187_IL COMPLOTTO DI CHERNOBYL - THE RUSSIAN WOODPECKER (The Russian Woodpecker). Ucraina, Regno Unito, Stati Uniti 2015; Regia di Chad Gracia.
Premiato al Sundance
Film Festival 2015 con il Gran Premio
della Giuria nella sezione documentari internazionali, Il complotto di Cherobyl è quindi un documentario a tutti gli
effetti, almeno nominalmente. E del resto questa sembra essere la pretesa
dell’operazione: un’indagine sui fatti accaduti nel 1986 in Ucraina, che
portarono al famoso disastro nucleare. In realtà il protagonista dell’opera,
l’artista Fedor Alexandrovich non sembra particolarmente attendibile, sebbene
alcune sue rimostranze nei confronti dei sovietici siano perfettamente
comprensibili e anche giustamente motivate. Da parte sua, il regista Chad
Gracia asseconda le bizzarrie dell’artista, per regalarci alcune sequenze di
notevole impatto visivo: ad esempio, le riprese dove l’artista cammina sulle
maschere a gas destinate agli studenti, pensando anche a quanto fossero inutili
a fronte del contagio radioattivo, sono suggestive. Ma l’aspetto certamente
rilevante dell’opera, e che la rende sicuramente molto interessante, è la
storia della gigantesca antenna Duga-3,
responsabile del misterioso segnale radio chiamato the russian woodpecker che imperversò a livello mondiale per oltre
vent’anni. L’antenna è una enorme struttura situata nei pressi di Chernobyl e,
da questa vicinanza e dalla sua imprecisata capacità funzionale, Fedor e Gracia
partono per imbastire la loro teoria circa un complotto secondo il quale lo
scoppio alla centrale nucleare fu indotto per rendere la zona inaccessibile ed
evitare il previsto collaudo del funzionamento dell’antenna.
Il Duga-3 era
infatti costato ingenti quantità di denaro e, se si fosse accertato che non
funzionasse, per i responsabili del progetto poteva profilarsi anche la pena
capitale. Per quanto la ricostruzione può essere credibile, l’ottica del
lungometraggio è decisamente faziosa e complottista;
ma questo aspetto riguarda l’orientamento politico e quindi può anche essere
tollerato in un documentario di co-produzione ucraina di questi tempi. Il fatto
sconveniente è che, anche su un piano squisitamente cinematografico, il film
presenta passaggi che lo rendono poco attendibile: a parte la struttura faziosa
della ricostruzione (si formula una teoria e si cercano smentite senza aver
prima trovato prove concrete a supporto) c’è almeno un passaggio propriamente tecnico
che rende esplicita la scorrettezza
degli autori.
Durante un’intervista ad uno degli addetti della centrale
nucleare, Fedor si sincera con il suo operatore che la videocamera stia riprendendo
la scena: vuole essere sicuro che ne esca una ripresa intera, senza tagli, in
modo da prevenire eventuali obiezioni su possibili operazioni di taglia/incolla
al montaggio. Ripete così la frase che vuole che il suo interlocutore confermi,
ovvero la teoria del complotto di Chernobyl: fino a quel momento l’intervistato
ha risposto positivamente alle varie domande, ma quando sente formulare la
frase in modo tanto esplicito interrompe Fedor con un sonoro “stronzate!”. Questo atteggiamento,
nell’ottica degli autori, indica l’omertà degli ex addetti ai lavori, che hanno
paura a parlare apertamente dell’argomento; il che può essere vero, sia chiaro.
Ma, prima di pensare alle eventuali bugie dell’intervistato, c’è un inganno abbastanza
fastidioso che ci riguarda in prima persona, ed è cinematografico: perché, se
per confermare la propria tesi, gli autori vogliono una ripresa continua, senza
stacchi che possano nascondere trucchi, (tagli o spostamento di frasi
all’interno del discorso), per dimostrare il contrario non se ne curano. E ci
sparano un bel taglio sul primo piano dell’intervistato, per evidenziarne, di
fronte alle parole di Fedor, il disappunto e la paura dipinte sulla sua faccia.
Per cui, se da un lato ci si preoccupa (almeno a parole) di avere una ripresa
oggettiva, per la controparte queste preoccupazioni non sono ritenute
necessarie.
Il complotto di
Cherobyl è quindi un film interessante, certo; e forse anche documentario, ma più che sul disastro
della centrale nucleare, ci rende un’idea del clima che si respirava in
Ucraina, ai tempi della crisi con la
Russia del 2014.
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