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martedì 19 luglio 2022

IL FASCINO DELL'INSOLITO: IMPOSTORE

1051_IL FASCINO DELL'INSOLITO: IMPOSTORE. Italia, 1981; Regia di Andrea e Antonio Frazzi.

In Italia, ma forse anche nel mondo, fino ai primi anni Ottanta Philip K. Dick era uno scrittore relativamente conosciuto. Certo, tra gli appassionati di fantascienza era più che apprezzato ma si andava poco oltre. Poi, nel 1982, Ridley Scott decide di adattare per il cinema Il cacciatore di androidi, il romanzo che sullo schermo diventerà Blade Runner e la fantascienza non sarà più quella di una volta. Inevitabilmente anche il geniale autore dello spunto alla base, l’utilizzo della fantascienza per aggiornare la più antica tra le domande ovvero quella sul senso e sulla natura dell’uomo, divenne famoso presso il grande pubblico. Ma nel 1981, ai tempi della seconda stagione de Il fascino dell’insolito - Itinerari nella letteratura dal gotico alla fantascienza la mitica serie antologica Rai dedicata al fantastico, l’idea di dedicare uno dei film a Dick è da considerare un merito a prescindere. Prima di tutto per la qualità dell’autore e secondariamente per il fatto di portare a conoscenza del pubblico italiano la sua indispensabile poetica. Di cui Impostore – racconto che si può trovare nella bibbia della fantascienza, ovvero l’antologia Le meraviglie del possibile – è già uno scintillante esempio. Certo, il racconto non ha la struttura di un romanzo ma anche per questo riesce forse in una maggiore efficacia istantanea. Nel genere fantastico, che comprende una gamma che va dai racconti dell’orrore a quelli fantascientifici, il racconto breve è stato forse la forma più efficace, finanche è chiaro che i romanzi di almeno un centinaio di pagine soddisfino maggiormente la fame del lettore. 

Ma la forma del racconto, un’idea ficcante attorno alla quale imbastire giusto lo stretto necessario di uno sbrigativo narrato, fu per certi versi insuperabile. Come detto Impostore ne è un perfetto esempio. Il punto cruciale sembra essere: come farà Spence Olham a dimostrare di non essere il robot alieno che si è sostituito al vero Spence Olham con fini bellico terroristici? C’è una guerra, in corso, tra gli Estraspaziali e i terrestri, e pare che gli alieni siano riusciti ad infiltrare sul nostro pianeta un loro automa sotto mentite spoglie per provocare una devastante esplosione. A differenza che in un romanzo, questi aspetti sono trattati in modo rapido, da Dick, che si affida alla generica familiarità dei suoi lettori con le questioni fantascientifiche. In questo modo il racconto perde forse un po’ di corpo ma ne guadagna in perforante efficacia. Nell’adattamento dei gemelli Frazzi, nel complesso positivo, la sbrigatività del racconto diventa uno stile minimalista industriale dal sapore teatrale non proprio convincentissimo, per la verità, ma apprezzabile se non altro per l’ingegno creativo. A salvare decisamente la produzione è, per altro, Adalberto Maria Merli, nei panni di Spence Olham, convincentissimo; meno efficaci gli altri interpreti del cast. Tuttavia, considerato che lo schermo resta incentrato prevalentemente sul Merli, il racconto tiene botta: l’attore trasuda tutta la sincera convinzione del suo personaggio di essere vittima di un clamoroso errore. E il suo è un lavoro notevole, oltreché ambiguo. Perché, anche se oggi sembra quasi banale dirlo – certo non lo sarebbe stato nel 1953, anno di uscita del racconto, e nemmeno nel 1981, anno di trasmissione del film: il punto non è affatto come fosse riuscito quello Spence Olham a dimostrare di non essere il robot. 




    

Elisabetta Carta 



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