1050_IL FASCINO DELL'INSOLITO: LA CASA DELLA FOLLIA. Italia, 1981; Regia di Biagio Proietti.
Dopo la falsa partenza con l’episodio d’esordio della seconda stagione, la serie antologica Il fascino dell’insolito. Itinerari nella letteratura dal gotico alla fantascienza cambia decisamente passo. Innanzitutto va detto che alla base del film televisivo adattato da Biagio Proietti, aiutato nella sceneggiatura da Diana Crispo, c’è il racconto di quello che forse è il migliore scrittore del XX secolo. Richard Matheson, per quanto sia noto solo tra gli appassionati di letteratura fantastica o fantascientifica, è probabilmente l’autore che meglio ha colto, soprattutto con largo anticipo sul resto del mondo, le angosce e gli incubi che si nascondevano nella società del benessere proprio al suo apice, durante il boom economico del secondo dopoguerra. A Matheson non servono antichi castelli, polverose dimore, scricchiolii sinistri e nemmeno l’oscurità della notte gli è indispensabile: La casa folle – fulminante racconto tratto dall’antologia Terzo da sole – per quanto possiamo capire dal testo è una normale abitazione. Nell’interpretazione che ne danno gli autori italiani è un appartamento dal design moderno, con ampi spazi, vetrate; solo il bagno, con quel bianco e nero ossessivo, può destare qualche perplessità, a prima vista. La presenza di tre grandi volti alle finestre, due sono una sorta di bassorilievi antichi e il terzo un dipinto in stile futurista, rende peraltro meno rassicurante anche lo stesso appartamento. Su questa base già un po’ inquietante, gli autori lavorano sodo con la colonna sonora: si comincia forte con Run like hell dei Pink Floyd, poi subentrano gli stranianti suoni del didjeridoo e le incalzanti musiche di Gianni Mola.Proietti insiste molto sulla musica, nel suo
adattamento: ovviamente nel racconto non ce n’è traccia ma la prosa di
Matheson, per quanto sia un flusso di immagini chiare e nitide magicamente
evocate dallo scrittore, non è poi così semplice da replicare su uno schermo.
Nel complesso, le scelte per La casa della follia sono funzionali allo
scopo di ricreare la paranoica situazione del protagonista, vittima della sua
stessa rabbia collerica. Luigi Pistilli è Chris Neal, scrittore fallito e
docente non di ruolo che sta vedendo la sua vita andare a rotoli; a subire le
conseguenze della frustrazione dell’uomo è sua moglie Sally, nei panni della
quale troviamo la superba Olga Karlatos. Gli attori sono di rango e riescono ad
interpretare bene i rispettivi ruoli: Chris ha i nervi ormai a pezzi e Sally è
esausta di una vita con un uomo che sfoga il suo rancore per i fallimenti
contro qualunque cosa gli capiti a tiro, lei stessa per prima.
Quello della
violenza sulla moglie è un tema solo sfiorato, dal racconto come dal film,
perché non è il fulcro del discorso: Chris se la prende con Sally così come se
la prende con la macchina da scrivere, col tappetino, con l’armadietto o
qualunque altra cosa gli finisca sottomano. Ovviamente gli scatti d’ira dell’uomo
sono legati ai costanti inciampi che gli occorrono, questi dovuti al crescente
nervosismo che ne alimenta la goffaggine; un meccanismo che, in misura
auspicabilmente minore, chiunque, tra gli abitanti del mondo moderno,
sottoposti costantemente alla pressione della vita quotidiana, conosce
benissimo. Ma cosa genera questa pressione? Qui Matheson rivela la sua
genialità perché in uno sbrigativo racconto fantastico chiarisce qual è il vero
odierno punto dolente dell’umanità: la differenza tra le proprie ambizioni e i
risultati conseguiti.
La società del benessere, per alimentare i consumi e
quindi la sua stessa sopravvivenza, pone costantemente nuovi modelli
sostanzialmente irraggiungibili per il comune individuo, che così rimarrà
sempre attivo nella vana ricerca di conseguirli. Il che rende la collettività
iper-produttiva, e visto che alla ricchezza generata è legato il benessere
diffuso dal dopoguerra, lo scopo sembrerebbe raggiunto. Se non fosse che c’è un
lato oscuro, e non solo legato a coloro i quali falliscono concretamente, che
si potrebbero definire gli effetti collaterali inevitabili del meccanismo.
Il problema è assai più vasto, perché riguarda tutti, anche i personaggi di
successo: perché anche i migliori finiscono per aggiornare, alzandoli, i propri
obiettivi, nell’ottica di migliorarsi, e questo finirà per creare in misura
piccola o grande, insoddisfazione e frustrazione.
Chris, infatti, non è un uomo
di successo, questo no, d’altra parte è protagonista di una situazione limite,
che serve per imbastire il racconto paradossale che lo vede protagonista. Ma, se
lo si guarda in modo analitico, non avrebbe di che lamentarsi: vive in una
bella casa, ha una moglie bella (nel libro genericamente bella, nel film
splendida come la Karlatos) oltre che buona e fedele, e un lavoro; precario,
d’accordo, ma che proprio per questo gli permette di avere il tempo per
dedicarsi alla scrittura. I problemi nascono dal fatto che Chris aveva
l’ambizione di essere famoso, di divenire qualcuno di immortale nella
letteratura. Lo scorrere inesorabile del tempo è un’inevitabile aggravante, dal
momento che, man mano che gli anni passano e il successo non arriva, mette
sempre più pressione inasprendo la situazione. Di più: la figura dell’amico Morton
(Renato Mori), affermato studioso che ha tra l’altro elaborato una curiosa
teoria sul fatto che l’ambiente venga influenzato negativamente dallo stato
d’animo di lo abita, introduce anche l’aspetto della competitività, altro tarlo
del nostro vivere quotidiano. Morton, infatti, ha avuto quel successo tanto
agognato da Chris che, al contrario, non è riuscito ad affermarsi. L’invidia
nei confronti dell’amico alimenta ulteriormente la frustrazione dell’uomo che
finisce per autodistruggersi, nell’evolversi della vicenda in modo ovviamente
romanzato ma il concetto è quello. Un’analisi che il film di Proietti riesce a
cogliere e che rappresenta in modo lampante la natura della principale causa
dei più disparati problemi quotidiani del nostro tempo, molti dei quali hanno
origine proprio nell’insoddisfazione che alberga in ognuno di noi. Detto che è
ingiusto ricercare ossessivamente le differenze tra il testo all’origine e la
sua trasposizione sullo schermo, c’è un passaggio che nel film manca e che è
tipico di Matheson.
Sia chiaro, il lavoro di Proietti è buono e coglie lo
spirito del racconto, questo è un merito che al film va assolutamente
riconosciuto. Però lo scrittore americano aveva la capacità di sorprendere il
lettore anche quando la sua narrativa sembrava aver preso tutt’altra dinamica.
Nella spirale senza alcuna via di uscita in cui ci conduce Matheson non ci sono
sbocchi, non ce ne possono essere e questo elimina, in linea teorica,
l’eventualità di una sorpresa. Eppure, grazie alla superba prosa, lo scrittore
riusciva anche in quelle situazioni a piazzare la sua zampata: quando Chris
ritorna a casa, dopo che ha passato tutta la mattinata a scuola a pensare alla
moglie che lo lasciava, che abbandonava la loro abitazione, ritrovarcela ad
aspettarlo è un vero choc. Ovviamente l’uomo è contentissimo, in cuor suo ma,
come al solito in Matheson, materialmente farà l’opposto di ciò che desidera,
scacciando Sally senza alcuna compassione. Questo, nel computo del risultato
finale, aumenta esponenzialmente lo sprofondamento del protagonista, come se di
fatto, la spirale distruttiva in cui è avvolto, dopo questa sospensione – il
ripresentarsi della moglie che gli offre l’ultima ancora di salvezza –riprendesse
dieci spire più sotto, annullando ogni eventuale speranza di riconciliazione
futura tra i due coniugi. Anche nel film di Proietti Sally ha un comportamento
un po’ incerto ma senza riuscire ad imprimere quella svolta che si trova nelle
pagine di Matheson. Poco male, come film La casa della follia rimane
comunque un’opera assolutamente lodevole.
Ambizione, competizione...entrambe brutte cose, secondo me...specie quando hanno ad oggetto cose materiali...
RispondiEliminaBuon compleanno! 😊
Grazie Ale; beh si certo, Matheson è sempre piuttosto critico al di là della veste narrativa.
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