1054_IL FASCINO DELL'INSOLITO: VAMPIRISMUS. Italia, 1982; Regia di Giulio Questi.
La serie antologica RAI Il fascino dell’insolito - Itinerari nella letteratura dal gotico alla fantascienza si arricchisce di un altro autore più prestigioso che conosciuto: E.T.A. Hoffmann. Il soggetto d’ispirazione del film televisivo sceneggiato e diretto da Giulio Questi, in Italia è conosciuto come Vampirismo, mentre nella trasposizione mantiene il titolo originale Vampirismus. Il racconto è del 1821, quindi appena due anni successivo a Il vampiro di John Polidori, il testo che per primo traghettava la figura del vampiro dal folclore popolare a quello di una personalità aristocratica. Sul finire del XIX secolo, naturalmente, Dracula di Bram Stoker consacrerà quest’idea ma, in quegli anni venti, nonostante il buon successo del racconto di Polidori, era normale riferirsi al vampirismo attingendo ancora all’idea più comune legata alla tradizione popolare diffusa non solo nell’est Europa. Oggi, nel 2022, la considerazione può sembrare relativa, perché il successo del tema del vampiro ha visto un proliferare di testi di ogni genere che hanno ripreso e sviluppato qualunque spunto che il folclore potesse offrire. Quarant’anni fa era meno scontato collegare il vampirismo ad una donna che si ciba di cadaveri e, forse per questo, Giulio Questi inserisce la sorprendente scena in cui la giovanissima Aurelia (nientemeno che una ventiduenne Francesca Archibugi, in seguito famosa regista) succhia via il sangue dalla ferita alla mano del conte Ippolito (Antonio Salines). Nel suo film, Giulio Questi cambia un po’ la prospettiva del racconto, incentrandolo sulla sontuosa dimora del citato conte – teatrale ma ottima, come da tradizione degli sceneggiati Rai – nella quale piombano improvvisamente la famigerata baronessa di Valobra (Maria Grazia Marescalchi) accompagnata dalla figlia Aurelia. Lo scopo della discussa e discutibile nobildonna è accasare la propria figlia presso lo scapolo più appetito della zona, per potersi sistemare. La Archibugi, che anche con gli eleganti vestiti d’epoca era una graziosa ragazza, nel film sfodera un paio di scene a seno nudo per convincere non solo il conte ma anche gli spettatori che Ippolito non abbia scampo al suo cospetto.
In effetti l’aristocratico cade subito vittima del fascino discreto della giovane, che quando è in presenza della madre è timida e taciturna ma diventa più autorevole quando si trova sola col conte. Ippolito ne viene sempre più intrigato e finisce per sposarla, una volta che la madre è misteriosamente morta, nonostante gli strani comportamenti della giovane, che alterna momenti di tenerezza ad esplosioni di paura e terrore. Che peraltro alimentano il senso di cavalleresca protezione nel conte, legandolo ancora più strenuamente all’insolita fanciulla. La ragazza, infatti, appare strana e rifiuta di mangiare avendo addirittura orrore della carne dei succulenti piatti della tavola dell’aristocratico marito: il medico che la visita giustifica queste stramberie con la scoperta che Aurelia è incinta. Ma i mesi passano, la ragazza non mangia niente di sostanzioso e, seppur sempre più pallida, rimane comunque in vita e non si capisce dove possa attingere le energie. Ippolito è, paradossalmente, l’ultimo che possa capire perché la moglie, in uno dei suoi tanti sbalzi di umore, ogni sera gli si presenti devota e servizievole con una tisana. In realtà l’infuso è drogato dando così la possibilità alla donna di assentarsi nottetempo dal letto coniugale senza che il marito se ne accorga. Saranno i servitori di ritorno dal paese a scorgere nel cimitero attiguo alla villa una sorta di sabba di streghe intorno ad una tomba, e la contessa insieme a loro! La successiva sera Ippolito non beve la tisana e coglie Aurelia sul fatto: è la scena clou tanto del racconto che del film, con una realizzazione degna di un film horror. Nel complesso, per la verità, l’atmosfera gotica è un po’ assente dalla trasposizione televisiva, affossata dalla recitazione impostata di Salines e Roberto Tesconi (nel film l’amico Cipriano) che, se prova a riprodurre l’affettazione degli aristocratici del tempo, di contro dilegua ogni ombra dallo schermo. A quel punto meglio le incertezze interpretative della Archibugi, che alimentano la figura controversa di Aurelia. In ogni caso, in definitiva, l’ambizione del progetto, che in parte comunque conserva i tratti dell’opera di E.T.A. Hoffmann, non può che meritare una valutazione positiva.
Francesca Archibugi
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