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lunedì 11 luglio 2022

IL FASCINO DELL'INSOLITO: PICCOLO ASSASSINO

1046_IL FASCINO DELL'INSOLITO: PICCOLO ASSASSINO . Italia, 1980; Regia di Stefano Calanchi.

Dopo i due episodi dedicati ad uno scrittore classico del gotico ottocentesco come Montague Rhodes James, la serie antologica Il fascino dell’insolito. Itinerari nella letteratura dal gotico alla fantascienza prende spunto da uno dei massimi esponenti del genere fantastico del XX secolo, Ray Bradbury. Il piccolo assassino, il racconto del geniale autore americano, è tutto sommato rispettato, nell’impostazione generale e in molti dettagli narrativi. Ma è soprattutto lo spiazzante pretesto da cui era partito Bradbury, che era già sorprendente pur in un ambito in genere tollerante come quello letterario, che lascia esterrefatti una volta messo su uno schermo della tv di stato in un paese cattolico e tradizionalista come l’Italia dei primissimi anni Ottanta. Il neonato, quello che è universalmente riconosciuto come la massima espressione dell’innocenza più pura, nel racconto di Bradbury e nel film di Stefano Calanchi, autore di sceneggiatura e regia, diviene una inquietante minaccia. Anzi, di più: un vero e proprio killer, visto che nel racconto il pupo fa fuori i genitori mentre nel film elimina anche Paola (Edda Di Benedetto), l’amica di famiglia. Va detto che l’idea, pur se stuzzicante, non era poi troppo funzionale già nel racconto. Cioè, Bradbury, che è un vero asso, tiene insieme il racconto in scioltezza, mettendo in rilievo gli aspetti inquietanti che contraddistinguono la primissima infanzia del genere umano. In effetti, per un neonato, la nascita deve essere un bel trauma: trovarsi a passare dal grembo materno al nostro, a confronto, ben poco accogliente mondo certamente non deve essere indolore. 

Un suo certo risentimento, verso la madre che nel partorirlo in buona sostanza lo ha espulso, è però fuori dal nostro comune modo di pensare, eppure lo scrittore americano è molto bravo ad insinuare il dubbio. Sulla messa in pratica degli omicidi, da parte di un bambino di soli sei mesi, giovano a Bradbury le possibilità della letteratura, che permette a chi scrive di condurre con molto più agio la danza rispetto ad altre forme artistiche più esplicite. Calanchi è bravo anche lui, perché si affida perlopiù al fuoricampo e se nel caso dei presunti movimenti del neonato questo era anche prevedibile, il regista opera con lo stesso sistema anche con gli alunni, che sono sempre bambini, della classe di Davide (Gianfranco De Grassi). Il padre del bambino è nel film infatti divenuto un maestro, molto ben voluto dalla classe con cui non si limita ad un formale insegnamento ma intrattiene anche momenti di svago. Il clima delle lezioni è quindi decisamente famigliare il che simbolicamente raddoppia la situazione di casa, dove per la verità le angosce della moglie Alice (Imma Piro) mantengono la tensione costantemente ben al di sopra della soglia limite per un nucleo domestico. Tuttavia anche nella classe la scelta tutta registica di inquadrare solo il maestro, sempre sorridente e ben disposto, mentre l’intera classe è tenuta rigorosamente fuori campo, crea una situazione di disagio. Tutta questa parte è assente nel racconto ed è quindi farina del sacco di Calanchi e va detto che è forse la parte più interessante del film, sebbene va anche precisato che si integra in modo convincente con l’assunto di base di Bradbury. Per la verità anche il finale, quando si concretizzano le assurde paure di Alice e il bambino, lasciato senza nome nel film come nel racconto, si rivela essere una sorta di serial killer, non è affatto male.
Ma alla fine ci abbiamo davvero creduto che è stato il neonato?    


Imma Piro 


Edda Di Benedetto 

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