1176_SETTIMO CIELO (Seventh Heaven). Stati Uniti 1927; Regia di Frank Borzage.
Vero caposaldo cinematografico, Settimo Cielo di Frank Borzage è giustamente ricordato per i tanti titoli d’onore meritatamente conquistati e per le caratteristiche tecniche e artistiche che ne fanno un’autentica pietra miliare. Borzage vinse nella categoria miglior regia, alla prima edizione degli Oscar, nel 1929, così come Janet Gaynor si aggiudicò la statuetta come miglior attrice protagonista mentre Benjamin Glazer quella alla miglior sceneggiatura non originale. Un tripudio, per Settimo Cielo, che fu la pellicola con il maggior numero di nomination a quella storica prima edizione, contando anche quella al miglior film per la 20th Century Fox e alla miglior scenografia a Harry Oliver. Tra gli aspetti tecnici, effettivamente, la scenografia è davvero notevole, con un’ambientazione che ammanta tutta quanta la storia con qualcosa di magico che riprende sontuosamente il senso fatato che, in un certo senso, gli autori conferiscono al racconto. La vicenda ha una sorta di sviluppo verticale, in quel di Parigi ai tempi della Prima Guerra Mondiale: si comincia nelle fogne cittadine e si termina al settimo piano di una sgangherata palazzina. Effettivamente i nostri protagonisti non sono certo benestanti: lei, Diane (la Gaynor) è una povera giovane maltrattata dalla sorella e costretta a vivere di espedienti; lui, Chico (Charles Farrell) un giovane marcantonio che lavora appunto nelle fogne. Della loro ascesa verso il paradiso, attraverso un’unione apparentemente improbabile, lei esile e minuta, lui alto e robusto, racconta appunto il film.
E la scala per raggiungere l’appartamento di lui, quello citato al settimo piano, è un capolavoro di tecnica cinematografica, una scena resa magistralmente da una serie di espedienti tecnici per far salire lo spettatore tutto d’un fiato, apparentemente senza stacchi della ripresa. Ma, rimanendo nell’ambito tecnico, va sottolineata la fotografia, di Ernest Palmer e Joseph A. Valentine, un bianco e nero che esalta la narrazione. Inoltre, pur essendo girato come film muto, per Settimo Cielo fu uno dei primi, e tutto sommato pochi, lungometraggi dove venne utilizzata la tecnica Movietone, che consentiva di aggiungere una pista sonora preregistrata alla pellicola. In sostanza il lungometraggio venne accompagnato da una traccia musicale ed alcuni effetti sonori, ad esempio il fischio che segnava l’uscita dalle trincee per andare all’assalto, in una delle scene dal fronte della Grande Guerra. Per i dialoghi, si rimase alle classiche didascalie su fotogramma, la classica tecnica del cinema muto. E, un’altra delle sorprese positive di questo capolavoro, nonostante questo evidente limite (un eccesso di uso dei pannelli didascalici finirebbe per intralciare il ritmo narrativo), i dialoghi sono notevoli, addirittura eccellenti nella prima mezz’ora di racconto. Per la verità l’inizio sembra una comica, con Chico e il suo amico Sewer Rat (letteralmente, Ratto di Fogna, interpretato da George E. Stone) a lavorare nelle fogne e a pizzicarsi con Gobin (David Butler) che, in qualità di netturbino, è visto dai due come un privilegiato.
Intanto la povera Diane è alle prese con le violente angherie della sorella Nana (Gladys Brockwell) che la prende a frustate senza pietà. La povera Diane fugge in strada ma la sorella la raggiunge con l’intenzione apparente di accopparla. Dal tombino delle fogne emerge manco fosse un supereroe Chico che salva l’esile ragazza e senza troppi complimenti, minacciandola cioè di buttarla nel tunnel maleodorante, riconduce Nana a più miti consigli. La megera se ne va mestamente mentre Diane rimane sul selciato della strada: l’aitante giovane, dopo averle salvato la vita, la redarguisce pesantemente per la sua mancanza di coraggio. Poi si siede accanto alla vecchia auto di Boul (Albert Gran) un vecchio mendicante e, con l’amico Rat, si organizza una frugale cena. Diane è lasciata in disparte, a terra, sulla strada. La cosa sembra disturbare Chico che torna a rimproverarla: “Non restare lì impalata come un pesce morto. Ci rovini la festa!”.
Poi, intavola una discussione polemica su temi religiosi con il buon Boul che, peraltro, non sembra darsi troppo pensiero dei crucci dell’amico. Chico però lo incalza: “é il buon Dio che stava permettendo che questa ragazza venisse strangolata per la strada? E che ha fatto me quello che sono? E questo?” interroga infine l’amico indicando Rat. Come a dire, possibile che Dio combini certi sgorbi? La risposta di Boul è serafica: “beh, facciamo tutti degli errori.” Curioso come poi il racconto smentisca le parole dei due amici visto che Ratto di Fogna sul fronte saprà farsi valere, salvando la vita a Chico. Tuttavia questo avverrà solo in seguito. Intanto la discussione non è a ancora finito con Chico che non demorde e attacca un altro divertente sermone per giustificare il suo ateismo: “La religione per me è finita. Ho dato a Dio due possibilità. Ho messo cinque franchi nella più bella chiesa di Parigi per dei ceri. Ho chiesto a Dio di farmi uscire dalle fogne, di fare di me un netturbino. Lo ha fatto? E gli ho dato un’altra possibilità, altri cinque franchi. Ho pregato per una certa biondina. E tutto quello che Dio mi da è questa creatura.” Al sentire quest’ultimo passaggio, la povera Diane si raccoglie ancora di più: ora è davvero uno scricciolo. Chico, però, non se ne cura: “I miei dieci franchi sono andati in fumo. E’ per questo sono ateo. Dio mi deve dieci franchi.” La povera Diane, già demoralizzata da un’esistenza atroce, ora senza un posto dove andare, vilipesa pure dal suo salvatore approfitta di un attimo di distrazione generale per prendere il coltello di Chico per farla finita.
Il giovane interviene nuovamente ma, ancora, non ha parole di conforto per la povera ragazza: “Con il MIO coltello! E’ il colmo!” Insomma, Chico è un vero buzzurro e, prima di compiere il primo passo verso un comportamento un minimo degno di una persona civile, incappa nell’ennesima gaffe: “Non sei così male.” Dice per consolare la ragazza che, come conseguenza, pare risollevarsi un poco. “Sai, mi fai pena” chiude goffamente però l’uomo. Ma, perlomeno, quest’ultima infelice uscita sarà la prima di cui Chico si renderà conto di quanto fosse inopportuna. Il tema religioso, per quanto non certo approfondito, è l’argomento principale, come del resto esplicitato sin dal titolo dell’opera. La risalita sociale di Chico, che dalle fogne passa a pulire la strada, è amplificata dalla sintonia di coppia di Diane e Chico, prima davvero ai minimi termini e in conclusione effettivamente in una condizione paradisiaca. La presenza di un religioso, padre Chevillon (Emile Chautard) è fondamentale nello sviluppo della storia: è lui che permette con la sua raccomandazione a Chico di divenire netturbino, e che riconcilia in parte il giovane stolto con il Signore. La capacità di cambiare opinione, non solo nei riguardi dell’Altissimo ma anche nella considerazione di Diane, è invece tutta farina del ragazzo che, conferma l’opinione di padre Chevillon, convinto sin da subito che dietro le spacconate di Chico ci fosse un’anima nobile. Il film si risolve come storia molto romantica e strappalacrime, con un lieto fine che rincuora gli spettatori e rinfranca anche l’istituzione religiosa. Ma il percorso per arrivarci non è così zuccherato: dei dialoghi sopra le righe di Chico s’è detto, come anche delle frustate di Nana a Diane ma su questa vale la pena un piccolo approfondimento. Le scene di violenza tra le sorelle sono almeno tre, oltre alla frustata con tentativo di omicidio annesso, c’è poi il confronto con gli zii in cui Nana torce con sadismo il braccio a Diane. L’ultima scena di questo tenore, comincerà con Nana all’attacco armata di frusta ma vedrà la rivalsa della sorella minore che, facendo tesoro degli insegnamenti di Chico, metterà a mal partito la sua aguzzina. Le scene sono particolarmente brutali e violente ma non gratuite, così come le scene sentimentali del resto. E sono proprio queste scene enfatiche, la vera forza del racconto. Quello che rende Settimo Cielo un capolavoro è, infatti, che tutte queste scene, per quanto eccessive in un verso o nell’altro, grondano vita.
Janet Gaynor
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