1055_IL FASCINO DELL'INSOLITO: LA COSA SULLA SOGLIA. Italia, 1982; Regia di Andrea e Antonio Frazzi.
Gli spunti positivi nell’impostazione scenografica della regia di Andrea e Antonio Frazzi – che si erano già visti nel loro precedente contributo alla serie Il fascino dell’insolito - Itinerari nella letteratura dal gotico alla fantascienza con l’adattamento di Impostore, da Philip K. Dick – si manifestano in modo ancora più eclatante nel loro secondo appuntamento. L’occasione è la trasposizione in video del racconto di H. P. Lovecraft La cosa sulla soglia e si tratta di un’impresa ardua: la straniante e malsana prosa del Bardo di Providence è tra le più ostiche da essere estrapolata dalla sua forma natia e l’azzardo per la produzione Rai sembra un po’ fuori portata. Invece La cosa sulla soglia dei fratelli Frazzi vince la sua partita, è un ottimo testo in sé ma soprattutto riesce a infondere nella storia la tipica atmosfera lovecraftiana. A saltare all’occhio è senza dubbio la messa in scena sontuosa. Si, d’accordo, rimaniamo pur sempre in quell’ambito teatrale tipico delle produzioni Rai dell’epoca ma il lavoro sugli arredi, valorizzati dall’attenzione maniacale dei Frazzi per le inquadrature, vale un set di Hollywood senza alcun timore. I due gemelli fiorentini insistono forse eccessivamente nella puntualità dei riflessi degli specchi, delle porte che si aprono lasciando perfettamente inquadrati i personaggi, ma questa ricerca ossessiva per la precisione dell’immagine da riprodurre sullo schermo aiuta a creare quell’atmosfera spesso sfuggente che Lovecraft sprigionava nelle sue pagine. La riduzione televisiva dimostra oltretutto una certa autorevolezza, adattando qualche passaggio narrativo per rendere più omogenea la narrazione, come si conviene ad un film che in genere patisce le dilatazioni temporali eccessive che, al contrario, non avevano preoccupato lo scrittore americano.
La casa degli Upton è al centro della scena ed è sontuosa e affascinante: elementi liberty, geometrie ipnotiche, dettagli esotici; la padrona di casa, Mary (Fiorenza Marchegiani) ne è l’espressione umana e femminile. Dall’eleganza un filo meno spiccata ma sempre ben amalgamate con lo stile figurativo della vicenda anche le altre donne, Rosy (Daniela Surina), personaggio meno centrale, e Asenath (Elisabetta Carta), vero cardine della storia. Perché è lei che, sposando il povero Edward Derby (Mattia Sbragia), se ne serve per mantenere in vita la sua anima. Che poi in realtà è quella del suo terribile padre, l’occultista Eprhaim Waite, personaggio che aleggia sulla storia senza mai comparire essendo ormai morto, almeno nella sua forma corporea. Perché il tema del racconto di Lovecraft è la capacità di questo potente negromante di impossessarsi del corpo altrui, cosa che in fin dei conti ha già fatto con la figlia Asenath.
E’ chiaro che il debole, timido e riservato Edward – che nel film Sbragia rende in parte simile a Lovecraft più che al personaggio del racconto – si è ficcato in un bel pasticcio. Eprhaim necessità del corpo di un uomo, infatti, per raggiungere i suoi terrificanti scopi e quello della figlia era solo un passaggio temporaneo. La situazione degenera e Edward si rivolge al fidato Daniel Upton (Massimo Ghini) che si prodiga al meglio ma ovviamente non può certo capacitarsi del tutto di quello che sta accadendo all’amico. Almeno fino a che la cosa non diventa lampante e Daniel è costretto ad una soluzione drastica, per spezzare la catena di reincarnazioni, senza peraltro riuscirci ma offrendo, per giunta, la sponda al suo proseguo in prima persona. Si tratta di un finale aperto, tipico anche dell’horror del periodo di messa in onda dell’opera, ma questo ne è certamente un esempio DOC. In definitiva uno dei migliori film della serie e, sorprendentemente, uno delle migliori trasposizioni su schermo di Lovecraft. La scena nella villa dei Derby deserta e mezza diroccata, con la discesa di Daniel negli scantinati, sono passaggi da antologia, per inquadrature, luci e musica incalzante. Sbragia si sdoppia efficacemente per interpretare le differenti anime che, a turno, abitano il corpo del suo personaggio. Delle scenografie in generale e di villa Upton in particolare si è già detto ma sono talmente memorabili che vale la pena chiudere ricordando il loro fascino ipnotico.
Fiorenza Marchegiani
Daniela Surina
Elisabetta Carta
Galleria di copertine
Nessun commento:
Posta un commento