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martedì 18 luglio 2023

LA NOTTE SENZA LEGGE

1314_LA NOTTE SENZA LEGGE (Day of the Outlaw). Stati Uniti,1959; Regia di André De Toth.

Il polivalente cineasta André De Toth non è considerato in genere un maestro della regia: ma allora come si spiega che abbia potuto dirigere un capolavoro come La notte senza legge?
Day of the Outlaw, questo il titolo originale, è un film semisconosciuto che riserva oggi grandi sorprese; figuriamoci nel 1959, quando uscì, con la golden age del genere non ancora tramontata. Siamo nell’innevato Wyoming in quella fase della conquista del west in cui il problema indiano è stato debellato, a suon di piombo, e cominciano ad arrivare gli agricoltori. Rispetto all’allevamento di bestiame, l’agricoltura rappresenta un passaggio ulteriore verso la civiltà: il che pone dei limiti all’area destinata al pascolo e questo è, sostanzialmente, il nodo cruciale di questa fase dell’epopea del Far West. Simbolo di questa contesa fu il filo spinato, sulla cui questione si incentra l’inizio di La notte senza legge. Blaise Starrett (uno strepitoso Robert Ryan) è un allevatore della vecchia guardia, uno di quelli che han liberato il paese dagli indiani e dalle varie insidie del selvaggio west, e vede come il fumo negli occhi l’arrivo di un carro con del filo spinato. Anche perché il contadino che l’ha ordinato, Hal Crane (Alan Marshal) è colui che gli ha soffiato la donna, l’attraente Helen (Tina Louise, in gran spolvero). Naturalmente c’è tutta una storia, dietro, visto che non sarebbe tanto semplice per un uomo comune come Crane soppiantare un tipo dal carisma di Robert Ryan nel cuore di una donna. 

Morale della favola: Starrett arriva nella sparuta cittadina e sembra davvero deciso a chiudere i due conti, quello sul filo spinato e quello della donna, con Crane. Una chiusura a base di piombo, se non fosse ancora chiaro, che il film è un western di quelli tosti. Helen prova a mediare ma, se Starrett sembra determinato a sistemare la questione in modo definitivo, Hal non lo è da meno. Sebbene il film sia appena all’inizio, i due uomini si trovano già faccia a faccia nello sgangherato saloon: ed è ora che irrompono sulla scena il capitano Jack Bruhn (un grandissimo Burl Ives) e i suoi uomini. Bruhn è un ex ufficiale dell’esercito e sa farsi ubbidire nonostante sia al comando di un manipolo di pendagli da forca. La banda è in fuga dopo una rapina e non ha tempo da perdere: le questioni private dei presenti vengono sospese mentre i banditi occupano lo scalcinato paese. Tra i cui pochi abitanti ci sono anche quattro donne, oltre a Helen val la pena ricordare Ermine (Venetia Stevenson), e la cosa rappresenta un bel problema, considerato la feccia che accompagna il capitano Bruhn. Il film, girato in un sontuoso bianco e nero opera di Russell Harlan sul magnifico panorama innevato tra il Mount Bachelor nell’Oregon, Flagstaff e i San Francisco Peaks in Arizona, scorre teso con la presenza dei fuorilegge che sembrano poter scatenare una strage da un momento all’altro. L’unico che riesce a tenerli a freno è il loro capoccia Bruhn, ma è ferito a morte e il veterinario del paese non può far altro che ritardarne il decesso, alleviandogli il dolore con la morfina. Il capitano, una volta che sembra riprendersi, rinvigorisce il morso sulla masnada di tagliagole, sempre più insofferenti: la corda su cui la storia viaggia è sottile e sembra sempre sul punto di rompersi. 

Da un punto di vista strettamente narrativo, il film è più che godibile ed avvincente ma questo non è che la base su cui si innesta il lavoro più interessante di De Toth. Intanto occorre dire che siamo nel 1959, ancora in piena golden age ma il bianco e nero, il tema dei fuorilegge, la storia sentimentale, ripescano elementi dal western romantico, quello degli anni Quaranta. Eppure la durezza della trama, la crudeltà dei villans, i riferimenti sessuali, fanno pensare alle derive tarde del genere, il western-crepuscolare o gli spaghetti-western. Tuttavia, la magnificenza delle scene con Starrett che guida i banditi lungo un inesistente passaggio tra le montagne, con i cavalli che annaspano nella neve alta avvolti nella splendida luce che filtra tra le conifere, e la cupa e imponente musica di Alexander Courage a far da contorno, mantengono il film a piene diritto nel periodo classico. L’aspetto più interessante che ci propone De Toth è però ancora un altro. Il protagonista è convinto di essere nel giusto, è un classico eroe del west, ha conquistato il paese e ritiene che gli spetti di diritto poterci vivere come gli aggrada. Quelli arrivati dopo devono adeguarsi e non possono pretendere di stravolgere le cose: due diritti corroborano questa presa posizione, quello della forza e quello di precedenza. 

La pista sentimentale attraversa la storia in questo punto, quando Starrett intende far valere quelle che ritiene le proprie sacrosante ragioni. Forse l’ingerenza della donna ha una sua efficacia, non è semplice stabilirlo: tuttavia, nei fatti, non sono le richieste di Helen a far desistere l’uomo dai suoi bellicosi intenti. La donna non vuole rimanere vedova e sebbene si capisca che ami ancora Starrett, ormai è legata, dal matrimonio, a Crane. Ma arriva anche a rinnegarlo, il matrimonio, se ciò potrà salvare il marito dalla colt di Starrett. Ma anche questo non basta, come detto, l’uomo non vuol sentire ragioni; poi, si è visto, piombano sulla scena il capitano Bruhn e i suoi sgherri. Forse sono proprio la violenza e la brutalità di questa ciurmaglia a far leva sul senso dell’onore di Starrett: in fondo sembrano gente della sua risma, uomini selvaggi del west, brutali e violenti. E’ forse per questo che il protagonista depone il suo desiderio di sistemare Crane, cosa che avviene proprio in quest’ordine cronologico. Il ravvedimento di Starrett è un ottimo colpo di scena, finanche si fosse capito sin da subito che c’era della differenza tra lui e i gli uomini di Bruhn; un conto è essere violenti, un altro essere brutali fuorilegge. Ma, proprio la differente natura di questi individui – differente rispetto a quella di Starrett – ci mette sulla strada per cogliere l’aspetto più sorprendente de La notte senza legge

Almeno uno di loro è un ex soldato ma tutti ubbidiscono al capitano come tali, provengono da est, da una zona civilizzata, arrivando nello sperduto paesino del Wyoming. Sono, di fatto, nuovi venuti tanto quanto Crane e i contadini che vogliono mettere il filo spinato. In effetti la prima conseguenza del loro arrivo è la chiusura del piccolo villaggio: nessuno può più uscire o girare liberamente. Una modifica dello status quo che ricorda appunto le intenzioni di Crane che vuole impedire la libera circolazione del bestiame. Il loro tradimento all’arma è legato al furto di un carico d’oro, un classico esempio delle evoluzioni che comporta la cosiddetta civiltà: siccome arricchirsi è in sintesi lo scopo del Sogno Americano, se non vi si riesce in modo legale si può prendere una scorciatoia. Qui, gli esempi da portare per i self-made men che si sono arricchiti in modo poco pulito si sprecano – e questo vale a tutte le latitudini – e non vale la pena neanche di fare qualche nome. Diciamo che, nella società di mercato, è prassi riuscire a far grana in qualunque modo, l’importante è farla franca. Al contrario Starrett si presenta come uomo violento del vecchio west, l’eroe classico, convinto di essere nel giusto e non disposto a scendere a compromessi ma nemmeno ad infrangere le regole per avere successo. Il capitano Bruhn era della stessa pasta, per quanto abbia poi abbandonato la sua retta via; i suoi uomini piuttosto sono il frutto del re-imbarbarimento che la società comporta e, in effetti, sono personaggi tipici che si vedranno popolare le derive tarde del genere western, i citati western-crepuscolari o gli spaghetti-western. Non è quindi, la pista sentimentale, e Starrett lo sottolinea più volte, a far cambiare l’uomo ma il vedere quello che corre il rischio di divenire lui stesso proseguendo sulla strada della violenza. In realtà, se la violenza è il denominatore comune tra gli eroi classici e i personaggi del tardo western – che il film di De Toth mirabilmente mette a confronto – questi ultimi sembrano una risposta quasi logica, automatica, alle regole imposte dalla civiltà. Almeno questa chiave è quella che si può trarre da La notte senza legge ed è l’aspetto più interessante, una riflessione clamorosa, del film. 

La civiltà comporta sostanzialmente divieti che, come conseguenza, determinano in alcuni individui o situazioni, la volontà o la necessità di infrangerli. Nel film, i divieti si moltiplicano nello scorrere della trama: il filo spinato chiuderà i campi; il paese viene chiuso e non si può uscire; gli uomini di Bruhm non possono toccare né alcol né le donne – divieti non biasimabili, nel racconto specifico, ma evidenti metafore sulle riserve morali in merito di bacco e venere della nostra cultura. Una delle scene migliori nonché una delle più violente – di una violenza non manifesta ma sottesa, strisciante e sul punto di esplodere da un momento all’altro – è quella del ballo. Per calmare i bollori dei fuorilegge il capitano concede ai suoi un ballo al quale vengono naturalmente invitate le donne del paese. L’idea che il fatto di tenere tra le braccia una rappresentante del gentil sesso, possa bastare a calmare i bollenti spiriti dei fuorilegge anziché stuzzicarli ulteriormente è curiosa ma è, a suo modo, significativa. E oltretutto esprime il senso compiuto del film. Comunque, prima di chiudere la sequenza, De Toth ci regala un’inquadratura del ballo emblematica, in tal senso, vista dalle finestre del saloon, attraverso i vetri i cui bordi sono incorniciati dai cristalli di ghiaccio che evocano il pizzo delle tendine di qualche elegante magione, e sembra quasi di assistere ad una commedia sofisticata degli anni 30. 

Quella che, con acuto anticipo sulla Storia, sancì l’ascesa al vertice della società americana. In ossequio all’arrivo di questa vincente forma di civiltà anche nell’ovest del Wyoming della nostra vicenda, il regista coglie tutti gli spunti possibili per inscatolare, ingabbiare, inquadrare, i suoi personaggi all’interno di cornici figurative formate da ringhiere, steccati, serramenti e cose del genere. Questi elementi divisivi separano i personaggi del film e il passaggio più emblematico, in tal senso, è il momento intimo tra la dolce Ermine e Gene (David Nelson) il più giovane dei banditi. I due ragazzi, tra i quali è scoccata la scintilla, devono separarsi e il bandito torna a salutare la fanciulla: tra di loro c’è la porta del locale ed entrambi afferrano il pomo che fa da maniglia, uno da un lato, l’altra dall’altro. Le mani sembrano giungersi, in un saluto di separazione comunque significativo visto che, narrativamente, la storia sentimentale tra i due non ha avuto il tempo per carburare al punto da garantire neanche il canonico bacio. Ma quello che resta è la scena di due giovani che cercano il contatto ma tra di loro rimane una porta: nella società, nella civiltà, che i due giovani comunque rappresentano, le porte non uniscono ma dividono. Come il filo spinato e i divieti sull’alcol e sulle donne. Non rimane che il crimine, verrebbe quasi da dire in tono scherzoso. Ma con la violenza non si scherza e, nel finale, sarà proprio il miglior pistolero del film, Starrett, a disarmare il giovane Gene. La civiltà impone dei limiti, non tutti condivisibili o facili da accettare. Su uno non si può che convenire: con la violenza bisogna chiudere, non può essere più tollerata nemmeno laddove sembri in qualche modo legittimata dalle circostanze. E questo non solo perché la violenza è biasimabile di per sé, ma perché costretta nei vincoli della società moderna finisce per essere un cocktail esplosivo. Come mandare quattro donne tra le braccia di una masnada di criminali con la speranza che questo li possa calmare. 














Tina Louise 







Venetia Stevenson 



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2 commenti:

  1. Tutta quella neve fa un certo effetto 😃 (oltre a portare anche un po' di frescura "visiva", in queste giornate di gran caldo🥵)

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  2. E considera che non ho trovato dei fotogrammi della scena davvero più bella, quella in cui i raggi di luce filtrano tra i pini innevati. Comunque fa davvero caldo, in questi giorni.

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