importazione. Per cui, già durante il
conflitto mondiale, nel tentativo di arginare questo fenomeno e tutelare la
cinematografia interna, il governo francese sotto occupazione emanò, nel 1940,
la Legge sugli aiuti (Kate Ince, Georges Franju pag. 14) che
obbligava i gestori delle sale a proiettare un cortometraggio accanto ad un
lungometraggio. La stessa legge prevedeva che parte dei ricavi venissero
devoluti al finanziamento dei cortometraggi, più veloci e economici da girare oltre
a non soffrire l’inesistente specifica concorrenza americana. In conseguenza a
questa situazione, tra il 1940 e il 1953, la produzione di cortometraggi nel
paese aumenta considerevolmente e i brevi filmati vengono spesso finanziati da
istituti e organi ministeriali che, visto la predominanza del prodotto interno,
utilizzano questo canale per diffondere la cultura nazionale francese. Come si
è detto Franju era stato in quegli anni costantemente impiegato in quella o
questa istituzione cinematografica e anche grazie alle conoscenze giuste riesce
probabilmente a trovare i finanziamenti per intraprendere la carriera di
regista di cortometraggi.
_continua.
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