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venerdì 3 agosto 2018

IL COMPLOTTO DI CHERNOBYL - THE RUSSIAN WOODPECKER

187_IL COMPLOTTO DI CHERNOBYL - THE RUSSIAN WOODPECKER (The Russian Woodpecker). Ucraina, Regno Unito, Stati Uniti 2015;  Regia di Chad Gracia.

Premiato al Sundance Film Festival 2015 con il Gran Premio della Giuria nella sezione documentari internazionali, Il complotto di Cherobyl è quindi un documentario a tutti gli effetti, almeno nominalmente. E del resto questa sembra essere la pretesa dell’operazione: un’indagine sui fatti accaduti nel 1986 in Ucraina, che portarono al famoso disastro nucleare. In realtà il protagonista dell’opera, l’artista Fedor Alexandrovich non sembra particolarmente attendibile, sebbene alcune sue rimostranze nei confronti dei sovietici siano perfettamente comprensibili e anche giustamente motivate. Da parte sua, il regista Chad Gracia asseconda le bizzarrie dell’artista, per regalarci alcune sequenze di notevole impatto visivo: ad esempio, le riprese dove l’artista cammina sulle maschere a gas destinate agli studenti, pensando anche a quanto fossero inutili a fronte del contagio radioattivo, sono suggestive. Ma l’aspetto certamente rilevante dell’opera, e che la rende sicuramente molto interessante, è la storia della gigantesca antenna Duga-3, responsabile del misterioso segnale radio chiamato the russian woodpecker che imperversò a livello mondiale per oltre vent’anni. L’antenna è una enorme struttura situata nei pressi di Chernobyl e, da questa vicinanza e dalla sua imprecisata capacità funzionale, Fedor e Gracia partono per imbastire la loro teoria circa un complotto secondo il quale lo scoppio alla centrale nucleare fu indotto per rendere la zona inaccessibile ed evitare il previsto collaudo del funzionamento dell’antenna. 

Il Duga-3 era infatti costato ingenti quantità di denaro e, se si fosse accertato che non funzionasse, per i responsabili del progetto poteva profilarsi anche la pena capitale. Per quanto la ricostruzione può essere credibile, l’ottica del lungometraggio è decisamente faziosa e complottista; ma questo aspetto riguarda l’orientamento politico e quindi può anche essere tollerato in un documentario di co-produzione ucraina di questi tempi. Il fatto sconveniente è che, anche su un piano squisitamente cinematografico, il film presenta passaggi che lo rendono poco attendibile: a parte la struttura faziosa della ricostruzione (si formula una teoria e si cercano smentite senza aver prima trovato prove concrete a supporto) c’è almeno un passaggio propriamente tecnico che rende esplicita la scorrettezza degli autori. 

Durante un’intervista ad uno degli addetti della centrale nucleare, Fedor si sincera con il suo operatore che la videocamera stia riprendendo la scena: vuole essere sicuro che ne esca una ripresa intera, senza tagli, in modo da prevenire eventuali obiezioni su possibili operazioni di taglia/incolla al montaggio. Ripete così la frase che vuole che il suo interlocutore confermi, ovvero la teoria del complotto di Chernobyl: fino a quel momento l’intervistato ha risposto positivamente alle varie domande, ma quando sente formulare la frase in modo tanto esplicito interrompe Fedor con un sonoro “stronzate!”. Questo atteggiamento, nell’ottica degli autori, indica l’omertà degli ex addetti ai lavori, che hanno paura a parlare apertamente dell’argomento; il che può essere vero, sia chiaro. 

Ma, prima di pensare alle eventuali bugie dell’intervistato, c’è un inganno abbastanza fastidioso che ci riguarda in prima persona, ed è cinematografico: perché, se per confermare la propria tesi, gli autori vogliono una ripresa continua, senza stacchi che possano nascondere trucchi, (tagli o spostamento di frasi all’interno del discorso), per dimostrare il contrario non se ne curano. E ci sparano un bel taglio sul primo piano dell’intervistato, per evidenziarne, di fronte alle parole di Fedor, il disappunto e la paura dipinte sulla sua faccia. Per cui, se da un lato ci si preoccupa (almeno a parole) di avere una ripresa oggettiva, per la controparte queste preoccupazioni non sono ritenute necessarie.
Il complotto di Cherobyl è quindi un film interessante, certo; e forse anche documentario, ma più che sul disastro della centrale nucleare, ci rende un’idea del clima che si respirava in Ucraina, ai tempi della crisi con la Russia del 2014.


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