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sabato 9 luglio 2022

IL FASCINO DELL'INSOLITO: LA STANZA NUMERO 13

1045_IL FASCINO DELL'INSOLITO: LA STANZA NUMERO 13 . Italia, 1980; Regia di Paolo Poeti.

Per il secondo episodio della serie antologica Il fascino dell’insolito. Itinerari nella letteratura dal gotico alla fantascienza il secondo canale RAI ci propone La stanza numero13, tratto come il precedente da Montague Rhodes James. La sceneggiatura di Emanuele Vacchetto e la regia di Paolo Poeti introducono notevoli variazioni rispetto al racconto originario dello scrittore inglese: in principio la più evidente è l’ambientazione, da un paese della Danimarca ad uno della Campania, in Italia. Ma anche la natura del fatto insolito, tipico della narrativa di James, cambia: qui c’è bisogno di un pretesto sentimentale, il rimpianto per una storia d’amore sfumata tra il protagonista, il professore (Tino Scotti) e Assunta (Carmen Scivittaro). La ragazza era la figlia del locandiere dove il professore, allora studente, aveva soggiornato: una volta partito il ragazzo se n’era scordato e la giovane era morta, forse proprio per il dolore di un amore perduto. Cinquant’anni dopo, l’uomo, ormai anziano, si ripresenta alla locanda, ora gestita dal fratello di Assunta (Franco Angrisano); a questi due personaggi si aggiunge il maestro (Gino Maringola), per una serie di scenette vagamente umoristiche. Si ricordi che Scotti era un comico affermato e, probabilmente, questa deriva umoristica, nell’idea degli autori, doveva ricreare il velato humor britannico con cui James alleggeriva la sua prosa. Se la malinconia di Scotti è tutto sommato apprezzabile, sembra assai meno adatto al tenore del racconto l’umorismo di Maringola, che sembra lui stesso un personaggio di quella smorfia napoletana a cui si dedica con tanta passione. Come detto il film, al di là dello spunto della camera mancante che si palesa solo di notte, è abbastanza distante dalla narrativa di James, anche perché non ha mai quel cambio di passo che nel racconto si concretizza per poi dissolversi quasi subito. In effetti lo spirito di Montague Rhodes James non è per niente facile da catturare con una rappresentazione sullo schermo: la scelta degli stilemi dello sceneggiato tradizionale RAI sembra comunque funzionale anche stavolta. Quello che vanifica un po’ gli sforzi sono forse, più che i troppi elementi cambiati, quelli aggiunti. Quelle motivazioni un po’ grossolane – il rimpianto per un amore non coltivato – a Rhodes James non servivano, nella sua prosa l’origine dell’orrore non viene necessariamente svelata. Ne La stanza numero 13, ad esempio, la pergamena ritrovata che doveva svelare l’arcano, non viene decifrata, nonostante il protagonista si rivelasse essere un paleografo, uno studioso di scritti antichi. E l’incapacità di reggere a questa incognita che ci lascia sempre la poetica di Montague Rhodes James, che nel film si manifesta con l’inserimento di un banale pretesto, è il limite maggiore dell’adattamento di Vacchetto e Poeti.




Carmen Scivittaro 


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