291_LA STORIA DI UNA MONACA (The nun's story); Stati Uniti 1959; Regia di Fred Zinnemann.
Ispirato, attraverso il libro di Kathryn Hulme, alla vita di
Marie Louise Habets, La storia di una
monaca di Fred Zinnemann racconta di Gabriella (una discreta Audrey
Hepburn), una ragazza convinta ad entrare nell’ordine delle suore di carità di Gesù e Maria.
L’aspetto religioso, almeno nel film di Zinnemann, rimane un po’ secondario, in
quanto non si capisce fino in fondo se la ragazza sia spinta effettivamente
dalla chiamata divina oppure cerchi, più che altro, l’opportunità di prestare
servizio sanitario al Congo.
Gabriella è figlia di un celebre chirurgo ed è particolarmente dotata; siamo
nel Belgio, tra le due guerre mondiali, e per una ragazza che voglia esercitare
in prima linea, le colonie, nel caso particolare il Congo Belga, rappresentano
l’opportunità migliore per cimentarsi sul campo. Se questo moto di spinta,
nelle decisioni prese da Gabriella, è evidente, è controbilanciato dalla
severità della disciplina della vita claustrale che davvero non si addice alla
giovane. E sembra proprio questo il dilemma di Gabriella: piegarsi alla regola, pur di avvicinarsi al proprio
obiettivo, oppure fare di testa propria, ascoltare la propria indole
individualista? E qui che, come si accennava, non si avverte distintamente
l’importanza della vocazione, che invece dovrebbe essere centrale in un simile
contesto. Sul versante psicologico, il rigore tipico del cinema di Zinnemann si
concentra sul conflitto interiore della giovane: i divieti della vita
nell’ordine religioso sono vissuti come irrazionali da Gabriella, e le sue
difficoltà sembrano legate alla ferrea logica del suo pensiero, connessa anche
alla sua vocazione medica e quindi scientifica.
E se riconduciamo questo
conflitto vissuto dalla ragazza, alla disputa tra religione (le regole dell’ordine
monastico) e scienza (la razionalità come base per operare le proprie scelte)
non si possono avere dubbi su quale sponda approderà l’inerzia dell’discorso del
regista di origine austriaca. Qualche perplessità è quindi lecita, nella
valutazione complessiva del film e, volendo, può essere sovrapposta a quella
delle superiori di Suor Lucia (questo il nome di Gabriella in abito monacale): il
dubbio che rode, in un certo senso, la donna, sembra legato a problemi terreni
assai poco spirituali. Anche per questo le vengono sempre negate le
aspettative, nell’illusione che le delusioni possano smussare il carattere
indipendente e volitivo che, come nota il dottor Fortunati (Peter Finch), nulla
ha a che vedere con quello di una tipica suora. Certo, ad una mente razionale,
le regole e i precetti della vita in convento paiono (e in fondo sono)
irragionevoli e quindi inaccettabili: ma qui dovrebbe entrare in gioco la fede, tema però forse lontano dalle
corde di Zinnemann. Nemmeno la
Hepburn riesce a convincere più di tanto: la sua
interpretazione è quella della brava alunna che vorrebbe negare la propria
natura per soddisfare i propri maestri, ma niente di più.
Insomma, non si
discute se ci debba essere qualcosa più di quello mostrato, perché lasciare
l’aspetto religioso sottotraccia può anche essere una scelta precisa
dell’autore e quindi rispettabile; il punto è che poi tutta quanta la vicenda
perde forza e rischia di non giustificare fino in fondo nemmeno il suo stesso essere.
Un po’ forzata, in questo contesto, la svolta radicale di Suor Lucia, alla
morte del padre, di voler lasciare l’abito religioso; un passaggio che non
sembra sviluppato a dovere. Notevole piuttosto il rigore formale di Zinnemann.
Molto interessante la sua Bruges, mostrata durante la camminata di Gabriella
verso il convento e le ambientazioni africane; di grande pulizia quelle
all’interno del convento. Molto bella la scena finale, con l’uscita di
Gabriella che simbolicamente lascia la porta del convento spalancata, sia per
infrangere la ‘regola’ (qui le porte si
chiudono) e sottolineare il suo abbandono alla vita monastica, sia per
lasciare entrare i suoni del traffico della città: la vita, quella vera.
Almeno secondo Zinnemann.
Audrey Hepburn
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